Francesca Numberg, Il Messaggero 12/5/2010, 12 maggio 2010
ROSA OLIVA: «NON POTEVO FARE IL PREFETTO, 50 ANNI FA HO LOTTATO PER TUTTE LE DONNE»
Non era un uomo. Ma non se ne dolse più di tanto. E di fronte all’incoerenza tra quello che aveva studiato e la strada che le veniva sbarrata, decise di combattere. E fu così che cinquant’anni fa Rosa Oliva, prefetto mancato perché le mancava il requisito principale, quello di genere, divenne una paladina ante litteram dei diritti delle donne che un decennio più tardi sarebbero stati reclamati dalle piazze. Grazie al ricorso che presentò contro il ministero dell’Interno, provocò (e per i tempi fu una sorprendente provocazione) la sentenza numero 33 del 13 maggio 1960 della Corte Costituzionale, che dichiarò illegittimo l’articolo 7 della legge del 1919, quello che disponeva l’esclusione delle donne da gran parte degli uffici pubblici. Domani si festeggiano i cinquant’anni di quella storica vittoria.
Come andò? Come guarda indietro oggi che tanto si sbandierano le pari opportunità?
«Andò che avevo studiato Scienze politiche alla Sapienza, prima col professore di Diritto Costituzionale Carlo Esposito e poi con Costantino Mortati che lo sostituì, entrambi due illustri costituzionalisti - risponde Rosa Oliva, origini napoletane, romana d’adozione - Avevo chiesto una tesi sui diritti delle donne, poi d’accordo col docente mi laureai in Dinamica degli ordinamenti giuridici. Era una tesi più tecnica, meno concreta, eravamo nel ”58 e forse non erano ancora i tempi...».
Però lei i tempi li accelerò...
«Volevo diventare funzionario dello Stato; tra i bandi scelsi quello della carriera prefettizia, sapevo che non avrei dovuto fare nemmeno la domanda, ma l’articolo 3 della Costituzione dice che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge; l’articolo 51 ribadisce il principio. Molti dei miei colleghi maschi avrebbero abbracciato la carriera diplomatica, a noi ragazze era preclusa anche quella. Ma in fondo non portavamo neanche i pantaloni...».
Cosa c’entrano i pantaloni?
«Ci pensavo in questi giorni, leggendo di quella norma dell’800 ancora in vigore in Francia. A noi non veniva neanche in mente di togliere la gonna, portavamo le calze pure d’estate, ma quando una mia amica si presentò coi pantaloni perché aveva la gamba ingessata, venne richiamata dalla segreteria del preside di facoltà».
E della sua domanda per diventare prefetto che ne fu?
«Mi chiamarono dal commissariato, un ispettore molto imbarazzato mi disse: scusi dottoressa, ambasciator non porta pena, ma alle donne è vietato... Allora gli chiesi di mettermelo per iscritto, e con quel mezzo foglio andai dal mio professore, che era avvocato. Così cominciò l’avventura. Facemmo ricorso al Consiglio di Stato sollevando la questione di illegittimità costituzionale della legge del ”19, che venne accolto. Idem la Corte Costituzionale. Quella legge escludeva le donne da tre categorie di carriere pubbliche: quelle che implicavano diritti e potestà politiche (ancora non votavano), dalla magistratura (figurarsi se un uomo poteva pensare di essere giudicato da una donna), e le carriere militari».
Dunque vinse la sua battaglia. Ma poi perchè scelse un’altra strada?
«La sentenza venne pubblicata nel maggio del ”60, ebbi molti onori, servizi sui giornali, foto. A quel punto avrei potuto fare annullare il concorso e partecipare. Ma avevo preso servizio all’Intendenza di Finanza, il lavoro mi interessava e restai lì. Ma l’avevo fatto per una fondamentale questione di principio». E noi gliene siamo grate. Ma la storia non è finita qui. Rosa Oliva si è sposata, ha avuto due figli, a un certo punto ha lasciato il lavoro per dedicarsi alla famiglia, si è impegnata nella scuola, nel comitato di quartiere di Vigna Clara, ha scritto un libro per la difesa del Parco di Veio, e oggi, a un’età che sorride e non rivela, torna in pista.
C’è ancora da fare? Non pensa che ormai per la sua nipotina, che ha 3 anni, la strada sia bella che spianata?
«Meno di quello che pensiamo. Abbiamo eliminato delle leggi, non abbiamo del tutto inciso sulle cause, siamo ultimi in Europa per l’occupazione femminile, siamo lontani dalla vera parità. Temo un ritorno indietro. Cercavo una donna magistrato da invitare al convegno, delle 8 che hanno vinto il primo concorso ce n’è solo una ancora in servizio, solo una è presidente di Corte d’Appello, solo due presidenti di sezioni di Cassazione...».
Dunque a cosa si vorrebbe dedicare?
«Forse a quella famosa tesi di laurea sui diritti delle donne che avevo chiesto e mai fatto. Sarà mica arrivato il momento buono?».