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 2010  maggio 14 Venerdì calendario

I TANGO BOND E I CONSIGLI (INTERESSATI) DELLE BANCHE

Dobbiamo dare atto a Nicola Stock, il presidente della Task Force Argentina, di essere stato coraggioso questa volta nel cambiare opinione. Ieri l’associazione nata su stimolo e con il denaro delle banche italiane e dell’Abi per «dare consulenza e rappresentare gli interessi degli investitori italiani in titoli argentini» ha mandato un messaggio onestamente sincero: ai 180 mila obbligazionisti italiani, che avevano aderito all’iniziativa dopo il crac della repubblica sudamericana nel drammatico dicembre del 2001 ieri, la Tfa ha inviato delle missive a casa per sottolineare che «la decisione riguardo alla convenienza dei termini e delle condizioni contenute nel documento di offerta è interamente ed unicamente rimessa all’investitore destinatario dell’offerta. La Tfa, pertanto, non assume alcuna responsabilità in ordine alle scelte che saranno assunte, in piena libertà dall’investitore». Il motivo? Dall’approfondita analisi del documento sullo swap – presentato circa due settimane fa – risulta a Stock che l’offerta sarebbe «peggiorativa» rispetto alla stessa offerta di concambio dei titoli in default che l’Argentina aveva presentato al mondo e agli italiani nel 2005. Per inciso, che l’offerta fosse «peggiorativa» l’aveva testimoniato proprio al Corriere lo stesso ministro delle Finanze di Buenos Aires, Amado Boudou dieci giorni addietro. Ma non è questo il punto. Che lo swap 2010 sia ancora più penalizzante di quello del 2005, come peraltro ci si poteva attendere, è la riprova che sarebbe stato allora meglio accettare la proposta capestro – intendiamoci, anch’essa lacrime e sangue per i creditori che avevano dato fiducia all’Argentina – cinque anni fa. Torna dunque utile fare uno sforzo con la memoria e andare a quel 14 gennaio del 2005 quando la Tfa rese pubblico un comunicato’ comparso anche negli spazi pubblicitari dei giornali – dove a caratteri cubitali si leggeva: «Se hai bond dell’Argentina NON ACCETTARE L’OFFERTA». Certo, seguiva un «senza riflettere» con corpo ridotto. In fondo al documento, con corpo ridottissimo, si leggeva che ogni decisione dell’investitore rimaneva «autonoma». Ma resta il fatto che non a caso i risparmiatori italiani siano stati il nocciolo duro del no all’Argentina nel 2005.
Stock è stato in questi anni il vero accusatore della Casa Rosada. Ha rilasciato interviste tuonando contro la «cattiva» Argentina che non voleva ripagare il proprio debito e spingendo i creditori verso il contenzioso. Ha sollevato il caso presso l’Icsid, un arbitro internazionale della Banca Mondiale (con il risultato che dopo 9 anni dal crac l’Icsid deve ancora capire se la questione sia di propria competenza e il caso è stato battezzato "Lodo della speranza"). indubbio che si sia creato un rapporto fiduciario e che molti Tango bondholder guardino a Stock per decidere cosa fare.
Come se non bastasse ieri la Tfa ha anche diramato un comunicato per sottolineare che «è difficile esprimere una valutazione sulla durata e sulle probabilità di successo della fase di merito» dell’arbitrato. Insomma, i 180 mila obbligazionisti i cui interessi dovevano essere rappresentati dalla Tfa sono stati lasciati soli nella loro decisione. Era stato lo stesso Stock a precisare che per aderire all’iniziativa presso l’Icsid non si poteva fare contestualmente causa alla propria banca. O l’una o l’altra. Forse sarebbe stato sufficiente fare una riflessione sulle responsabilità’ oltre che dell’Argentina che rimane il principale imputato – anche degli istituti di credito nella imponente vendita di titoli argentini ai piccoli risparmiatori italiani.
m.sid.