Marco Ferrante, Il Riformista 14/5/2010, 14 maggio 2010
LA STRETTA DALLA SANIT
Come ridurre il peso finanziario degli Stati, è la questione che sta al centro delle discussioni di tutti i governi europei e delle decisioni di questi giorni. Grecia, Francia, Spagna, Portogallo (ordine cronologico) hanno annunciato progetti di contenimento della spesa pensionistica e per il pubblico impiego. Il governo italiano - anch’esso intenzionato a intervenire sui contratti pubblici - intanto ieri è partito con un’indicazione sulla spesa sanitaria. Non ci saranno ripiani dei deficit di quattro delle cinque regioni a statuto ordinario con la sanità commissariata, Lazio Molise, Campania e Puglia (l’Abruzzo si è rimesso in linea e anche la sesta regione commissariata la Sicilia a statuto speciale sta procedendo). Le regioni non potranno ricorrere ai contributi Fas, e se non razionalizzano le spese, come prevede la Finanziaria, dovranno ritoccare le addizionali Irpef e Irap. Le regioni invocheranno le ingiustizie del centralismo e anche quelle del federalismo venturo, abusi di potere, iniquità e molto altro, ma è chiaro che lo stato dei nostri conti, la dimensione internazionale della crisi e l’esempio che arriva dagli altri paesi europei vanno considerate condizioni irripetibili per un serio ripensamento del perimetro dello Stato.
Come ha spiegato Piero Ostellino sul Corriere della Sera del 7 maggio questa crisi dei debiti pubblici mette in discussione lo Stato moderno, le sue dimensioni e il suo peso sulla società.
L’Europa sta reagendo con scelte qualitative molto simili, che non sono il risultato di un coordinamento, ma semplicemente le uniche razionali. Tutti i paesi partono dalle pensioni e dal pubblico impiego, perché lì esistono degli squilibri.
La Grecia con un rapporto debito-Pil al 115 per cento e un deficit del 13,6 ha scelto di congelare stipendi e pensioni fino al 2014, di ridurre i bonus, e di bloccare gli extra per stipendi e pensioni massime; sarà alzata l’età minima delle pensioni a 65 anni (per donne e uomini), con il passaggio al contributivo e l’abolizione delle pensioni baby.
La Francia debito-Pil al 77,6 per cento e deficit al 13,6 per cento ha annunciato per il triennio 2010-2012 nel pubblico impiego un blocco del turn over e misure di congelamento delle retribuzioni, in un quadro complessivo di riduzione della spesa sociale del 10 per cento in tre anni.
La Spagna, un debito del 53,2 per cento del Pil – paese con buoni fondamentali nonostante lo scoppio della bolla immobiliare il cui effetto sui conti pubblici è stata un’impennata del deficit all’11,2 per cento – prevede un piano molto severo, che è stato illustrato due giorni fa da Josè Luis Zapatero, un terzo del quale concentrato su pubblico impiego e pensioni. Stipendi ridotti del 5 per cento quest’anno e congelati il prossimo (4 miliardi di euro) simbolicamente compensati da un taglio del 15 per cento degli stipendi dei membri del governo. Inoltre viene eliminata l’indicizzazione delle pensioni ordinarie all’inflazione.
Ieri sono arrivate anche le decisioni del Portogallo (debito-Pil 77 per cento), misure simili a quelle spagnole: riduzione del 5 per cento degli stipendi degli impiegati pubblici con maggiore anzianità e taglio simbolico alle retribuzioni dei politici. Obiettivo riportare il deficit sotto il 5 per cento, dal 9,4 del 2009.
Quanto all’Italia (debito-Pil sopra il 116, deficit al 5,3), in questi giorni sono cominciate a circolare indiscrezioni sulla manovra. Ci sarebbe una parte delle misure su cui sta lavorando il ministero dell’Economia destinate a insistere sul pubblico impiego, forse un blocco dei rinnovi contrattuali, che consentirebbe secondo le stime della Corte dei Conti un risparmio di poco più di 5 miliardi nel triennio. Il peso degli stipendi pubblici italiani è pari all’11,2 per cento del Pil per tre milioni e seicentomila persone. Le ipotesi giornalistiche di queste ultime ore parlano di tagli possibili sopra i due miliardi. Si parla anche di un’ipotesi di blocco del turnover. Nel governo e nella maggioranza si discute di una questione politica: se l’occasione della crisi possa essere sfruttata per avviare riforme strutturali e spostare risorse pubbliche dalle sacche improduttive della spesa (e nel pubblico impiego ci sono) sui settori produttivi senza subire danni in termini di consenso. L’assenza di appuntamenti elettorali a breve suggerisce coraggio nelle scelte.
In tutta Europa non è in discussione la funzione sociale dell’impiego pubblico. Ma semmai iniquità e distorsioni che scelte politiche sbagliate hanno favorito negli ultimi sessant’anni, concedendo al dipendente pubblico un’identità e uno status separato. E si ragiona, inoltre, sulla sostenibilità economica di quella parte di pubblica amministrazione che certe volte sembra vivere nell’autoreferenzialità.