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 2010  maggio 15 Sabato calendario

SUOR GIULIANA, BANCHIERA PER CASO «IL DENARO? PUO’ CONCIMARE IL BENE»

«Hanno alzato bandierine nella nebbia. Io non ne so nulla. E mi trincero nella nebbia».
Nella foschia della battaglia per i vertici della Compagnia di San Paolo – e quindi per la presidenza del consiglio di gestione di Intesa – è stata in effetti alzata una ”bandierina”: la proposta di nominare vicepresidente della Compagnia un consigliere inattaccabile come suor Giuliana Galli. Personaggio leggendario per Torino, simbolo del Cottolengo dove ha guidato per una vita le volontarie, ideatrice con Francesca Vallarino Gancia di una fondazione al servizio degli immigrati, amica di Marella Agnelli e di Cesare Romiti, suor Giuliana – 75 anni – non nasconde una certa irritazione per essere stata chiamata in causa: «Le cose non si fanno così. Non si lavora su una persona senza che lei ne sappia nulla. Non si comportano in questo modo i colleghi, se sono colleghi, e quindi uomini e donne uniti da fiducia reciproca».
Suor Giuliana non rilascia interviste sulle vicende bancarie. Tiene però a chiarire qualche punto. Ad esempio, tutti i giornali hanno scritto che gli undici consiglieri ”ribelli” al presidente della Compagnia, Angelo Benessia, si sono riuniti a casa sua. «Innanzitutto io non posseggo un’abitazione mia: vivo nella Casa del Cottolengo a Moncalieri. E lì, in collina, ci siamo trovati una sera, a guardarci in faccia, a discutere di alcune cose, a chiederci cosa stava succedendo. Ma non era una ribellione. Tanto meno una congiura. A un certo punto ho messo a tavola mozzarella e pomodorini, i consiglieri hanno mangiato e se ne sono andati. Altro che ”ribelli”».
Reagì allo stesso modo, suor Giuliana, quando un giornale la definì ”Sorella Banca”, giocando sulla carica per cui è stata indicata dal sindaco Chiamparino, e che lei ha interpretato con la stessa devozione riservata agli ospiti del Cottolengo: «Ci fu un’epoca in cui anch’io consideravo il denaro come lo sterco del demonio. Con il tempo, ho capito che il denaro può anche essere speso a fin di bene. Sono cresciuta in campagna, so che il concime serve a far prosperare i frutti della terra». Quando c’è da raccontare la sua storia, ogni traccia di irritazione scompare dalla sua voce allegra e fresca: «Il Cottolengo non è affatto un luogo di angoscia. Non si consumano tragedie, e neppure succedono miracoli. Io ci sono stata per la prima volta nel 1955. Venni a Torino insieme con un gruppo di amici di Meda, in Brianza, dove sono nata. Dissi a me stessa che al Cottolengo non avrei più messo piede. Invece vi ho passato la vita, e ne sono stata felice».
Suor Giuliana è anche un’intellettuale. Laureata in sociologia, master in Scienze del comportamento a Miami, lunghi soggiorni negli Stati Uniti, in America Latina, in Africa, in India. Ha scelto di diventare suora a 22 anni, quand’era una ragazza molto bella, ma la prima chiamata arrivò molto prima: «Avevo otto anni. Al mattino mia mamma, pettinandomi le trecce, mi raccontava le storie del beato Cottolengo - allora non era ancora santo - e di Giovanna Maria Gonnet, madre di cinque figli, spirata tra le sue braccia dopo essere stata respinta da tutti gli ospedali. C’è qualcosa di molto intimo in una madre che pettina la figlia e intanto le parla dei poveri e della carità, non trova?».
Con il mondo, suor Giuliana si è confrontata molto presto. Il Cottolengo è un’istituzione fondativa di Torino: coscienza della città, luogo di espiazione e redenzione, mito letterario; Calvino vi ambientò la Giornata di uno scrutatore, a volte le ragazze dell’alta borghesia vengono a farvi volontariato. A qualcuna suor Giuliana ha dovuto raccomandare il rispetto per gli ospiti: «Non seminare illusioni, ricorda che tutti hanno la loro sfera di affettività, porta qui anche il tuo fidanzato». Una città nella città: duemila abitanti, anziani senza famiglia, bambini abbandonati, «uomini con handicap fisici umani – come li ha definiti suor Giuliana -. Sottolineo: umani. Sono tutti figli degli uomini. E sempre fatti a immagine e somiglianza di Dio. Mi spiego? Il crocefisso non era bello». «Cos’abbiamo noi più di loro?’ si chiedeva Calvino in una pagina che suor Giuliana ama molto -. Arti un po’ meglio finiti, un po’ più di proporzione nell’aspetto, capacità di coordinare un po’ meglio le sensazioni in pensieri. Poca cosa rispetto al molto che né noi né loro si riesce a fare e a sapere». A Stefano Lorenzetto del Giornale raccontò nel 1999 alcune storie di suoi assistiti: il neonato cui i medici avevano dato poche ore di vita, creduto morto dalla madre, affidato dal padre a suor Giuliana e alle sue consorelle che ne fanno un ragazzo normale, poi adottato da una nuova famiglia; Franceschina, che è sorda e cieca ma è bravissima a ”parlare” con le dita delle mani, «ogni sillaba un polpastrello, e alle prime parole ha già capito il senso del discorso»; Carmela che ha dormito in Cottolengo ogni notte per 75 anni, non sapeva leggere neppure i nomi delle vie ma quando usciva in passeggiata trovava sempre la strada del ritorno.
Poi, per gli amici segreti e a volte illustri, arrivava la prova, la visita alla città proibita. Per scoprirne l’umana normalità, come Guido Ceronetti, che vi portò le sue marionette, o come Carlo e Franca Ciampi, accolti con grande affetto. Suor Giuliana ricorda Cesare Romiti «prendere in braccio una bambina bellissima, un viso d’angelo, ma cieca, nata senza gli occhi. Marella Agnelli mi ha aiutato molto, anche a far nascere dieci anni fa la onlus che si occupa degli immigrati, il Mamre». Che non è una sigla, ma il luogo dove Abramo accolse i tre angeli. «Lavoriamo per integrare i bambini stranieri e aiutare i loro genitori con disagi mentali, che spesso non possono essere curati solo con gli strumenti della cultura occidentale» spiega suor Giuliana. Che si raccomanda di non presentarla come un’eroina: «Eroe è padre Christian de Chergé, priore del monastero Notre Dame de l’Atlas, in Algeria. Decapitato con i suoi sei frati, il 21 maggio 1996. Mi ha insegnato che il Dio dell’Islam e il nostro Gesù non fanno un plurale».
Aldo Cazzullo