GABRIELE ROMAGNOLI, la Repubblica 15/5/2010; SANDRO VERONESI, la Repubblica 15/5/2010, 15 maggio 2010
2 articoli - L’INDUSTRIA DEI PREMI - Ogni cielo ha le sue minacce: c´è chi vede incombere la stagione dei monsoni e chi quella dei premi
2 articoli - L’INDUSTRIA DEI PREMI - Ogni cielo ha le sue minacce: c´è chi vede incombere la stagione dei monsoni e chi quella dei premi. Scansatevi che arrivano la Palma d´oro di Cannes, la cinquina dello Strega e la tombola degli Emmy televisivi. Poi, giacché nulla ci sarà risparmiato, si addenserà un nembo cumuliforme comprendente tra gli altri il premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco e il Telegatto, mentre non si sono ancora spente le alte polemiche suscitate dai David di Donatello e si attende la rivincita ai Nastri d´Argento o alle Grolle d´Oro (comunque si chiamino ora). A intervalli regolari qualcuno fa un censimento dei premi che vengono assegnati annualmente, raggiunge una cifra (sicuramente sbagliata per difetto), la confonde con la popolazione di un capoluogo di provincia e, preoccupato, si assicura di aver vinto lui stesso almeno un premio. Mi assicuro: ne ho vinti tre o quattro (come Pannella in fatto d´amori, esibisco imprecisione). A intervalli altrettanto regolari qualcun altro propone l´abolizione di tutti i premi, cominciando da quelli letterari. Raccoglie una marea di consensi e un ambito riconoscimento in qualche remota plaga, e si placa. La stagione, inesorabile, si ripresenta. I produttori cinematografici ritirano in tintoria gli smoking per il tappeto rosso, i funzionari editoriali controllano l´elenco telefonico degli amici degli amici dello Strega (solo A-L equivale a Varese), i conduttori televisivi preparano la serata finale incalzati da una domanda: ho scritto (o recitato) anch´io, perché non premiano me? Gli addetti ai lavori si fingono annoiati, ma fibrillano. O viceversa: non è facile decifrare le emozioni degli uffici stampa. Gli autori si crogiolano nei dubbi: se snobbo il premio farò la figura dello snob? Se concorro che cosa sembrerò: un banale concorrente? Ma soprattutto: e se non vinco? Quanti iconoclasti hanno perduto l´immagine (e il sonno e il rispetto di sé) nel tormento di una gara, nell´invidia da secondo posto, chierichetti di una cerimonia televisiva celebrata da un presentatore mellifluo? Aleggia una domanda, pure quella ricorrente: a che cosa servono i premi? Risposte di routine: a farsi conoscere, a guadagnare qualcosa (nel caso dei libri con i diritti, salvo eccezioni, ci si paga l´Adsl), a mettere l´arte al centro, laddove di solito stanno la politica, l´economia, lo sport. Come se qualcuno ricordasse il vincitore del Campiello Giovani o non facesse immediatamente zapping vedendo 5 tizi seduti in fila che trepidano recitando un risvolto di copertina. C´è un altro risvolto, quello commerciale. Lo Strega porta copie. Sì, ma il Leone d´oro? Tre biglietti in più. Ci sono giurie condiscendenti e altre che equivocano il detto "il miglior investimento è il mattone" puntando su Still Life del regista Jia Zhang-ke. Anche l´ironia sui premi è scontata. E vana. Gli autori affermati ci vanno come a cena da amici, un anno sono i festeggiati un altro stanno a capotavola, presidenti di giuria. Quelli, sempre più numerosi, che di solito fanno un altro mestiere (stilisti registi, registi scrittori) si affacciano come in visita allo zoo, ritirano il premio con l´irriverenza dell´imbucato e tornano al proprio lavoro lasciandosi alle spalle la trattenuta furia dei veterani. I debuttanti, inevitabilmente, come a un ballo. La musica parte, le danze iniziano e fuori scena si manovra per decidere chi resterà infine sulla pista, sotto i riflettori. E´ squallido, è penoso? No. E´ narrativo. I premi sono un fantastico materiale per racconti e film, un metaevento dove bisogna dimenticare quel che si vede e accorgersi del resto per cogliere l´essenza. Ci sono già stati dei tentativi. Pupi Avati racconta spesso la "metamorfosi di Venezia": «Si sbarca al Lido e si diventa cattivi». Ha provato a evocarla in un film (Festival) che lui stesso riconosce non riuscito perché non restituiva quella cattiveria. Eppure lo spunto era ottimo: al Festival di Venezia 1986 si diffuse la voce che la Coppa Volpi era andata a un attore italiano. Equivocando (o ragionando non per assurdo) qualcuno dedusse che era toccata a Walter Chiari e glielo disse. Lui passò la notte al telefono dando la notizia a chiunque, dall´avvocato Agnelli al suo portinaio. Finché, al mattino, seppe che il premiato era Carlo Dalle Piane. In Giulia non esce la sera il regista Giuseppe Piccioni racconta la vicenda sentimentale di uno scrittore che, mentre la vive, concorre a un premio (presumibilmente lo Strega, data la dose di naftalina che lo circonda). Il cast è perfetto: ci sono l´esordiente fintamente ingenuo, l´editor ambigua, le lettrici del tè. In letteratura il capolavoro resta I miei premi, di Thomas Bernhard, in cui l´autore narra le cerimonie che lo hanno visto protagonista, inanellando una serie di episodi irresistibili: lui che, non riconosciuto, all´assegnazione del premio Grillparzer siede in platea finché la folla si spazientisce e la ministra chiede: «Ma dove si è cacciato il nostro scrittorello?», lui che riceve il Piccolo Premio Nazionale per la letteratura sentendosi attribuire la biografia e (ancor peggio) la bibliografia di qualcun altro per l´errore di un segretario. E che legge un memorabile discorso di accettazione. Attacco: non c´è nulla da lodare, nulla da condannare, nulla da denunciare, ma molto è ridicolo. Conclusione: non occorre che ci vergogniamo, però noi siamo davvero niente e non meritiamo altro che il caos. Perché non si chiamava fuori, dunque? «Se qualcuno offre del denaro vuol dire che ne ha ed è giusto alleggerirlo». Anche se poi l´uso che ne faceva era comprare auto improbabili o case sperdute. Ma così è, che ci piaccia o no. I premi sono come i cambiamenti: non sono né buoni né cattivi, semplicemente sono. Eliminarli è impossibile. Il limite si può fissare da soli: partecipare all´inizio per farsi un´idea, poi lasciare spazio. Un po´ come per l´esercito quando c´era la leva: non era necessario arruolarsi. Accade tuttavia anche quello. E ci sono traumi e tragedie. Nessuno dimentica che una persona sensibile e intelligente come Luigi Tenco ha fatto il check out dall´albergo e dalla vita per un´eliminazione al Festival. Nella mia esperienza da esordiente al Campiello, una vita fa, venne notata l´assenza alla cena dell´anziano scrittore favorito ma non premiato. Il direttore editoriale sollevò la testa dal piatto e domandò: «Avete dragato i canali?». Risultò che era vivo, ma deluso, due situazioni non sempre compatibili. Double face come ogni esperienza, la stagione dei premi sta per mostrarci volti felici di attori "impalmati" e scrittori "stregati". Gli sconfitti possono sempre aspettare una futura edizione, i premi non muoiono mai. Con una sola eccezione: ma per spegnere il Grinzane Cavour ci sono voluti, per così dire, i peccati di Peyton Place. GABRIELE ROMAGNOLI, la Repubblica 15/5/2010 CHE STRESS VINCERE LO STREGA TRA COMPLIMENTI E SOLITI SOSPETTI - Prima di cominciare a rendere la testimonianza che mi si chiede circa la mia esperienza di vincitore di premi letterari, occorre mettere da parte una citazione dalla La cantatrice calva di Ionesco, scena settima, che tornerà utile in seguito. La citazione è questa: i quattro personaggi stanno conversando e suona il campanello di casa. La padrona va ad aprire ma alla porta non c´è nessuno. La donna torna a conversare con gli altri ma subito dopo la cosa si ripete, poi si ripete ancora – e, sempre, alla porta non c´è nessuno. Quando il campanello suona per la quarta volta (e stavolta, come si vedrà in seguito, è il capitano dei pompieri), la padrona di casa si rifiuta di andare ad aprire perché, afferma, «l´esperienza insegna che quando si sente suonare alla portaè segno che non c´è mai nessuno». Bene. Ora posso cominciare a dar conto delle mia esperienza, che è la seguente. Dopo un´adolescenza passata a non vincere mai negli sport, e una faticosa accettazione di quel mio destino di perdente (immaginate cercando di non scoppiare a piangere un quindicenne che si allena sette giorni su sette e che esce da un campo di tennis al termine di un ottavo di finale pensando «dopotutto nella vita esistono cosa più importanti»), e dopo il sollievo di essere riuscito a fare lo scrittore come sognavo, cioè quella che mi pareva l´attività meno competitiva del mondo, nella quale per esser soddisfatti non c´era bisogno di strappare il servizio a nessuno né di vincere gare d´appalto, cause in tribunale, concorsi, cattedre, ma solo di portare a casa una buona pagina al giorno – dopo tutto questo è stato un vero shock, per me, ritrovarmi a vincere premi letterari. successo tutto nel giro di sei anni: prima, nel 2000, il premio Viareggio e il premio Campiello, e poi, nel 2006, il premio Strega, hanno fatto di me un vincente. Già questo è stato molto complicato, per me, da accettare – più complicato di quanto non fosse stato da ragazzo adattarmi al ruolo del perdente, e proprio perché ormai mi ero adattato a quel ruolo. Ma ciò che mi riuscì ancor più difficile accettare furono le palate di fango che i giornali (non tutti, ma molti di più dei due-tre specializzati in materia) mi riversarono addosso in quanto, per l´appunto, vincitore di premi. Roba pesante, credetemi. Imparai che è semplicemente così che funziona: il fatto stesso di partecipare a un premio letterario è indizio di una qualche disgustosa tendenza all´intrallazzo, e se alla fine si risulta addirittura vincitori la reputazione è fottuta. Così – e qui torna buona la scena della Cantatrice calva – riguardo ai premi letterari posso dire questo: l´esperienza mi ha insegnato che se li vinci ti tirano dietro i gatti morti. senz´altro questa la cosa più curiosa e peculiare che ho imparato. Ecco perché il giorno in cui mi hanno comunicato che avevo vinto un premio in Francia ho pensato: «Oh, no! Ora mi copriranno di guano anche lì!». Invece, nuovamente con mia grande sorpresa, ho scoperto che in Francia adottano un sistema diverso: lì, se ti danno un premio, ti elogiano. E in questa mia perpetua via crucis dell´accettazione mi è stato difficile accettare anche questo. Ma qui non siamo in Francia, e ai colleghi che partono per la loro avventura nei premi letterari del 2010, specie se con qualche possibilità di vincerli, raccomando di girare sempre con una reputazione di ricambio. Potrebbe temporaneamente servire. SANDRO VERONESI, la Repubblica 15/5/2010