Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 19 Mercoledì calendario

CARI TERRESTRI, SALUTI DA VEGA

Quando il pilota dell’elicottero fa un cenno con la mano per farmi capire che siamo arrivati, e che fra poco inizierà la discesa, l’unica cosa che vedo in mezzo al mare è un francobollo con una fiammella che brucia. Siamo arrivati dove? Poco prima di atterrare, quando è ormai chiaro che quel francobollo è Vega, che con le sue 26 mila tonnellate di stazza è la piattaforma petrolifera più grande del Mediterraneo, sul microscopico eliporto, accovacciati dietro una scaletta, vedo due uomini vestiti da Goldrake: tuta ignifuga argentata – con guanti e scarponi in tinta ”, casco nero, tubo rosso in mano. Sono due tecnici pronti a intervenire in caso d’incendio. Qui, con il fuoco, non si scherza. E nemmeno con le scintille. Sono venuto a vedere come si lavora, e si vive, in queste strutture in mezzo al mare, diventate tristemente famose nelle scorse settimane dopo che un impianto della British Petroleum, affondando nel Golfo del Messico, ha causato in Louisiana un disastro ambientale senza precedenti.
Posizionata a 25 chilometri a sud della costa meridionale della Sicilia, al largo di Pozzallo, in provincia di Ragusa, Vega esiste dal 1987, quando i tecnici della Edison – la società italiana proprietaria della piattaforma – l’appoggiarono sul fondale con una struttura tubolare alta 120 metri, per poi «inchiodarla» a una profondità di 70 metri. stata progettata per resistere a venti fino a 180 km/h, onde marine di 18 metri, terremoti del 9° grado della scala Mercalli. Che vuol dire tanto, ma anche niente, come si è visto. «Non riesco a capire che cosa sia successo all’impianto della Bp», dice lo svedese Sten Stromberg, ingegnere minerario, supervisore delle attività Edison in Sicilia e responsabile di Vega, dall’88 al lavoro su piattaforme in Scandinavia, Centrafrica e Canada. «Quando troviamo gas e greggio a pressione elevata le valvole di sicurezza entrano automaticamente in funzione. Adesso, il ministero dello Sviluppo economico ha deciso di fare controlli sulla sicurezza anche da noi. Siamo tranquilli. D’altra parte, nel Golfo stavano facendo un lavoro diverso: perforavano il fondale – per preparare nuovi pozzi – attraversando più di mille metri di mare. Noi ci limitiamo a estrarre, andando a ”succhiare” il greggio a una profondità di 2.800 metri. Di cui, però, ”solo” 120 d’acqua». Il giacimento, che si estende su 28 chilometri quadrati, garantisce un milione di barili l’anno, ed entro dieci anni si esaurirà. «Con 20 pozzi in funzione, si estrae greggio pari a poco meno dell’1 per cento del fabbisogno italiano».
Sulla Vega lavorano dai 15 ai 50 tecnici, che giorno e notte fanno turni di 12 ore – per garantire un’attività ininterrotta 365 giorni l’anno – rimanendo a bordo due settimane di fila. Le due successive restano a casa. Adesso in servizio ci sono 24 persone, quasi tutte siciliane. Sulla nave Leonis, ex petroliera da 110 mila tonnellate di carico che fa da «serbatoio» di Vega – è ancorata a 3 chilometri di distanza, e riceve il petrolio grazie a una rete di condotte sottomarine – ce ne sono invece 10 -12.
Girando per la piattaforma, la prima cosa che si nota è l’oscillazione – leggera ma costante – di ogni cosa. normale, ma all’inizio fa impressione. Gli oblò di tutti gli ambienti – uffici, laboratori, officine – sono ciechi: chiusi con l’acciaio a tenuta stagna per evitare che entri il gas disperso. forse l’unico posto al mondo dove non si può fumare all’aperto, ma solo in una stanzetta senza finestre. Il mare è mosso e c’è vento, tanto vento, uno dei problemi maggiori assieme alle correnti. «Rispetto al Mare del Nord», spiega Stromberg, «qui le condizioni meteo non sono proibitive, almeno non sempre. Là spesso la temperatura va sotto zero e le onde arrivano a 20 metri. Per non parlare del Golfo del Messico, dove gli uragani sono frequenti».
Il protocollo prevede che ogni spostamento del personale all’inizio e alla fine delle due settimane di servizio avvenga con una motonave, anche se spesso ”con il mare grosso – si torna a casa con l’elicottero. I rientri straordinari sono più unici che rari.
«Non mi lamento di questa vita», dice Gianni S., 47 anni, di Siracusa, «perché mantengo la mia famiglia e in vent’anni di Vega sono anche riuscito a comprarmi una casa. Ma come marito, padre e amico sono sempre a mezzo servizio. Se potessi scendere, e lavorare come i ”terrestri”, lo farei». Rispetto a una pari qualifica a terra, gli stipendi dei professionisti imbarcati sono più alti del 30-40 per cento. Un capo turno, per intenderci, a fine mese porta a casa sui 3 mila euro. Ovviamente il personale non manca e non è mai mancato. «La vita a bordo è molto migliorata», racconta Angelo M., 58 anni, di Modica, «ma c’è sempre chi fa fatica ad accettare la situazione. Stare qui, se hai problemi a casa, è dura. Ricordo un operaio gelosissimo della moglie, che piangeva disperato. Dopo un paio di turni decise di andar via: disse che doveva metterla incinta, altrimenti l’avrebbe lasciato. Per stare su una piattaforma bisogna avere un carattere forte: mio padre è morto d’infarto e io ero qui. stata dura, ma poi sono andato avanti. Dopo tanti anni, ho trovato il mio equilibrio: sto bene qui, e forse lavorare di nuovo a terra non sarebbe la stessa cosa. Può sembrare strano, ma molti di noi non tornerebbero indietro. E poi, lo devo ammettere, un lavoro con questi ritmi ha aiutato il mio matrimonio a durare: si torna a casa con più slancio e voglia di esserci».
La mensa è aperta, a fasi alterne, dalle 6 alle 23. Per venire incontro agli orari di tutti. Oltre a colazione, pranzo e cena, gli addetti servono anche due merende: a metà mattinata e a metà pomeriggio. Il cuoco, Domenico C., 56 anni, di Torre del Greco, è stato su decine di piattaforme: America, Egitto, Libia, Norvegia. «Qui sto bene perché sono più vicino alla mia famiglia. Mia moglie non ne poteva più di stare da sola per mesi. Due settimane di assenza, rispetto a prima, sono niente».
Alta 47 metri – dal livello del mare – larga 40 e lunga 70, Vega ha spazio anche per una sala tv, una piccola palestra e una sala giochi con biliardo, biliardino, ping-pong. E c’è anche qualcuno che si diverte a pescare. «Essere fuori dal mondo per due settimane», dice Stromberg, «lavorare e vivere nello stesso posto, in queste condizioni, porta a ingigantire un po’ tutto. Qui, dopo uno screzio, non si può andare a casa e dimenticare. Quindi – per evitare incomprensioni e stress – è importante operare nelle condizioni migliori, anche di svago. Noi di Edison, fortunatamente, non abbiamo incidenti seri, cioè con più di tre giorni di riposo, da più di 7 mila giorni. L’ultimo episodio grave è stato nel 2001: un operaio scozzese, di una ditta esterna, è morto cadendo dall’impalcatura del pozzo che stava smontando».
L’area notte non è da grande hotel, ma è funzionale e pulita. Ogni stanzetta ha un letto a castello e un bagno. Girando per il corridoio, vedo che due camere sono impegnate da operai impegnati con il computer portatile.
«Quel coso lì è comodo ma ha cambiato tutto», dice Maurizio D., 47 anni, di Pozzallo. «Prima, alla fine del turno, si stava più insieme: per giocare a carte, vedere un film, o dire due cazzate in allegria. Adesso, dopo aver mangiato, quasi tutti se ne vanno nelle loro stanze e stanno con gli occhi incollati allo schermo per ore. un peccato». Dopo cena, prima di andare a dormire, su uno dei ponti sul lato lungo di Vega, Salvatore C., 48 anni, di Augusta – che i colleghi chiamano Robbie Williams perché un po’ assomiglia alla pop star inglese ”, si avvicina e, con i capelli arruffati dal vento, dice: «Ho due figli di 7 e 13 anni, e da quando lavoro qui sopra, 4 anni, le loro maestre e professoresse sanno chi sono. Quando torno a casa faccio veramente il padre e il marito: sono una presenza concreta, non a parole. Ci sto dalla mattina alla sera. Vado a prenderli a scuola, gioco con loro, vedo come crescono. Le persone che fanno un lavoro e una vita ”normali” quante ore al giorno riescono a vedere i loro figli?».