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 2010  maggio 13 Giovedì calendario

QUANTI PADRI PER UNO STATUTO

Allo statuto dei lavoratori approvato dal Parlamento quarant’anni fa, nel maggio 1970, vengono di solito attribuiti due padri. Uno è il ministro del Lavoro Giacomo Brodolini, ex sindacalista del Psi, che si prodigò per far passare il provvedimento, ma morì nel luglio 1969, senza riuscire a vederlo diventare legge. L’altro è il giurista Gino Giugni, anch’egli socialista, cui si deve gran parte dell’opera di elaborazione delle norme contenute nello statuto.
Tuttavia la legge, che finalmente consentiva di tutelare in maniera concreta i diritti costituzionali dei dipendenti sui luoghi di lavoro, ebbe anche un terzo padre, quest’ultimo di matrice cattolica: il democristiano Carlo Donat Cattin, che subentrò a Brodolini nella carica di ministro e condusse in porto lo statuto in una fase di tensioni fortissime, fra le tumultuose agitazioni dell’autunno caldo sindacale e l’esordio tragico del terrorismo stragista a piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Una paternità oggi sottolineata in piena sintonia dalla Fondazione Donat Cattin, che tiene un convegno sullo statuto dei lavoratori a Torino il 21 maggio, e dalla Cisl, che ha dedicato anche al ricordo di Donat Cattin (ritratto in foto nell’invito ufficiale) il suo incontro di commemorazione dell’anniversario della legge, in programma a Roma il 20 maggio. Da notare che la Cgil e la Fondazione Di Vittorio organizzano invece nella capitale un altro convegno, sempre il 20 maggio, in cui si sottolinea piuttosto il ruolo di Brodolini. Sembra quasi che anche la memoria storica rifletta le difficoltà dei rapporti tra i due maggiori sindacati.
Claudio Donat Cattin, figlio del ministro (scomparso nel 1991) e presidente della fondazione a lui intitolata, tiene però ad evitare equivoci: «Sarebbe assurdo contrapporre mio padre a Brodolini. Al contrario il grande merito di Carlo Donat Cattin, che finora non gli è stato riconosciuto a sufficienza, fu quello di aver proseguito senza tentennamenti sulla via tracciata dal suo predecessore, affrontando un dibattito parlamentare non facile. Anche se oggi alcuni aspetti dello statuto possono apparire superati, nel 1970 fu un fatto epocale, che garantì la dignità dei lavoratori». Non manca però nelle sue parole un accenno polemico: «Va ricordato che all’epoca Pci e Cgil erano molto critici verso l’ipotesi di disciplinare per legge alcuni aspetti dei rapporti tra le parti sociali, tant’è vero che in Parlamento sullo statuto i comunisti si astennero, come i missini, mentre non solo i partiti del centrosinistra, ma anche i liberali votarono a favore».
In effetti sull’argomento molti a sinistra cambiarono idea dopo l’entrata in vigore delle nuove norme: per esempio Fausto Bertinotti, che pure con la Fondazione Camera dei deputati (di cui è presidente) terrà un altro convegno sullo statuto in giugno, ha ammesso con franchezza di averlo all’origine avversato, in una lunga conversazione con lo storico Andrea Ricciardi pubblicata nel 2009 sulla rivista «Il Ponte».
Proprio Ricciardi porta la testimonianza di Giugni (morto nell’ottobre scorso), del quale ha curato il libro La memoria di un riformista (Il Mulino): «Gino mi disse che aveva apprezzato la continuità assoluta della linea di Donat Cattin rispetto all’impostazione di Brodolini. Quanto all’astensione del Pci, secondo Giugni fu dovuta a ragioni politiche di ostilità al centrosinistra, mentre in alcuni settori della Cgil le critiche allo statuto derivavano sia dal fatto, su cui insisteva Vittorio Foa, che dall’applicazione erano escluse le imprese con meno di 15 dipendenti, sia dall’idea movimentista che il conflitto sociale non si possa regolare per legge senza infliggere una ferita all’autonomia di classe del ceto operaio».
Teorie estremiste su cui si sofferma anche Adolfo Pepe, storico della fondazione Di Vittorio e relatore al convegno della Cgil: «Specialmente nel Psiup e nella sinistra extraparlamentare, molti ritenevano che i rapporti in fabbrica si dovessero lasciare alla pura conflittualità, senza introdurre vincoli di legge. Ma il Pci si astenne soprattutto per via della clausola che escludeva dalla disciplina dello statuto le piccole aziende, anche se va ricordato che Bruno Trentin, in una ricostruzione successiva, accusò i comunisti di aver fatto prevalere il calcolo politico sull’interesse dei lavoratori, tanto più che una legge come lo statuto era stata invocata dal leader storico della Cgil, Giuseppe Di Vittorio, già nel lontano 1952».
E il ruolo di Donat Cattin? «Fu senza dubbio importante’ risponde Pepe – per due ragioni. Da una parte il ministro democristiano difese con fermezza l’eredità di Brodolini. Dall’altra insistette su un punto cruciale, valido ancora oggi: la necessità di attuare i principi costituzionali nelle fabbriche, dove fino a quel momento erano rimasti lettera morta».
Antonio Carioti