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 2010  maggio 14 Venerdì calendario

IL DOLLARO E UN PRIMATO A RISCHIO

Finora abbiamo percepito soltanto qualche lieve tremore. La crisi finanziaria ha danneggiato alcune economie avanzate, suscitando dubbi sull’affidabilità creditizia a lungo termine di paesi come la Grecia, l’Irlanda, l’Italia, il Portogallo, la Spagna e persino il Regno Unito. Questi tremori faranno vacillare l’economia globale, ma sono poca cosa rispetto alla madre di tutti i terremoti: un declino brusco e tumultuoso del dollaro. (...)
Si pone l’inquietante possibilità che la supremazia del dollaro abbia ormai gli anni – e non i decenni – contati.
 difficile immaginare come potrebbe svolgersi un declino così brusco e tumultuoso. In passato le valute avevano qualche relazione con l’oro o l’argento; questo legame è stato spezzato del tutto soltanto negli Anni Settanta. Oggi il sistema monetario internazionale poggia su una valuta a corso forzoso: una valuta che non ha valore intrinseco e non è sostenuta da metalli preziosi, e il cui valore non è fissato in alcun modo.
In un certo senso il dollaro occupa attualmente il ruolo ricoperto a suo tempo dall’oro; un suo crollo avrebbe oggi lo stesso effetto che si sarebbe prodotto se i reggenti e i banchieri dei secoli passati, nell’aprire i forzieri, avessero scoperto che le loro preziose monete si erano trasformate in polvere. Un tale scenario potrebbe un giorno realizzarsi se gli Stati Uniti continueranno a generare disavanzi esplosivi. La Cina probabilmente continuerà ad acquistare il debito Usa, ma altri Paesi più piccoli potrebbero cominciare a muoversi lentamente verso l’uscita. Questo potrebbe provocare un fuggi fuggi generale al quale neppure la Cina potrebbe sottrarsi. Quali che siano i vantaggi dell’attuale sistema per quest’ultima, a un certo punto i costi potrebbero superare i benefici.
Gli Stati Uniti si trovano a un bivio. Se non rimettono ordine nei conti pubblici e non aumentano i risparmi privati, la probabilità di un evento sismico di questa portata non potrà che aumentare. fin troppo facile immaginare uno scenario in cui questo potrebbe verificarsi, particolarmente se nei prossimi anni si arrivasse a una situazione di stallo politico. I repubblicani metterebbero il veto a un aumento delle imposte, i democratici si opporrebbero ai tagli della spesa. La monetizzazione del deficit, ottenuta stampando moneta, diverrebbe la via di minor resistenza. L’inflazione così generata avrebbe l’effetto di erodere il valore del debito pubblico e privato detenuto nel mondo.
Gravati da questa «imposta da inflazione», gli investitori di tutto il mondo sarebbero portati a disfarsi dei dollari e ad acquistare la valuta di un Paese con una migliore reputazione di responsabilità fiscale. Se ciò accadesse, gli Stati Uniti ne pagherebbero le conseguenze. Finora siamo riusciti a emettere debito nella nostra valuta anziché in quella di altri Paesi, trasferendo sui nostri creditori il costo di una perdita di valore del dollaro. Se altri Paesi ci negassero improvvisamente questo «esorbitante privilegio» l’onere ricadrebbe su di noi e i costi dell’indebitamento aumenterebbero bruscamente, trascinando in basso il consumo, l’investimento e, in ultima analisi, la crescita economica. I prezzi di tutte le importazioni – dai giocattoli di plastica da due soldi provenienti dalla Cina ai barili di petrolio dell’Arabia Saudita – aumenterebbero, pregiudicando uno stile di vita che gli americani considerano ormai un diritto di nascita. In questo processo il dollaro diventerebbe soltanto un’altra valuta tra tante. (...)
Per superare le sfide che ci attendono sarà necessario un livello di cooperazione internazionale che in anni recenti è stato palesemente assente. Resta da vedere se le maggiori economie mondiali vorranno cooperare per il bene comune. Se gli Stati Uniti e la Cina resteranno concentrati sui propri interessi nazionali a breve termine, gli squilibri mondiali continueranno ad aggravarsi, e un sistema monetario internazionale già fragile potrebbe cedere sotto il peso delle tensioni e degli stress accumulati. In verità, l’esperienza storica parrebbe suggerire che stiamo vivendo un momento particolarmente vulnerabile nella storia finanziaria. In passato le crisi bancarie come quella che abbiamo appena vissuto sono state spesso il preludio di un’ondata di inadempienze sul debito sovrano e di crolli valutari. Le economie danneggiate dagli effetti dello scoppio delle bolle speculative e dalle conseguenti crisi bancarie potrebbero continuare a trascinarsi ancora per qualche tempo, ma molte finiranno per cedere, vittime delle ferite accumulate. Se gli squilibri di conto corrente che hanno preceduto la crisi recente continueranno a crescere a dismisura, tale eventualità sarà particolarmente probabile; e se la situazione dovesse precipitare, quanto accaduto in Islanda non sarebbe che un assaggio del destino che attende il mondo intero.