MASSIMO L. SALVADORI, la Repubblica 14/5/2010, 14 maggio 2010
L´UNITA’ D´ITALIA E GLI ASSALTI DELLA LEGA
Tra le tante polemiche che occupano l´attenzione delle forze politiche e l´opinione pubblica nel nostro paese un posto centrale ha assunto con sempre maggiore crescendo quella che attiene alla celebrazione del centocinquantenario dell´unità d´Italia. E da una parte stanno coloro che intendono provvedervi in modo consono al significato di un evento di simile importanza, dall´altra i leghisti – ministri della Repubblica in testa – che si chiedono che cosa mai vi sia da celebrare e perché dunque si debba farlo.
Occorre anzitutto svolgere una riflessione preliminare su che cosa si intende per celebrare. Certo, chi volesse dar fiato alle trombe della retorica nazionalista imboccherebbe la strada sbagliata, ma chi all´opposto volesse opporre ad esse la retorica antirisorgimentale e antiunitaria entrerebbe nel tunnel senza uscita dell´«antistoria». Ci pare che in proposito un solido punto di partenza lo abbia ripetutamente indicato il Presidente Napolitano: intendere il centocinquantenario come una riflessione sul cammino di uno Stato che, quali che ne siano state le fragilità, ha costituito la realtà nostra, con cui nel passato gli italiani hanno dovuto misurarsi e continuano a dover misurarsi, tirando insieme i conti che tornano e quelli che non tornano.
Ma cerchiamo di dare una risposta alla domanda, che oggi viene avanzata con insistenza dai leghisti, se «fare l´Italia» non sia stata una forzatura o tout court «uno sbaglio». I sostenitori di questa posizione si fanno forti dell´argomento che nella mente di Cavour, prima dell´«avventura» garibaldina nel Mezzogiorno la quale gli cambiò, per così dire, le carte in tavola, non albergava il progetto della formazione in Italia di uno Stato unitario e che questo non albergava neppure in quella del federalista Cattaneo. In effetti così è. Ma è altrettanto vero che l´Italia unita diventò un fatto sotto la spinta di forze – élites, ceti medi e strati popolari – che prevalsero con la loro determinazione creando il contesto in cui il popolo italiano ha vissuto dopo il 1861. I suoi problemi, le sue prospettive, le sue speranze e le sue delusioni, i suoi insuccessi ma anche – non dobbiamo dimenticarlo – i suoi successi sono cresciuti in tale contesto. E da esso e non da un altro la sua vicenda ha preso origine ed è venuta a mano a mano dipanandosi.
Volendo addentrarci nei meandri dell´arte ingrata della storia ipotetica ovvero della storia che non c´è stata, viene da pensare che l´alternativa allo Stato unitario nella forma centralistica in cui si affermò sarebbe stata non già uno Stato federale – all´interno del quale sarebbe risultata una vera e propria quadratura del cerchio la creazione di organi di governo comune dotati della sufficiente forza ed autorità per impedire un rapido processo all´indietro - ma una confederazione di Stati destinata con ogni probabilità a non durare in relazione ad una duplice difficoltà: per un verso la disparità di tradizioni culturali e civili, di sviluppo economico e sociale, di criteri di governo politico e amministrativo; per l´altro un deciso squilibrio di forza, in primo luogo militare, tra gli Stati membri a favore del Regno sabaudo dell´Alta Italia, che è ben da ritenere avrebbe reso quanto mai difficile mantenere un vincolo precario quale quello confederale. L´altra alternativa ipotizzabile è un´Italia indipendente dallo straniero ma costituita da Stati a loro volta indipendenti l´uno dall´altro. Il che avrebbe comportato in un certo modo il ritorno all´Italia degli Stati regionali quattro’cinquecenteschi caduti poi sotto la dominazione straniera. L´analogia non è affatto una forzatura. Un´Italia formata da Stati indipendenti (ma anche eretta in una federazione debole o in una confederazione ancora più debole) avrebbe dovuto confrontarsi con le grandi potenze europee. Vasi di coccio tra vasi di ferro, alla ricerca ciascuno di proprie alleanze in una condizione penosamente subalterna. Lo Stato unitario fu la risposta di un´Italia in grado di sopravvivere nell´età del nazionalismo, dell´imperialismo e del militarismo industrializzato. Si trattò di una risposta condizionata da fattori di partenza sfavorevoli, protrattisi in seguito a lungo e alcuni non superati, quali la povertà complessiva del paese, gli squilibri territoriali e la profonda arretratezza di molte delle sue parti, la mancanza di adeguate risorse atte a promuovere in tempi accelerati e robustamente la modernizzazione economica, le acute contrapposizioni ideologiche e politiche, il difetto di egemonia delle classi dirigenti nei confronti delle masse lavoratrici, lo scontro tra lo Stato e la Chiesa che non lo riconosceva, il conseguente stabilirsi di un regime politico bloccato destinato a riprodursi in futuro e la debolezza del consenso popolare dato alle istituzioni. Nessuna celebrazione ha senso senza confrontarsi con questi e altri elementi ma al tempo stesso con il dato che la costruzione dello Stato unitario non ha avuto alternative credibili. La sola storia concreta con cui possiamo e dobbiamo misurarci è quindi la storia dell´unità italiana. Essa è la nostra eredità, da cui partire per andare avanti.
Il che, chiariamolo ancora, non vuol dire ovviamente non guardare all´unità, alle sue inadempienze e ai suoi difetti di natura istituzionale, sociale e civile con il necessario occhio critico; partendo oggi in primo luogo dalla consapevolezza che gli Stati nazionali europei hanno assunto una fisionomia che li rende assai diversi da come si erano presentati e avevano esercitato il loro ruolo nell´Ottocento e per gran parte del Novecento fino a quando essi – e soprattutto le maggiori potenze al cui novero l´Italia ha ambito e preteso di appartenere per oltre un secolo – intesero far prevalere la loro sovranità assoluta. Al pari degli altri Stati europei, anche lo Stato italiano non è più quello di un tempo. E´ membro dell´Unione Europea e la sua economia e la sua politica ne sono parte integrante; opera in un mondo globalizzato; in esso – come anche in Spagna, Gran Bretagna, in Belgio e altrove - l´involucro unitario centralistico è stato ed è scosso dalla rivendicazione di autonomie politiche, amministrative ed economiche. In un simile panorama non può che assumere un carattere positivo una riflessione persino spregiudicata sulle modalità in cui l´idea di unità italiana si è sviluppata e ha trovato attuazione nel corso di un secolo e mezzo e su quelle atte, mediante opportune riforme istituzionali e costituzionali, a rendere il paese meglio governabile e governato. Si può, e si deve concedere, che la «protesta leghista» ha posto e pone questioni che richiedono soluzioni. Ma le sue forme e finalità presentano un volto regressivo in quanto essa, che rivendica come prima tappa il federalismo fiscale, viene avanzata avendo per permanente ispirazione il separatismo, che, quali che siano i compromessi che Bossi e i suoi siano indotti ad accettare, resta pur sempre il suo nucleo ideologico e politico propulsivo.
L´interrogativo che la Lega pone al paese, proiettandola dal presente al passato, è: perché l´unità d´Italia? un interrogativo che ne suscita un´altro: ma che sarebbe stata e cosa sarebbe l´Italia senza l´unità?