Michela Proietti, Corriere della Sera 14/05/2010, 14 maggio 2010
LA CAMICIA PATCHWORK DEL PREMIER, PRESA DI DISTANZA DALL’ITALIA
Per la stampa internazionale un «fashion disaster», una scelta che rappresenta quello che i sondaggi dicono già: «Hatoyama è fuori dal mondo». Il calo di popolarità del premier giapponese ha avuto il colpo di grazia dopo aver indossato l’ormai celebre camicia patchwork. L’incauto look da casual Friday ha rischiato di trasformarsi in un boomerang anche per la sartoria pugliese G. Inglese che rifornisce il premier. Per un momento si è creduto che la camicia indossata su un dolcevita nero (elemento aggravante) fosse stata cucita nei laboratori di Ginosa, gli stessi dove anche Gianni Agnelli si faceva confezionare le polo-camicia in popeline. «Giammai!», smentisce il direttore Angelo Inglese. «Il premier ci chiede camicie per gli incontri ufficiali, ma quel modello obbrobrioso non è nostro». Come si può entrare in un negozio e tra tutte le camicie disponibili scegliere questa? La domanda che tiene banco in rete, rimane comunque senza risposta. «La cosa è ancora più inspiegabile se si pensa che a sceglierla è stato un giapponese: sono notoriamente eleganti e sobri». Un compendio del «tutto sbagliato», dal taglio al tessuto, lontano anni luce dalle tele biellesi e dai filati svizzeri usati dalla sartoria pugliese. «A colpo d’occhio sembra un popeline di scadentissima qualità», commenta Inglese, che esclude l’ipotesi «flanella» solo per motivi stagionali. Altro punto dolente, la vestibilità. « pessima: spalle scese, fianchi abbondanti. Il tutto è peggiorato dalla scelta di infilarla dentro ai pantaloni». Nel laboratorio celebrato anche dal blog Sartorialist, le camicie vengono tagliate dal 1955 con metodo certosino: 25 operazioni per ogni capo (dal filo di seta per gli orli ai bottoni in madreperla) e se il tessuto è impalpabile viene rinforzato da una pettorina per evitare trasparenze. «Anche i modelli più sportivi sono curati nei minimi dettagli: nel Capri il collo rimane in piedi perché la lista e la vela sono un unico pezzo di tessuto. Se il premier ce ne avesse chiesta una non si sarebbe scatenato questo putiferio». Errori grossolani come quelli di Hatoyama sono difficili da ripetere, ma la scelta della camicia richiede attenzione. «Una bella camicia si riconosce dal collo. Le nostre hanno 13 punti di cucitura in un centimetro, l’effetto è quello di un orlo invisibile». La storia, per la G. Inglese, ha comunque un lieto fine. «Ieri ci ha chiamato il rivenditore norvegese e ci ha detto che il Re, divertito dalla vicenda, ora vuole una camicia Inglese».
Michela Proietti