Sergio Romano, Corriere della Sera 15/05/2010, 15 maggio 2010
IL RE DEL MAROCCO, UN PARTNER PER L’EUROPA
Il Salone internazionale dell’agricoltura (una iniziativa del Marocco giunta alla sua quinta edizione) si è tenuto alla fine di aprile a Meknes, la città imperiale interamente ricostruita dal Sultano Moulay Ismail nella seconda metà del XVII° secolo. Ismail fu il secondo sovrano della stirpe alauita, da cui discende l’attuale dinastia, e probabilmente uno degli uomini più crudeli della storia. Sono arrivato a Meknes qualche giorno dopo, mentre gli operai stavano smontando i padiglioni degli espositori, ma in tempo per vedere un enorme mercato di cavalli arabi, organizzato accanto alle mura della città in un vasto spazio sabbioso dove alcuni cavalieri berberi correvano all’impazzata scaricando nell’aria i loro vecchi fucili.
Il Salone è stato inaugurato da Mohammed VI, lontano nipote di Moulay Ismail. Ma il giovane discendente non è un sultano. Da quando suo nonno, Mohammed V, decise di rinnovare la forma dello Stato, il sovrano del Marocco è diventato un re, vale a dire un cugino di quelli che ancora regnano in Europa. Ed è certamente un re moderno, dominato dal desiderio di promuovere il progresso del suo Paese, pronto a inaugurare anche una piccola scuola per dimostrare l’importanza della lotta contro l’analfabetismo (poco meno del 50% della popolazione). Fadel Agoumi, direttore de La Vieco, quotidiano economico di Casablanca, mi ha detto che il suo giornale, dopo una inchiesta, ha accertato che il re ha fatto 72.000 chilometri in due anni e passa raramente più di tre o quattro giorni nella stessa città. Mentre il padre Hassan partecipava attivamente alla vita internazionale e non perdeva occasione per fare ambiziosi discorsi politici, il figlio ha fatto un pellegrinaggio privato alla Mecca subito dopo l’ascesa al trono, un paio di visite di Stato all’estero e rari discorsi. Preferisce restare in patria e passare da una città all’altra per tagliare il nastro di una nuova opera pubblica o verificare il progresso di un progetto industriale. Secondo la costituzione, tuttavia, i suoi poteri sono potenzialmente assoluti. L’articolo 19 della Carta dice che «il re, Comandante dei credenti, Rappresentante supremo della nazione, Simbolo della sua unità, Garante della perennità e della continuità dello Stato, veglia al rispetto dell’Islam e della Costituzione. E’ il protettore dei diritti e delle libertà dei cittadini, gruppi sociali e collettività. Garantisce l’indipendenza della nazione e l’integrità territoriale del Regno nelle sue frontiere autentiche». Esistono i ministri, naturalmente, e un Premier che dirige le loro riunioni. Ma il Consiglio dei ministri, quando si riunisce (due o tre volte all’anno), è presieduto dal sovrano, e nessun disegno di legge può essere inviato al Parlamento senza la sua approvazione. Accade così che le decisioni politiche vengano prese a Palazzo reale in riunioni più o meno ristrette. Mentre nelle monarchie costituzionali europee il re «regna ma non governa», in quella marocchina il re preferisce governare e ridurre al minimo indispensabile le tradizionali funzioni protocollari di un monarca.
Ma il Marocco non è una dittatura, nel senso corrente della parola. Vi sono libere elezioni, anche se i risultati sono talvolta contestati, soprattutto dal partito islamico di opposizione Giustizia e Progresso. Vi è una libera stampa che può criticare il governo e, con maggiore garbo, il sovrano. Esiste una società vivace da cui emergono rivendicazioni difficilmente immaginabili in altri Paesi musulmani: i diritti degli omosessuali, l’emancipazione della donna, la protezione legale dei mestieri più umili. Esiste una economia di mercato (di cui parlerò in un altro articolo) che sta dando buoni risultati. Ed esiste una coscienza nazionale che esprime ambizioni internazionali. La classe dirigente del Paese si è resa conto che l’adesione all’Unione europea, auspicata una ventina d’anni fa, è un obiettivo irrealizzabile, ma vuole qualcosa di più di un semplice patto di associazione. Desidera essere trattata dall’Europa come un partner e come il più affidabile rappresentante del Maghreb, vale a dire dell’area che corrisponde ai paesi occidentali della costa meridionale del Mediterraneo. Al ministero degli Esteri ricordano che la regione è minacciata da Al Qaeda nel Maghreb, dalla pirateria del Golfo di Guinea (ormai quaranta arrembaggi) e dal traffico di droga proveniente dall’America Latina (da una tonnellata di cocaina nel 2005 a 50 oggi). Le persone con cui ho parlato osservano che esistono in Africa parecchi focolai – Somalia, Yemen, Darfur – e che il Sahel è un grande corridoio est-ovest fra il Sahara e l’Africa nera. Quanto tempo passerà prima che il contagio si trasmetta da una parte all’altra del continente? Secondo i responsabili della politica estera marocchina occorre che l’Ue e il Marocco affrontino insieme i problemi della loro sicurezza.
Nessuno si esprimerebbe in questi termini se non fosse sostenuto dal re e non sapesse di interpretarne il pensiero. Ma Mohammed VI preferisce tacere e dirigere gli affari dello Stato dall’ombra del palazzo con un limitato numero di collaboratori. E il «sistema del Makhzen», dal nome del luogo (secondo alcuni una deformazione araba della parola italiana «magazzino») in cui i funzionari pubblici venivano compensati per il loro lavoro. Perché il sistema funzioni occorre naturalmente che la persona del sovrano abbia quella sacralità orientale che era implicita nella parola «sultano». Quando una rivista fece fare un sondaggio sulla popolarità del re, le autorità scoraggiarono bruscamente l’iniziativa. La quota di consenso sarebbe stata altissima (forse addirittura il 90%), ma un re, almeno in Marocco, non passa esami e non riceve pagelle. (2/continua. La prima puntata è stata pubblicata il 10 maggio 2010)
Sergio Romano