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 2010  maggio 13 Giovedì calendario

COSI’ LA MANOVRA D’URTO NEL RESTO D’EUROPA

STOP ALLA SPESA
Tre anni di spesa a crescita zero per riportare i conti in linea con i voleri di Bruxelles entro il 2013. Benché Nicolas Sarkozy abbia esorcizzato la parola, a Parigi si torna a parlare di «austerità». Non accadeva dai tempi di Francois Mitterand e del grande gelo dei primi anni ottanta, quando l’allora presidente decise di imporre una manovra durissima, l’unica strada per evitare al franco di uscire dallo Sme. Oggi il deficit francese ha raggiunto la ragguardevole soglia dell’8,4%, appena un punto in meno della Grecia. Numeri che costringono il premier Francois Fillon ad una cura draconiana: tagli alle spese correnti della pubblica amministrazione, tagli alle spese sociali pari al 10%, blocco degli aumenti dei salari pubblici.
GI I SALARI PUBBLICI
Colpita dalla speculazione e dal downgrading delle agenzie di turno, José Zapatero è corso ai ripari nei giorni successivi la bufera sui mercati; la Spagna è presidente di turno dell’Unione europea e mai come in questa fase deve mostrarsi la più europeista fra gli europeisti. E così, non più tardi di ieri, il premier ha annunciato una nuova serie di tagli al bilancio pubblico che permetteranno di risparmiare 15 miliardi di euro fra quest’anni e il 2011 e di dimezzare il deficit che oggi è pari all’11,5% del prodotto interno lordo. Sei miliardi di tagli agli investimenti pubblici, addio al bonus nuovi nati da 2.500 euro, 13 mila posti in meno nel pubblico impego, taglio del 5% alle retribuzioni del pubblico impiego e congelamento di ogni aumento fino a tutto il 2011.
AUMENTO DELL’IVA
Aumento dell’Iva dal 20 al 22%, prelievo straordinario sulle tredicesime di dipendenti pubblici e privati, taglio della spesa corrente. Il Portogallo di José Socrates, il primo a finire sotto la pressione degli speculatori dopo la Grecia, deve consegnare a Bruxelles un piano di rientro del deficit che permetta di ridurrlo di almeno un punto percentuale (dall’8,3 al 7,3%) entro la fine di quest’anno. L’ultima volta in cui il governo di Lisbona fu costretto a misure simili risale al 1983: il taglio delle tredicesime fu pari a un quarto. A dispetto di chi dice che in Europa si deve lavorare di più, il governo non sembra invece preoccupato di alzare la produttività: è di queste ore la polemica di industriali e sindacati per la decisione di Lisbona di fermare tutte le attività per due giorni in occasione della visita del Papa.
IN PENSIONE PI TARDI
Aumento dell’età pensionabile a 60 anni, congelamento dei salari, taglio di tredicesime e quattordicesime per chi guadagna più di tremila euro al mese, Iva in crescita dal 21 al 23%, aumento del 10% della tassazione su carburanti, alcool, tabacchi. E ancora: riforma del mercato del lavoro, taglio agli investimenti pubblici. Il pacchetto di aiuti internazionali costa ai greci il più duro pacchetto di asterità mai visto dalla fine della seconda guerra mondiale. Alternative non ce n’erano: i governi che si sono succeduti negli anni dell’ingresso nell’euro, dopo aver ripetutamente truccato i conti pubblici, hanno accumulato un deficit pubblico che quest’anno è superiore al 10% del pil. Quella greca è la più inefficiente macchina pubblica della zona euro: il piano draconiano messo a punto dal governo Papandreou ora prevede l’eliminazione delle 76 prefetture - una cosa simile alle Province italiane - la loro sostituzione con 13 regioni amministrative, e il taglio degli attuali 1.034 Comuni a circa 370. Un esempio da imitare?
TASSE SUI «CAPITAL GAINS»
Il governo Lib-Con che si insedia in queste ore a Downing Street conferma le intenzioni della vigilia: taglio della spesa pubblica a partire da quest’anno pari a sei miliardi di sterline, al cambio poco più di sette miliardi di euro. Una cura tutt’altro che drammatica, se si pensa che la Gran Bretagna ha un deficit pubblico intorno al 12% del Pil, superiore a quello greco. Ma per Londra, che resta e resterà fuori dall’euro, Maastricht è un luogo fuori delle carte geografiche. I tagli non interesseranno la sanità, per la quale è anzi previsto un aumento della spesa, né gli aiuti alle famiglie bisognose. Il nuovo governo ha in cantiere una riforma del sistema bancario, e un forte aumento delle tasse su alcuni «capital gains», dalle seconde case agli investimenti azionari: su richiesta del leader liberal Nick Clegg l’imposizione dovrebbe salire dall’attuale 18% fino a quasi il 40%. L’accordo di coalizione prevede invece una altrettano forte riduzione delle tasse per i redditi bassi e la rinuncia dei Tory alla esenzione dal pagamento delle tasse di successione.
ADDIO AGLI SGRAVI FISCALI
Per dare la cattiva notizia al popolo tedesco ha aspettato il minuto successivo la batosta subita alle elezioni regionali in Nordreno-Westfalia, domenica scorsa. «Abbiamo bisogno di una politica decisa - ha esordito Frau Merkel - fatta di tre priorità: anzitutto non sarà possibile tagliare le tasse per almeno due anni», come chiedevano i liberali della Fdp. «Dobbiamo consolidare il bilancio e completare la regolamentazione dei mercati». La Germania non ha bisogno di cure da cavallo: il deficit pubblico è contenuto al 5,6%, e quest’anno il Pil crescerà dell’1,6%, il doppio di quanto prevedono gli organismi internazionali per l’Italia. La produzione industriale sale, la bilancia dei pagamenti è in attivo. Però anche la solida Germania deve fare i conti con la crisi: la disoccupazione cresce, ma soprattutto fra il 2011 e il 2013 è previsto un calo delle entrate fiscali di quasi 40 miliardi di euro. Da qui la decisione di congelare qualunque programma di sgravi.