Virginia Piccolillo, Corriere della Sera 13/05/2010, 13 maggio 2010
INFRASTRUTTURE, IL SUPERTECNICO DA’ LE DIMISSIONI
Ha letto i titoli. Le accuse di aver preso mezzo milione di euro dal faccendiere Zampolini sotto forma di affare immobiliare per il genero. Ha chiuso i giornali. Ed è andato direttamente dal ministro, Altero Matteoli, a dimettersi. Ercole Incalza non ha voluto attendere oltre. E ha lasciato al titolare del dicastero delle Infrastrutture la decisione. Lui per tutta la giornata non le ha né accolte, né respinte. Fino a notte indeciso se rinunciare all’uomo chiave della struttura tecnica di missione o difenderlo da una bufera che mette a repentaglio l’intero dicastero.
Capelli ingrigiti, occhialini in acciaio, 66 anni, Ercole Incalza invece ostenta fermezza. Attraverso il suo avvocato, Titta Madia, fa sapere: « una vicenda che mi lascia assolutamente tranquillo. Se mai sarò chiamato a spiegarla, fornirò tutti i chiarimenti necessari alle autorità competenti».
Lo ha già fatto una decina di volte. Ex amministratore delegato dell’Alta Velocità è stato agli arresti in carcere e ai domiciliari. Quattordici volte sotto inchiesta. Il suo difensore, Titta Madia, la butta sullo scherzo: « un vero e proprio recordman: 14 proscioglimenti». In realtà alcune furono prescrizioni. Scottature che non lo hanno tenuto lontano dal mondo degli appalti pubblici.
Ma stavolta è diverso. Ora nel tritacarne ci è finita sua figlia Antonia. Nel mirino degli investigatori c’è quella casa comprata da suo marito Alberto Donati il 7 luglio 2004, con modalità analoghe a quelle dell’acquisto di casa Scajola con vista Colosseo. Incluso l’intervento provvidenziale dell’architetto Angelo Zampolini: sotto forma di 52 assegni da 10 mila euro, provenienti dal conto della Deutsche Bank. La stessa somma appena ricevuta da Diego Anemone, il faccendiere della «cricca», e versata in banca.
Il prezzo dichiarato, senza quella somma in nero, fu di 390 mila euro. Troppo basso per un appartamento in via Emanuele Gianturco, a poca distanza da piazza del Popolo, in un palazzo d’epoca. Al punto che i magistrati di Perugia sospettano che l’intera operazione sia stato un regalo di Anemone per l’uomo degli appalti. All’epoca Incalza era il braccio destro del ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi.
L’avvocato Madia: «I coniugi sono in regime di separazione dei beni». Come dire che Antonia Incalza avrebbe poi corso il rischio di poter perdere l’appartamento, in caso di separazione.
Brindisino di nascita, Incalza, laureato in ingegneria civile sezione edile e poi in architettura all’Università di Palermo, al ministero di Porta Pia arrivò, giovane socialista, con l’allora ministro Claudio Signorile. Dopo la Tangentopoli di Necci e Pacini Battaglia, a metà degli anni Novanta, Incalza torna alla ribalta con incarichi di primo piano grazie all’arrivo di Lunardi, l’uomo della Legge Obiettivo. Diventa la sua ombra. Resta al ministero anche con il successore di Lunardi, Matteoli. E ora, suo malgrado, è costretto di nuovo a uscire dall’ombra e tornare sotto i riflettori della giustizia.
Virginia Piccolillo