Marco Fortis, Il Messaggero 13/5/2010, 13 maggio 2010
L’EUROPA, L’ITALIA E LA SFIDA DELLA CRESCITA SENZA DEBITI
Nei dibattiti di questi giorni sta ri-emergendo una asserzione netta: data l’esplosiva gravità del problema dei debiti pubblici, i Paesi ”devono” crescere di più, altrimenti rischiano di ”fallire”. E questa regola varrebbe ancor di più per l’Italia, per via del fatto che il nostro Paese ha un trend storico di crescita del PIL più basso di molte altre economie ed un debito pubblico elevato. Il ragionamento sembrerebbe non fare una grinza visto che il debito pubblico si ”misura” convenzionalmente in rapporto al PIL, per cui se quest’ultimo aumenta il rapporto migliora, mentre se il PIL cresce poco o niente rispetto alla dinamica del debito la situazione rischia di aggravarsi.
In questa luce, considerate anche le recenti proiezioni sul PIL nel 2010 di Commissione Europea e FMI (che si aspettano che il nostro Paese si espanderà meno di altre grandi economie), molti hanno accreditato l’immagine di un’Italia che tende più a convergere verso i Paesi deboli come Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda anziché verso i Paesi forti come Germania e Francia.
A noi pare che le precedenti asserzioni non siano adeguatamente dimostrate tanto che con un esame più attento si può giungere a conclusioni pressoché opposte. Non solo perché Istat ed Eurostat ieri hanno detto che il PIL italiano, sorprendendo un po’ tutti, è quello che nel primo trimestre dell’anno è aumentato congiunturalmente di più (+0,5%) tra le grandi economie europee, davanti a Germania e Gran Bretagna (entrambe +0,2%) e Francia e Spagna (entrambe +0,1%). Ma anche e soprattutto perché, sotto il profilo globale dello stato di salute dell’economia (che non dipende solo dal PIL ma anche dai conti finanziari nazionali e da altri indicatori), l’Italia ha buone possibilità di convergere in modo deciso verso Germania e Francia mentre non vi sono elementi oggettivi per pensare che essa possa venire attratta nell’orbita dei PIGS. Il che è positivo per due motivi: il primo è che come italiani ciò ci deve spronare ad essere sempre più virtuosi oltre che fiduciosi, pur nella consapevolezza di tutti i problemi che ci affliggono a livello strutturale; il secondo è che con un’Italia più forte e simile a Germania e Francia l’Europa stessa si rafforza contribuendo a ridurre il fardello dei problemi degli stati periferici.
Si considerino con maggiore attenzione le ultime previsioni di primavera della Commissione Europea, che hanno gettato molti nello sconforto per via del minor tasso atteso di crescita dell’Italia (anche se i dati del primo trimestre 2010 già cambiano parecchio le carte in tavola). In realtà, secondo tali previsioni nel 2010 i consumi privati, che sono un termometro dello stato di salute delle famiglie, daranno un contributo positivo all’aumento del PIL dello 0,5% in Italia, mentre in Francia tale contributo sarà solo dello 0,3% e in Germania sarà addirittura negativo, pari a -0,4%. Considerando ciò e anche senza tenere conto del fatto che la nostra economia sta andando più forte delle aspettative (visto che per il 2010 ha già acquisito una crescita dello 0,6%, come ha comunicato ieri l’Istat), come è possibile che il PIL italiano nel 2010 possa crescere solo dello 0,8% mentre quello francese aumenterà dell’1,3% e quello tedesco dell’1,2%?
La spiegazione sta negli ”effetti ottici”della crescita altrui che in questa fase non è per nulla più sana della nostra, nemmeno in Francia e Germania. Infatti, l’1,1% dell’incremento complessivo dell’1,3% del PIL francese atteso nel 2010 verrà dal contributo delle scorte (mentre in Italia le scorte contribuiranno solo per lo 0,2%). In Germania invece il maggiore contributo all’espansione del PIL arriverà dalle esportazioni nette, con un +0,8% (dopo un 2009, però, in cui esse avevano contribuito negativamente per il 3%), mentre nel 2010 l’export netto contribuirà alla crescita italiana solo con un +0,2%. Dunque minore competitività dell’Italia rispetto alla Germania, recentemente descritta dall’ ”Economist” come nuovo motore d’Europa? Non è del tutto così. Infatti, la bilancia dei pagamenti per le merci della Germania persino nel 2011 sarà ancora a livelli inferiori a quelli del 2004, dopo che nel 2009 il surplus tedesco, escludendo l’energia, è calato fortemente, mentre il surplus italiano con l’estero esclusa l’energia, nonostante le difficoltà dell’export causate dalla crisi mondiale, lo scorso anno è diminuito molto meno di quello tedesco, collocandosi praticamente sugli stessi livelli del 2007, che fu per noi un ottimo anno.
Inoltre, nel 2010 il contributo dei consumi pubblici alla crescita del PIL sarà pari a zero per l’Italia, mentre sia in Francia sia in Germania sarà dello 0,3%. In altri termini, già soltanto escludendo i consumi pubblici, il divario di crescita previsto tra economia italiana e quelle francese e tedesca si annulla quasi completamente.
Per di più la maggior crescita tedesca e francese del 2010 sarà pagata a duro prezzo con un forte aumento dei deficit pubblici. Infatti, mentre nel 2010 il deficit pubblico italiano sarà di 81 miliardi di euro, quello tedesco sarà di 121 miliardi e quello francese di 156 miliardi. Sempre nel 2010 il nostro deficit primario pagati gli interessi sarà di soli 11 miliardi contro i 106 della Francia e i 56 della Germania.
Oggi, dunque, persino Germania e Francia stanno facendo troppi debiti e non stanno affatto crescendo in modo virtuoso attraverso la competitività come pensano alcuni (e come ”spiegherebbero” indicatori aggregati approssimativi quali costo del lavoro e produttività, sempre citati ma che in realtà non ”spiegano” tutto). L’unico grande Paese che sta reagendo alla crisi senza sforare molto con i conti, essendo partito da un pregresso di debito pubblico così elevato che non consentiva margini di manovra, è l’Italia. Sicché la nostra economia già nel 2011, secondo la Commissione Europea, avrà un debito pubblico in valore assoluto (1.910 miliardi di euro) significativamente inferiore a quello della Germania (2.042 miliardi) e non di molto superiore a quello francese (1.788 miliardi). E se rapportiamo queste cifre non al PIL ma, come abbiamo già proposto alcuni giorni fa, all’ultimo dato disponibile sulle attività finanziarie nette delle famiglie (relativo al 2008) scopriamo che nel 2011 lo stock di debito pubblico italiano sarà pari al 74% del nostro stock di ricchezza contro un valore corrispondente pari al 71% per i tedeschi e al 78% per i francesi (mentre la Spagna sarà al 104% e la Grecia al 259%).
Crescere è indubbiamente importante ma, in questa complessa e delicata fase storica, in tutti i Paesi del mondo occidentale è più conveniente crescere poco senza aumentare i debiti che crescere molto peggiorando i conti finanziari nazionali.
Tra il 2001 e il 2007 gli Stati Uniti hanno accresciuto in modo spettacolare il loro PIL a valori correnti di oltre 3.600 miliardi di dollari ma il debito aggregato americano (di famiglie, imprese e pubblica amministrazione) nello stesso periodo è aumentato di 12.300 miliardi! E’ soprattutto a causa di questo squilibrio che è scoppiata l’attuale crisi mondiale. Sempre tra il 2001 e il 2007 Grecia, Spagna ed Irlanda inanellavano anch’esse tassi annui di crescita reale del PIL superiori al 4% costruiti su una montagna di debiti privati e/o pubblici. E’ per questa ragione che questi Paesi, fino a poco tempo fa ammirati, oggi sono in enormi difficoltà. La lezione di questa tremenda crisi, che molti ancora non hanno metabolizzato, e che dobbiamo stare attenti a non rincorrere una ”nuova” crescita basata su ”nuovi” debiti.
L’Euro area può invece essere rifondata su basi solide sull’asse franco-tedesco rafforzato con la convergenza dell’Italia. Ma ciò sarà possibile solo se l’Euro area costruirà una crescita vera, non basata sui debiti ma sull’economia reale e con un adeguato coordinamento delle politiche economiche e fiscali nel quadro di un nuovo e più stringente Patto di stabilità. Per conseguire questo obiettivo bisognerà mettere innanzitutto i conti a posto: tagliare non solo in Grecia o in Spagna ma anche in Italia, Francia e Germania tante spese improduttive e burocratiche, riducendo gli sprechi e facendo emergere (specie in Italia) l’evasione fiscale.
Non nascondiamoci la verità dietro la parola ”crescita”: nei prossimi anni ci sarà crescita e sarà durevole solo se accompagnata da altrettanti ”sacrifici”.