Vari (corriere.it, repubblica.it, lastampa.it), 14 maggio 2010
[Sotto 6 articoli di oggi dai siti sul caso Anemone. Sopra appunti su cosa non c’è nel pezzo di ieri per Style
[Sotto 6 articoli di oggi dai siti sul caso Anemone. Sopra appunti su cosa non c’è nel pezzo di ieri per Style.it] Cose che non ci sono nell’articolo di ieri: - Anemone oggi ha risposto agli investigatori. Avrebbe parlato di Francesco Pittorru, cui aveva regalo due appartamenti al centro di Roma e tre ristrutturazioni. Così riporta la Repubblica: «Secondo indiscrezioni Anemone, poco prima di lasciare il carcere, sarebbe stato interrogato da ufficiali di polizia giudiziaria su delega del pm di Perugia che gli avrebbero rivolto una sola, lapidaria domanda: "Il generale della Finanza Francesco Pittorru le ha mai restituito i soldi che dice di aver avuto in prestito da lei?". La risposta di Anemone pare sia stata laconica: "No". Il generale, ora passato ai Servizi Segreti, invece ha sempre detto di aver ridato ogni centesimo ad Anemone». La Sarzanini su corriere.it non usa il condizionale e dice: «L’interrogatorio si è svolto poco prima che lasciasse il carcere». - non è il primo: ha già parlato Angelo Zampolini, l’architetto al quale erano state delegate le operazioni di compravendita di appartamenti per i potenti; - Scajola ha deciso di rinunciare all’audizione ai giudici di Perugia per chiarire la vicenda del mutuo per l’appartamento vicino al Colosseo. - le dichiarazioni di Berlusconi che dice di voler licenziare chi ha sbagliato. Il possibile ruolo dell’Udc in caso di indebolimento eccessivo del Governo. [articoli] Fiorella Sarzanini, 14 maggio 2010, corriere.it Anemone ora parla e incastra il generale dei servizi segreti PERUGIA – L’interrogatorio si è svolto poco prima che lasciasse il carcere. E per la prima volta Diego Anemone ha accettato di rispondere alle domande degli investigatori. Nel muro di silenzio che aveva eretto sin dal giorno del suo arresto, si è dunque aperta una crepa. Adesso non è escluso che la situazione possa cambiare. Dopo la scelta di collaborazione di Angelo Zampolini’l’architetto al quale erano state delegate le operazioni di compravendita di appartamenti per i potenti – anche il principale indagato decide di fornire indicazioni preziose per l’inchiesta. E così «incastra» il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru, al quale aveva regalato due appartamenti al centro di Roma e tre ristrutturazioni. Ora si va avanti. E proprio al giovane imprenditore si chiederanno chiarimenti su quella lista di 370 persone custodita in un computer della sua impresa. Politici, alti funzionari dello Stato, prelati, personaggi dello spettacolo: sono decine i «clienti» di Anemone. Le verifiche affidate alla Guardia di Finanza dovranno stabilire chi abbia goduto dei favori e chi invece abbia regolarmente pagato le fatture. E soprattutto quale di questi lavori «privati» sia legato alla concessione di appalti pubblici. L’incontro all’alba Sono le 5 di domenica scorsa, carcere di Rieti. Un ufficiale della Guardia di Finanza entra nella saletta colloqui e incontra Anemone prima che lui lasci la cella per scadenza dei termini di custodia cautelare. Esibisce un ordine di perquisizione. Spiega il motivo della sua visita. Qualche settimana fa è stato interrogato a Perugia il generale Pittorru. Ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi ha raccontato che i soldi per l’acquisto delle due case erano un prestito. «Esiste una scrittura privata che lo dimostra - ha giurato - ed è custodita nella mia casa in Sardegna ». Chiede qualche giorno per avere la possibilità di recuperarla. I magistrati non credono alla sua versione, decidono di concedergli comunque il tempo richiesto. Ma quando il generale torna in Procura afferma che le carte gli sono state rubate e non può dimostrare quanto ha sostenuto. «Chiedete ad Anemone», aggiunge, sicuro che l’imprenditore confermerà la sua versione. Non va così. Dopo aver ricostruito i fatti, l’investigatore spiega ad Anemone che si dovrà procedere a controlli per rintracciare il documento. A questo punto lui accetta di parlare. E smentisce la versione fornita dallo 007. Chiarisce che tra loro non èmai stata stipulata alcuna scrittura privata e soprattutto spiega di non aver concesso al generale alcun prestito. L’investigatore non va oltre, ma le risposte di Anemone bastano a confermare l’accusa di corruzione già contestata a Pittorru. Ora è possibile che all’imprenditore sia chiesto conto di altre circostanze emerse dall’indagine. Mentre era detenuto si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. Quanto è stato scoperto finora e, soprattutto il rischio di commissariamento di tutte le sue aziende, potrebbero averlo però convinto a cambiare atteggiamento. Gli indirizzi «coperti» Un chiarimento potrebbe essere sollecitato quantomeno sul criterio di archiviazione degli appalti ottenuti tra il 2003 e il 2008 elencati in quella lista custodita nel computer del fratello Daniele. Era il 14 ottobre 2008. Nel corso della verifica fiscale avviata dalla Guardia di Finanza sull’"Anemone Costruzioni" fu trovato quel foglio. La segretaria Anna, allarmata, si premurò immediatamente di avvertire il «capo»: «Hanno aperto il pc e la cassaforte. Daniele ha detto che c’è questo mondo e quell’altro. Però sembrerebbe, da quello che sono riuscita a vedere perché mi sono messa lì vicino con una scusa, che stampavano gli elenchi di personale vecchio, lavori, ”ste cose qua». Effettivamente la lista è lunga e variegata. Oltre a politici e prelati, ci sono numerosi ufficiali della Guardia di Finanza, funzionari dei ministeri, agenti di polizia e dei servizi segreti. In alcuni casi compaiono soltanto gli indirizzi ed è su questo che si concentrano le verifiche per scoprire se questo accorgimento serva a proteggere personaggi di primo piano che potrebbero aver beneficiato di favori. Guido Bertolaso dovrà chiarire ai magistrati come mai non abbia fatto cenno nel suo interrogatorio ai tre interventi di ristrutturazione effettuati nei suoi appartamenti dalla ditta di Anemone, ammettendone soltanto uno. Stessa domanda sarà rivolta all’ingegner Rinaldi, che riceveva gli operai nelle sue dimore ed è accusato di aver agevolato l’imprenditore per i mondiali di Nuoto e per altri appalti, anche se il suo avvocato Titta Madia nega che ci siano mai stati favoritismi. E si interrogherà di nuovo anche Mauro Della Giovampaola, pure lui inserito nella «cricca » come delegato di missione al G8 della Maddalena, che avrebbe ottenuto lavori per l’appartamento di sua madre. Le altre liste Nei computer sequestrati negli uffici di Anemone e tra i documenti trovati nelle case degli indagati ci sono numerosi appunti che potrebbero svelare i nomi di nuovi beneficiari illustri dei favori elargiti dal costruttore. In particolare ci si concentra sui manager di Stato che lo avrebbero agevolato nell’aggiudicazione degli appalti pubblici. E sulla concessione dei finanziamenti alle sue società. Per questo un ruolo chiave viene assegnato dagli inquirenti al commercialista Stefano Gazzani, che si occupava delle transazioni finanziarie. Il suo nome è inserito nell’elenco delle operazioni sospette segnalate dalla Banca d’Italia: trasferimenti di denaro in Italia e all’estero che potrebbe celare il versamento di tangenti, ma anche l’acquisto di altri appartamenti. I pubblici ministeri hanno sollecitato il suo arresto e già oggi il tribunale del Riesame di Perugia potrebbe rendere nota la decisione, stabilendo così se questa parte dell’indagine debba restare nel capoluogo umbro o se invece vada trasferita a Roma come aveva deciso il giudice delle indagini preliminari e ribadito l’avvocato di Gazzani, Bruno Assumma. Il «verdetto» appare determinante per il futuro dell’inchiesta. L’eventuale trasmissione del fascicolo nella capitale, ne provocherebbe infatti la frammentazione, mentre Sottani a Tavarnesi hanno evidenziato la necessità di procedere alle verifiche «in uno stesso contesto, visto che ci trova di fronte a un’associazione a delinquere che agiva per pilotare gli appalti pubblici» e procurare un arricchimento ai suoi componenti e a tutti coloro che erano in grado di aiutarla. La dimostrazione è in quei lussuosi appartamenti che Anemone contribuì ad acquistare, oltre che per Scajola e Pittorru, anche per il genero di Ercole Incalza, potente braccio destro dei ministri delle Infrastrutture Lunardi e Matteoli. Meo Ponte, 14 maggio 2010, repubblica.it Al setaccio il sistema Anemone. Prime ammissioni, smentito Pittorru PERUGIA - Reagiscono con fair play i magistrati perugini all’annuncio dell’ex ministro Scajola ha deciso di rinunciare all’audizione per chiarire la storia del mutuo per l’appartamento con vista sul Colosseo. "Ne prendiamo atto - sottolinea Federico Centrone che dirige ad interim la Procura dato che la nomina dell’effettivo procuratore è da tempo bloccata da un ricorso al Tar - ed è ovvio che non sta a noi valutare questa decisione". Ed è lo stesso Centrone a confermare che Claudio Scajola nel fascicolo dell’inchiesta perugina è ancora ritenuto "una persona informata dei fatti". Nulla di più. In realtà negli uffici della Procura della Repubblica di Perugia c’è grande attesa per quanto decideranno (stamattina secondo programma ma la decisione potrebbe slittare alla prossima settimana) i giudici a cui è stato affidato il compito di stabilire se la magistratura perugina ha competenza per svolgere l’inchiesta. un nodo cardine della vicenda: lo stesso Scajola, nel rinunciare all’audizione, ha espresso chiaramente il dubbio che i pm perugini non siano competenti per territori su una vicenda che si sviluppa soprattutto a Roma. In attesa della decisione del tribunale però il pm Sergio Sottani continua a indagare. Ieri ha incontrato i colleghi fiorentini Luca Turco e Giulio Monferini, i magistrati che hanno avviato l’inchiesta Grandi Opere. Il perché è facile da capire: il 15 giugno a Firenze si aprirà il processo per l’appalto relativo alla Scuola Marescialli dei carabinieri e alla sbarra ci saranno Angelo Balducci, Fabio De Santis, Guido Cerruti e Francesco Maria De Vito Piscicelli, i personaggi coinvolti in questo primo scandalo. Quello che vuole capire il pm perugino dopo essere entrato in possesso della strana lista di Diego Anemone in cui compaiono più di quattrocento nomi di "beneficiati" che avrebbero goduto dei servigi (ristrutturazioni e ricostruzioni edili) dell’imprenditore arrestato e tornato in libertà appena domenica scorsa è come questi "favori" sia stato ricompensati. Il sospetto è che i costi sostenuti da Anemone siano stati poi in qualche modo stati pagati caricandone gli importi su appalti pubblici. Sottani che è un pm acuto e pignolo non ha infatti dimenticato che già nella prima ordinanza della vicenda spiccava la storia di Angelo Balducci e della ristrutturazione della sua villa a Montepulciano il cui costo era stato infine "ribaltato" su quello dovuto per un cantiere aperto alla Maddalena in previsione del G8 che poi però fu spostato all’Aquila. Nel caso emergesse che i favori di Anemone sono stati pagati attraverso appalti pubblici il pm avrebbe in mano le prove di una grande truffa ai danni dello Stato. L’altra grande incognita è su che cosa deciderà di fare Diego Anemone. Anche lui, come i pm perugini, in attesa di una decisione del tribunale umbro che potrebbe decidere fatalmente la sua sorte imprenditoriale. Decisione che riguarda la richiesta di commissariamento del suo gruppo da parte dei pm perugini. Secondo indiscrezioni Anemone, poco prima di lasciare il carcere, sarebbe stato interrogato da ufficiali di polizia giudiziaria su delega del pm di Perugia che gli avrebbero rivolto una sola, lapidaria domanda: "Il generale della Finanza Francesco Pittorru le ha mai restituito i soldi che dice di aver avuto in prestito da lei?". La risposta di Anemone pare sia stata laconica: "No". Il generale, ora passato ai Servizi Segreti, invece ha sempre detto di aver ridato ogni centesimo ad Anemone. Sfortunatamente per lui però i documenti che provano la restituzione del prestito sono misteriosamente andati perduti. Marco Galluzzo, 14 maggio 2010, corriere.it Berlusconi, amarezza e rabbia «Licenzierò chi ha sbagliato». Il premier chiama Bertolaso per avere la sua versione dei fatti ROMA – C’era una volta il garantismo granitico del Cavaliere. Non è sparito, ma in questi giorni sta mutando: gli si affianca un’ansia preventiva, che non punta l’indice contro le toghe, protagoniste comunque di «un inaccettabile killeraggio mediatico», ma contro gli uomini del suo partito o del suo governo. Oggi, prima ancora che qualcosa accada, prima ancora che arrivino notizie di reato, il presidente del Consiglio si dice pronto a «licenziare» (anche dall’esecutivo) chi verrà coinvolto, con fondamento, nelle inchieste dei magistrati. curioso, ma ha una spiegazione. Il caso Scajola è un precedente, ha lasciato l’amaro in bocca. Altri casi sono annunciati, sono nell’aria da alcune settimane: circolano nei Palazzi romani, e anche nel salotto del premier, più sospetti e indiscrezioni che verbali d’inchieste nelle redazioni dei quotidiani. Il Cavaliere è convinto che dopo l’ex ministro ligure potrebbe toccare ad altri, dunque si prepara. «Non è una nuova Tangentopoli», dice, ma senza aggiungere che si tratta soltanto di singole mele marce. E allora il «licenziare chi sbaglia» è un concetto utile da veicolare ancora prima di verificare l’esistenza dell’errore. Lo ha detto due sere fa agli imprenditori ricevuti a Palazzo Grazioli. Ha aggiunto che non si capacita della leggerezza di tanti, anche nel Pdl, cui la politica ha concesso onori e denari e che invece si dimostrano, da quello che emerge dalle inchieste, alla stregua di ladri di polli. Seguirà forse un’accelerazione sul ddl anticorruzione, nelle prossime ore. Servirà anche a dire che il governo non sta con le mani in mano, che la partita della legalità non è soltanto appannaggio di Fini. Se la gente mi vota – è il ragionamento aggiunto dal Cavaliere – «è anche perché consapevole di quanto ho costruito da solo, prima di entrare in politica, sa che il mio spirito non può essere la ricerca di un arricchimento». Il corollario, molto negativo, riguarda coloro che non hanno il suo stesso patrimonio ma certamente con la politica non sono finiti in miseria, eppure sembra che abbiano come unica mira quella di arricchirsi un po’ di più di quanto già non lo siano. Insomma anche se le inchieste che fanno discutere mirano comunque a indebolire il governo, nonostante il tritacarne mediatico inaccettabile per un Paese civile, le altre convinzioni del Cavaliere riguardano in questi giorni i suoi stessi collaboratori. Se arriveranno altri casi come quello Scajola, sarà inflessibile. Via dal partito e/o dal governo. Nessuno sa al momento se i sospetti si trasformeranno in provvedimenti giudiziari. Ma il Cavaliere, oltre alla comunicazione, affila anche piani di riserva. I canali aperti con Casini, e anche qualche telefonata diretta fra i due, servono nell’ottica del premier a rafforzare un governo eventualmente indebolito, forse anche ad aprire una stagione di vere riforme con l’apporto del nuovo partito della Nazione, in via di fondazione da parte dell’ex presidente della Camera. Ma i modi e le condizioni del premier, che fra l’altro coltiva anche lui i suoi buoni dubbi sull’operazione, non convincono del tutto i centristi: ci vuole una stagione nuova, dicono, un percorso politico che solchi una discontinuità con la prima fase della legislatura per ipotizzare collaborazioni. L’impressione è che tutti stiano lavorando, compreso il premier, con un orecchio alle possibili mosse delle Procure. La casella di Scajola resta vuota anche per questo motivo. La trattativa con Casini è segnata anche da queste dinamiche. Così come l’interminabile diatriba con Gianfranco Fini. Ieri sera Guido Bertolaso era di nuovo a colloquio con il premier, a Palazzo Grazioli, dopo esserci stato la settimana scorsa. Allora si disse che voleva dimettersi e che il presidente del Consiglio avesse dovuto faticare oltre due ore per farlo desistere. Ieri sera sembra che il copione sia cambiato: sarebbe stato Berlusconi a chiedere l’incontro e ad esigere alcune spiegazioni dal suo sottosegretario. Il tutto nonostante l’indisposizione del capo del governo, che di mattina non ha presieduto il Consiglio dei ministri perché colto da una fastidiosa laringite e da qualche linea di febbre. Francesco Bei, 14 maggio 2010, repubblica.it La nuova strategia del Cavaliere. "Troppi si sono arricchiti alle mie spalle" ROMA - Stavolta si cambia spartito. Basta con le indulgenze, mano dura con chi viene preso con le mani nel sacco. "Anche perché noi siamo diversi dagli altri, non campiamo con la politica, veniamo dall’impresa: se c’è qualcuno che si è arricchito personalmente dovrà pagare". la nuova linea che Silvio Berlusconi sta impostando per affrontare la marea nera che emerge dalle inchieste sul "sistema Anemone". Un problema su cui intende impegnarsi in prima persona, tanto che avrebbe già chiesto chiarimenti ad Altero Matteoli sulla figura di Ercole Incalza, capo della struttura tecnica di missione del dicastero delle Infrastrutture, il cui nome è comparso nell’inchiesta. E nel frattempo ha chiamato a Palazzo Grazioli Guido Bertolaso per fare il punto della situazione con il capo della protezione civile. Perché sarà anche vero che il premier, come ha spiegato davanti a una ventina di imprenditori ricevuti a cena a palazzo Grazioli, ritiene che sia una "mistificazione" parlare di una "nuova tangentopoli". Ma l’allarme è serio - il governo ora trema per altri due ministri che potrebbero essere travolti - e Berlusconi non sottovaluta le ricadute che gli scandali sulla casa stanno avendo sull’opinione pubblica (tenendo presente che anche i giornali d’area stanno cavalcando la vicenda). Per questo, anche al prezzo di qualche contraddizione, il Cavaliere stavolta non scatenerà alcuna campagna contro i magistrati. Niente toghe rosse dunque. "Non possiamo lasciare a Fini la bandiera della legalità", ha spiegato il premier, "stavolta non possiamo coprire tutti". Ma c’è di più, perché Berlusconi si è mostrato molto irritato per le notizie apparse sui giornali. " vergognoso che non ci sia più il segreto istruttorio, vengono dati in pasto ai giornali nomi di persone che magari non c’entrano nulla. Un vero sciacallaggio. Però non è tutto fumo, chi ha sbagliato dovrà assumersene la responsabilità. Senza sconti". Il premier ha confidato di sentirsi "ferito e indignato" per certi "comportamenti troppo disinvolti" e teme che "forse qualcuno abbia abusato" della sua fiducia. Niente nomi, "ma non possiamo escludere che ci sia stato qualcuno che abbia pensato ad arricchirsi personalmente". Berlusconi li ritiene solo delle "pecore nere" in un gregge pulito e, in ogni caso, "io sono sempre portato a credere all’innocenza delle persone che ho scelto". Una delle conseguenze di questa nuova impostazione sarà il rilancio del disegno di legge anticorruzione, approvato mesi fa sull’onda dei primi scandali e poi messo in secondo piano: "Porta la mia firma, Alfano lo seguirà passo passo in Parlamento finché non sarà approvato". Il secondo corno della strategia impostata a palazzo Grazioli prevede di puntellare la maggioranza con l’ingresso dell’Udc nell’area di governo. E proprio per allettare i centristi con una postazione di prestigio, il premier tiene ancora per sé l’interim del ministero dello Sviluppo economico lasciato da Scajola. "Abbiamo una forte maggioranza parlamentare - osserva un uomo dell’entourage del premier - e l’ultima votazione sul decreto incentivi ha mostrato che abbiamo 65 voti di scarto sull’opposizione. Per cui, finché i finiani continueranno a mostrarsi leali, andremo avanti così". Tuttavia, il premier si tiene pronto all’ipotesi di una rottura definitiva con il presidente della camera. In quel caso i contatti con i centristi (c’è sempre Lorenzo Cesa dall’altra parte del telefono) potrebbero produrre un allargamento della maggioranza. Ma c’è un ma. Casini infatti non ha intenzione di entrare nel governo in questo modo, come "ruota di scorta" nel caso venga meno una parte del Pdl. "Capisco la convenienza di Berlusconi, ma perché dovremmo prestarci?". Altra cosa, spiegano a via Due Macelli, sarebbe se il premier "si aprisse all’idea di un governo di larghe intese, presieduto sempre da lui, per gestire la crisi economica e fare le riforme". In quel caso "anche una parte del Pd, stanca dell’eterna rissa fra Veltroni e D’Alema, potrebbe essere interessata". Ma si tratta ancora di scenari da cartomanti. Corrado Zunino e Francesco Viviano, 14 maggio 2010, repubblica.it Oltre sessanta appalti in 6 anni, così Anemone creò la sua ragnatela ROMA - L’ultimo imbarazzo di Guido Bertolaso, il pied a’ terre da 40 metri quadrati di via Giulia 189 allocato nel centro migliore di Roma, conduce - seguendo le nuove carte uscite dalla Procura di Perugia che mettono a fuoco 412 lavori eseguiti dal gruppo edile Anemone dal 2003 al 2008 - alla spiegazione del funzionamento del sistema Protezione civile, alle sue logiche di scambio. I lavori privati realizzati nelle case che contano, le molte falegnamerie allertate per realizzare le librerie private dei politici, facevano scaturire dopo mesi i grandi appalti pubblici per l’imprenditore di Grottaferrata. Gli iperlavori del G8 della Maddalena, la ricostruzione dell’Aquila, poi i Mondiali di nuoto e tutte le opere del "giro fiorentino" sono state evidenziate nella prima parte dell’inchiesta, quella ancora radicata nelle procure di Roma e Firenze. Ora i tre sostituti di Perugia, sequestrando le carte della contabilità di Anemone, hanno messo in fila tutti gli altri appalti, quelli ordinari, figli - secondo l’accusa - di un rapporto diretto con i ministeri retti nel tempo da Claudio Scajola e Pietro Lunardi, soprattutto con il potentissimo ufficio di Guido Bertolaso: la Protezione civile. Si scopre, allora, come nelle otto pagine di "ricostruzione appalti" i lavori elargiti a Claudio Rinaldi, commissario di "Roma 2009", in via Appia, via Aosta e via Nazionale a Roma si trasformeranno nell’ottenimento - da parte di Anemone - della ricostruzione della scuola di San Giuliano di Puglia, a Campobasso, quella che soffocò con il terremoto del Molise ventisette bambini e un insegnante. Rinaldi, infatti, fu nominato da Bertolaso capo della missione. Un monopolio di appalti pubblici E’ impressionante scoprire la profondità della ramificazione pubblica di Diego Anemone e della sua famiglia, capaci di ottenere 65 appalti importanti in sei stagioni. Le sue aziende hanno costruito il carcere di Sassari (58 milioni di euro) e realizzato cinque interventi nel "minorile" romano di Casal del Marmo. Era forte su quel terreno, con quei ministeri (Interno, Difesa), l’imprenditore Anemone. E infatti, grazie al "certificato Nos" per i lavori con le "istituzioni sensibili", ha ottenuto dodici appalti per otto caserme della guardia di finanza, corpo nel quale aveva generali e marescialli amici che lo informavano delle inchieste sul suo conto. Si scoprono due appalti con i carabinieri (la caserma di Tor di Quinto, sempre a Roma) e quattro con il Viminale. Importante è il cantiere di via Zama, sede dei servizi segreti. Seguendo il libro mastro della contabilità di Anemone si torna dal generale (gli appalti pubblici) al particolare (i lavori nelle case dei vertici della polizia e dei servizi). Nella lista si possono avvistare gli interventi nella casa di via Civinini interno 6 intestata all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro (qui appuntato come "capo Ps", ma in realtà vi risiede il figlio) e quelli nella stessa strada romana - presumibilmente lo stesso palazzo - che ospita l’appartamento di Antonio Manganelli, attuale capo della polizia. Lo staff di Manganelli fa sapere che quella dimora è stato presa in affitto, ma non ancora occupata. De Gennaro, invece, conferma di aver conosciuto l’imprenditore Anemone e che la sua famiglia lo ha regolarmente pagato per la ristrutturazione. Negli appunti edili, ancora, c’è il nome dell’attuale capo dei servizi segreti, Nicola Cavaliere: lui assicura di non aver mai incontrato Anemone. E’ possibile che i lavori nella casa di Cavaliere siano stati realizzati quando l’appartamento era occupato da Claudio Scajola, ministro dell’Interno dal 2001 al 2002. I lavori nei palazzi dei poteri Il livello dei rapporti del costruttore del Salaria Sport Village gli ha consentito di entrare direttamente nei palazzi di Silvio Berlusconi. La lista di Anemone racconta, infatti, di quattro interventi a Palazzo Chigi: la consegna di un letto, poi di una cucina, alcuni mobiletti e la generica manutenzione. Appuntava tutto, il costruttore. Una seconda nota parla di "Palazzo Grazioli" (la residenza privata romana del premier), senza ulteriori specifiche. Quindi, si legge di un intervento in un ufficio della presidenza del Consiglio ricavato in via XX Settembre, dell’impianto di condizionamento della sala stampa di Palazzo Chigi e della "sede di Forza Italia". Tre appalti il costruttore di Grottaferrata li ha ottenuti con il dicastero delle Finanze, uno con le Attività produttive, uno con il ministero dell’Istruzione. Uno, ancora, è stato segnato come "ministero delle Scienze". A Porta Pia le manovalanze di Anemone si sono occupate del nuovo ufficio di AB (presumibilmente Angelo Balducci, il presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici oggi in carcere) e in via Monzanbano dell’ufficio dell’ingegner Rinaldi. Ma i "servigi" dell’imprenditore ai potenti hanno garantito altri appalti pubblici romani: il Policlinico Umberto I (due interventi), l’ospedale Spallanzani, la Facoltà di Architettura di Valle Giulia e a Latina la Casa dello studente universitario. Nello sport, oltre al Centrale del tennis, ecco gli interventi sui centri Coni di Madonna di Campiglio e Schio. Poi lavori su sette chiese, a dimostrazione di un asse di ferro con il Vaticano. E quelli in emergenza (60 milioni) per la frana di Cavallerizzo, provincia di Cosenza. Dove Bertolaso era, al solito, commissario straordinario. Guido Ruotolo, 14 maggio 2010, lastampa.it Nei Palazzi si teme già il ritorno a Mani pulite Nei piani alti del Viminale si parla esplicitamente di un ritorno a Mani Pulite. Insomma, anche l’inchiesta sulla «cricca» e le «Grandi opere» porta a questa conclusione: «Siamo di fronte a un ordinario cattivo rapporto corruttivo. Siamo al punto di partenza, perché dobbiamo riconoscere che non siamo riusciti a scardinare quel sistema che pensavamo fosse stato abbattuto con Mani Pulite». Ora che gli schizzi di fango hanno raggiunto anche il Viminale, per via dei lavori e dei nomi che compaiono nella lista dei «380», l’immagine che ci consegnano i vertici del ministero dell’Interno è quella di un «tritacarne», di un «ventilatore» che scaraventa melma addosso a tutti: «Chi ha interesse a spargere fango contro tutti? A dare in pasto all’opinione pubblica un elenco indistinto di 380 nomi? Un elenco in cui ci sono tutti - si sfoga il nostro interlocutore - dal capo della Polizia a quello dei servizi segreti, generali, politici e così via. Devo dire che in questo caso i mass media sono stati molto cauti, ma, ripeto, chi ha interesse a creare questa confusione?». E anche qui ai piani alti del Viminale si materializza il sospetto che il «colpevole» è qualche personaggio che «magari non è ancora uscito allo scoperto, di cui ancora non si conoscono pubblicamente le responsabilità» ma che «in questo modo gioca a scaricarle indistintamente su tutti. Perché alla fine quel tutti colpevoli si traduca in nessuno è colpevole». Lo sfogo, una denuncia molto pesante sul clima, la piega che sta prendendo l’inchiesta perugina sui «Grandi appalti», arriva dai piani alti del Viminale, i cui vertici sono finiti anche loro nel tritacarne dei sospetti per il fatto che l’impresa Anemone ha lungamente lavorato per il ministero dell’Interno, oltre che per il servizio segreto civile. Tanto lo sfogo è vero, che l’oggetto dell’inchiesta perugina corrisponde alla realtà prima ancora che alla realtà processuale. E il messaggio che arriva dal Dipartimento della Pubblica sicurezza è alquanto deciso. Per esempio, quando si tratta di descrivere il rapporto tra l’imprenditore Anemone e il (ex) provveditore alle opere pubbliche Angelo Balducci, l’immagine non è equivoca: «Si tratta di un funzionario pubblico, Balducci, che favorisce quasi monopolisticamente l’impresa amica che ricambia con qualche mazzetta, siano essi lavori di ristrutturazione che contributi cospicui per la determinazione del prezzo dell’acquisto dell’immobile». Ecco lo scambio corruttivo: soldi in cambio di favori. Appalti in cambio di mazzette. L’interlocutore del Viminale ricostruisce i rapporti tra Anemone e il ministero dell’Interno, facendo però una premessa: «Siamo di fronte a una storica e affermata famiglia di imprenditori edili. Devo dire che Anemone era sinonimo di efficienza, produttività, serietà. E aggiungo che era accreditato dal provveditore alle opere pubbliche, per noi la massima autorità in materia. Nulla da eccepire dal punto di vista dei lavori. Ecco, se prendiamo la lista dei 380 nomi sicuramente si tratta di clienti che nella stragrande maggioranza hanno saldato i loro conti. Forse per quaranta, cinquanta nomi si tratta di lavori fatti come prezzo della tangente per ottenere altri lavori». Anemone e gli appalti al ministero dell’Interno. Tema intrigante. L’«avvocato» difensore del Viminale, il nostro interlocutore, non ha problemi a spiegare i termini dei rapporti con Anemone: «Per legge il ministero dell’Interno non può stipulare contratti in tema di edilizia. Se si devono fare lavori sul territorio, per esempio una caserma in provincia di Avellino, il prefetto di quella città deve indire la gara, affidare l’appalto, sovrintendere ai lavori e reperire i fondi. Ma se si tratta di opere a livello centrale, una ristrutturazione di una caserma, di un commissariato, di alloggi di servizio, allora il responsabile diventa il provveditore alle opere pubbliche. E’ lui che decide autonomamente gli appalti, l’affidamento dei lavori a trattativa privata, se l’opera deve essere tutelata dalla segretezza e così via. Noi non abbiamo avuto nessun rapporto contrattuale con la ditta Anemone. Nella lista che abbiamo letto sui giornali vi sono nostri prefetti per i quali Anemone ha effettuato lavori di ristrutturazione degli alloggi. Ma quei prefetti non hanno avuto alcun rapporto con l’impresa». Il problema è emerso negli ultimi mesi, con le retate giudiziarie di Firenze e poi Perugia sulla «cricca» delle «Grandi opere». Perché quel provveditore alle opere pubbliche è Angelo Balducci, il corruttore per gli inquirenti. Ma con il senno di poi, visto che l’impresa Anemone ha lavorato per il Viminale dal 2001 al 2006 (fino a quando Balducci è stato provveditore delle opere pubbliche), non c’è stato nulla di strano nel rapporto tra questa impresa e il ministero? «Intanto - conclude il nostro interlocutore - per il Viminale non ha lavorato soltanto l’impresa Anemone. Riflettendo sul passato, sì, mi sono meravigliato quando Anemone ha avuto i lavori per il G8 di La Maddalena. Bertolaso, Balducci...».