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 2010  maggio 13 Giovedì calendario

ACARI ALLA FRUSTA

Esistono ancora notizie che anche un giornalista scafato scorre con le pupille a pallina da golf, continuando a ripetersi: «non può essere». Non può essere che alcuni furbastri importino degli aspirapolveri a trecento euro, li ribattezzino «presidio medico elettromedicale antiacaro» e li rivendano in nero a quattromila, pensando di farla franca. Non può essere che migliaia di persone, di quelle diffidenti che appena per strada si avvicina uno sconosciuto si mettono una mano sui glutei a protezione del portafogli, abbiano sborsato quattromila euro in nero per un «presidio medico elettromedicale antiacaro» senza mettersi a ridere. Non può essere che i furbastri abbiano assunto centraliniste e venditori porta a porta, caricandoli con canti, slogan e inno nazionale. Non può essere che questi ragazzi, i quali a casa si inalberano se la mamma non ha ancora stirato loro la camicia preferita, accettino di farsi prendere a frustate sulle gambe in sala mensa, come Fantozzi: pubblicamente umiliati se alla fine della settimana non avevano truffato abbastanza clienti.
Non può essere, eppure è. Accade a Incisa Valdarno, nella civilissima Toscana. Una storia molto italiana e gli ingredienti ci sono tutti: la furbizia, l’evasione fiscale, il rincoglionimento pubblicitario e la scopiazzatura grottesca dei modelli americani. Soprattutto la vera istituzione nazionale, la famigghia: i giovani venditori venivano convinti a piazzare i primi aspirapolveri presso i parenti. Assumere il figlio a frustate, per truffare i suoi genitori: è questa l’imprenditoria del nuovo medioevo italiano?