GABRIELLA BOSCO, Tuttolibri - La Stampa 15/5/2010, pagina XI, 15 maggio 2010
E LA VITA CAMBIO’ DANZANDO CON GALLIMARD
Prudente, direi prudentissima nell’instaurare il dialogo, visto il momento delicato e strategico che si trova a vivere, ma franca, sicura, folgorante: Teresa Cremisi, presidente e direttore generale del gruppo Flammarion da cinque anni, ora chiamata a coprire la vicedirezione anche di Rcs Libri. Pare che in Gallimard, dove ha lavorato per sedici anni come numero due della maison, braccio destro di Antoine, la chiamassero «il Primo Ministro». Nel mondo editoriale, in cui agisce da decenni e ormai con un potere che travalica i confini geografici, è temuta e rispettata, come si addice a un’autorità. Un’autorità però costruita pezzo a pezzo, nessun precedente in famiglia, una vocazione tutta personale.
Nell’ufficio dove l’aspetto qualche minuto - finestre su Place de l’Odéon in faccia al teatro oltre al quale si allargano i giardini del Luxembourg - arriva su tacchi alti portati con piglio deciso. L’espressione è quella di una donna di carattere, abituata a gestire le situazioni. Io cerco un bandolo per srotolare la conversazione e lo trovo facendo il nome di Giorgio Calcagno, il mio maestro giornalisticamente parlando: sapevo che Teresa Cremisi, in un remoto passato, aveva collaborato con lui. Il ricordo di quei tempi le addolcisce lo sguardo. Dalla scrivania presidenziale viene a sedersi a un tavolo accanto alla finestra, e il diario di lettura può cominciare.
Nata ad Alessandria d’Egitto da un padre di origine italiana, uomo d’affari, e una madre metà spagnola metà anglo-indiana, scultrice, che avevano scelto il francese come lingua d’espressione, Teresa aveva dieci anni quando nel 1956 Nasser nazionalizzò Suez e gli stranieri vennero espulsi, dopo essere stati spogliati dei loro beni. La famiglia, esule, andò a stare a Milano.
Di quegli anni, sicuramente difficili, Teresa Cremisi non ama parlare. Il racconto comincia da quando cominciano le scelte in prima persona.
Quando nasce in lei - le chiedo, per risalire alle origini di una grande carriera - il desiderio di vivere tra i libri?
«Avevo sedici, diciassette anni, facevo ancora il liceo. Scrissi a tutti gli editori importanti, lettere sicuramente maldestre. Volevo entrare in quel mondo, benché non sapessi nulla del mestiere. Mi risposero tutti. Ma proposte concrete furono in due a farmele, Rizzoli e Garzanti. Accettai quella di Garzanti che mi assumeva come lessicografa, perché lavorassi a un dizionario bilingue italiano-francese. Gli amici mi dicevano chissà che noia. Io invece mi sono divertita tantissimo. La ricerca di tipo quasi poliziesco sulle parole servì tra l’altro a fissare profondamente le due lingue che già praticavo. E intanto capivo che avevo avuto una giusta intuizione: il lavoro editoriale si situa al punto d’incontro tra la creazione letteraria, artistica, la nascita del libro e il suo commercio, è il centro di vero tramite. Era stato quello ad attrarmi, un lavoro che mi corrisponde».
Che lettrice era all’epoca, quali sono stati gli autori della sua formazione?
«Shakespeare, tutto, e in particolare quello storico, il Riccardo II. E poi Stendhal, in particolare La certosa di Parma, un libro che mi ha costruita. Tra gli italiani, Bandello e Machiavelli».
In Garzanti, dove rimase poi per vent’anni, la giovanissima lessicografa fece uno a uno gli scalini che conducevano alla direzione editoriale. Era la Garzanti di Livio, e di Piero Gelli. I titoli che le piace ricordare?
«Gli Scritti corsari di Pasolini, mi venne un colpo quando lo lessi, penso che oggi andrebbero riletti. Un paese senza, un libro in cui Arbasino ha detto tutto. E poi Danubio di Magris, straordinario».
Al 1989 risale il grande salto, da Milano a Parigi. Raccontano (anche qui non lei, ma le cronache) che l’incontro con Antoine Gallimard avvenne a una serata danzante durante la Fiera di Francoforte. Teresa Cremisi, che intanto era diventata madre di due gemelli (oggi uno è avvocato, l’altro - fisico - studia le nanoparticelle), saltò sull’occasione. Il catalogo Gallimard è uno dei più belli al mondo.
«Ogni casa editrice ha dei geni che vanno rispettati. Il catalogo li rispecchia. Quando si decide di fare un libro bisogna tener conto della storia, delle caratteristiche del catalogo, il libro deve corrispondere».
Che cosa la entusiasma di più nel lavoro che fa?
«Trovare autori, saper scovare libri che contano è certo importante, però è solo uno degli aspetti del lavoro editoriale, che comprende tanti mestieri. La parte di cui mi occupo io riguarda la gestione umana, è direzione d’impresa. Un lavoro di squadra, il cui andamento dipende dalle qualità di uomini e donne che la compongono. Bisogna avere idee, molte delle quali muoiono subito, altre muoiono poi, alcune emergono, sono quelle buone. Idee che devono sentire l’aria del tempo, l’ambiente, ed esprimerli: accompagnando i creatori e precedendo di un po’ il gusto del pubblico. Un mestiere insomma in cui si deve saper essere umili. E tener conto che ogni decisione si porta dietro un modello economico».
In Gallimard è noto che ha stretto amicizie importanti, ha lavorato fianco a fianco con Kundera, Quignard, Modiano, Sollers.
«Sì, gli incarichi possono cambiare, gli amici restano. Philippe Sollers ha pubblicato adesso un libro che mi è molto piaciuto, Discours parfait, una vera miniera. I geni di Gallimard sono letterari. Qui in Flammarion invece ci sono geni forti dal lato del sapere. una casa editrice nata nel 1876, animata dalle illusioni tipiche dell’Ottocento, la fiducia nelle scienze, nel progresso, nella cultura per tutti, che non ha al centro la ricerca letteraria, bensì ciò che può servire all’honnête homme, senza pretese elitiste».
Che linea ha tenuto in questi cinque anni?
«Non una, una quantità: si può spaziare dal Nobel alla manualistica, ma cercando il meglio di ognuno e soprattutto puntando alla chiarezza. Abbiamo cercato di reiniettare nuovi titoli, abbiamo anche rifatto le copertine, ma sempre senza stravolgere il carattere delle edizioni. C’è un catalogo, c’è un nucleo, fatto di scienza, storia, filosofia. Cerchiamo di sfruttarlo al massimo e partendo di lì, di inventare».
Una sua creatura?
«Una piccola collana che mi dà molte soddisfazioni, s’intitola Café Voltaire. L’abbiamo chiamata così perché i locali in cui siamo erano sede del celebre luogo di ritrovo. Testi di grande qualità che commissiono. La ricetta? Un’idea forte e attuale, una penna, un soggetto scritto. Il best seller è Les religions meurtrières di Elie Barnavi, uno dei primi. Un’altra riuscita è la collana in collaborazione con Le Monde, quella dei "libri che hanno cambiato il mondo", dovevamo fare venti titoli siamo già a trentacinque. Prima abbiamo fatto i grandi testi della filosofia, anche quelli da venti sono diventati trentotto. Poi è entusiasmante acquisire cataloghi: noi abbiamo Casterman ad esempio, di grandi autori illustratori. In Francia il fumetto è molto importante, pubblichiamo da Pratt a Tintin e cerchiamo nuovi autori sia per ragazzi che per adulti. Nel settore dei tascabili, dove è storica la collana dei classici, i bellissimi Garnier-Flammarion, abbiamo rinnovato ”Champs”, che è molto forte, scienze umane. E abbiamo ripreso ”J’ai lu”, che fa mass market, va dai libri pratique, ad esempio Je ne sais pas maigrir che ha venduto un milione e ottocentomila copie, a titoli molto ambiziosi, come La nuit sexuelle di Pascal Quignard o Les disparus di Daniel Mendelsohn (che ha avuto il Médicis). Per l’autunno avremo il nuovo Houellebecq, che torna al romanzo, un libro che sarà importante, lo sto aspettando con impazienza. E pubblichiamo Yasmina Reza, Catherine Millet: insomma, cominciamo ad avere autori di grande peso».
Come si accinge ora ad affrontare una realtà editoriale diversa?
«Trasferirò in Italia la mia esperienza, ma adattandola al contesto. L’editoria è quanto di più radicato ci sia in una lingua, pensare di trasferire di là regole che hanno funzionato di qua sarebbe sbagliatissimo. Ricomincerò con il lavoro di squadra. Collaborerò con persone che conosco, come Elisabetta Sgarbi o Paolo Zaninoni. Sarò felice di ritrovare editori indipendenti come Calasso o Demichelis, miei amici da molto tempo. E poi farò l’imprenditrice, come faccio in Francia».
Un settore su cui punterà?
«I tascabili, hanno potenzialità enormi».