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 2010  maggio 09 Domenica calendario

PERCHE’ TENER VIVA L’UNITA’ D’ITALIA


Alla presenza del Presidente Napolitano a Quarto, dove salparono i Mille
di Garibaldi, mercoledì scorso sono iniziate le celebrazioni per i 150
anni dell’Unità d’Italia. Per i trentini, che all’Italia sono stati annessi
per ultimi (1920), la ricorrenza può sembrare qualcosa di lontano, di superato,
forse anche di indigesto. O comunque cosa che non li riguarda.
In effetti,
a parte qualche sparuto volontario irredentista, tutto il Risorgimento
fu vissuto dall’altra parte, combattendo i Savoia e maledicendo Garibaldi;
e i caduti trentini nelle guerre d’Indipendenza portavano la casacca austroungarica
ed erano al comando di Radetzky. L’intero processo di unificazione poi,
fu qualcosa di elitario, senza il coinvolgimento delle masse popolari,
guidato da ristrette aristocrazie massoniche e anticlericali, che avevano
visto nella monarchia di Torino un mezzo per sabaudizzare l’Italia e controllarla
in maniera centralista.
 evidente, quindi, a 150 anni di distanza che
i trentini, ma anche in generale gli italiani, non mostrino grande entusiasmo
verso la simbolica spedizione dei Mille conclusasi dieci mesi dopo con
la proclamazione del Regno d’Italia, nel marzo 1861.
Terra dei cento
comuni e identità, che affondano in millenni di storia e di gelose peculiarità,
lo Stivale era senza dubbio più vocato a soluzioni federaliste, alla Cattaneo
o alla Gioberti. Soluzioni stroncate sul nascere perché non funzionali
ad un progetto centralista ed elitario, cullato dai «poteri forti» del
tempo, e di cui la stessa corona sabauda divenne strumento.
Nonostante
tale vizio d’origine, causa non ultima dello scarso patriottismo nazionale
degli italiani e della debolezza identitaria comune, è importante per il
Paese e anche per noi trentini tener vivo il senso dell’unità d’Italia.
In primo luogo perché il Trentino è «anche»
Italia. L’ubriacatura hoferiana dell’ultimo anno, non deve far dimenticare
che questo nostro Land im Gebirge, terra fra i monti, è sicuramente Comunità
autonoma, alpina, mitteleuropea, incrocio di storie e di culture, di lingue
e di popoli. Ma tra i suoi cromosomi ha indubbiamente quelli italici, se
non altro per il fatto di essere l’ultima propaggine latina a Nord, e nello
stesso tempo la prima germanica a Sud. Fare memoria di questa nostra appartenenza,
che è innanzitutto linguistica, ma poi storica, culturale, artistica, architettonica,
perfino culinaria, è sempre un ottimo vaccino alle tentazioni isolazioniste
e di autosufficienza provincialista che periodicamente riemergono, spesso
insufflate da tornaconti politici e partitici di piccolo cabotaggio. Il
Trentino è un Land Autonomo, che appartiene alla storia mitteleuropea,
ma dentro un grande Paese di 60 milioni di abitanti, proiettato nel Mediterraneo,
e ponte geografico fra il Sud e l’Europa, che è l’Italia.

***
Tener vivo il senso dell’unità d’Italia è poi importante
per un secondo motivo. In tempi di superamento degli stati nazionali ottocenteschi
e di messa in discussione dei modelli politico- amministrativi centralisti,
è bene avere sempre in mente che ogni federalismo è tale solo dentro un’unità
nazionale. Altrimenti è dissoluzione, secessione, possibile disgregazione
politica e rischio di guerra civile.
Oggi l’Italia, pur con tutti i suoi
problemi, è uno dei più grandi Paesi sviluppati del mondo, ha un suo peso
economico e politico nell’Unione europea, esercita un fascino culturale
e di «stile di vita» a livello internazionale, che ne è la forza e il richiamo.
Concepire il federalismo come l’eliminazione da parte delle regioni più
forti della «zavorra» di quelle più deboli, rischia di spezzare l’unità
nazionale, generare squilibri, anche economici, potenzialmente irreversibili,
indebolire complessivamente il «sistema Paese», e soprattutto far venir
meno gli italiani. Perché lasciare andare avanti da sola la parte forte
del Paese, «mollando» la parte più debole, porta con sè i germi della deflagrazione
(e Dio non voglia, armata e violenta), genera pericolose tensioni sociali
(quanto sta succedendo in Grecia in questi giorni deve far riflettere),
impedisce di continuare ad essere un grande Paese, tra i maggiori del mondo.
E ridurrebbe l’Italia ad una piccola Padania satellitare dei mercati del
Nord, un Lombardo-Veneto politicamente gravitante sul baricentro tedesco
ma privo di forza propria; ed un Regno borbonico del Sud, abbandonato al
suo sottosviluppo e alla malavita organizzata, destinato ad una regressione
economico-sociale, e quindi anche dei mercati, senza orizzonti di riscatto,
ma ceduto alla deriva africana. Ecco perché è essenziale che anche il passaggio
delicato e importante del federalismo sia guidato da una sana identità
e appartenenza unitaria, dentro la quale, ciascun territorio possa sprigionare
le sue energie migliori.
***
C’è poi un
terzo elemento che spinge con forza a vivere quest’anno di commemorazioni
per l’unità d’Italia non come un’inutile (e dannosa) celebrazione di nazionalismo,
o di retorica beatificazione dei moti risorgimentali (che vanno invece
affidati agli storici per una lettura onesta e distaccata); ma come un’occasione
provvidenziale per recuperare un senso della nazione, ossia dell’essere
una comunità, unità da valori, principi, storia e prospettiva di futuro
comuni. Cioè quello che il presidente Napolitano chiama «rinnovato senso
della missione per il futuro della nazione».
Come in altre gravi stagioni
del passato recente, come ai tempi del Terrorismo e della Lotta alla mafia,
oggi l’Italia sta vivendo un destabilizzante deterioramento e compromissione
del collante nazionale, simboleggiato dalla perdita di fiducia che gli
italiani hanno in se stessi e nel proprio futuro. L’insipiente degrado
politico e morale, la diffusione a tutti i livelli della corruzione (nel
governo, nella pubblica amministrazione, in ogni strato della società e
dell’economia come le vicende di queste settimane e questi mesi drammaticamente
dimostrano), lo sfascio del sistema Paese a tutti i livelli dove non esistono
più regole e diritto, equità e garanzie, efficienza e servizio, ma i forti
spadroneggiano e i deboli sono abbandonati a se stessi, stanno minando
alle radici il nostro essere Nazione. Stanno facendo venir meno il vincolo
di cittadinanza, motivato da lealtà e da memorie comuni ma anche da prospettive
di speranza e di futuro, che fa degli italiani un popolo e non una semplice
masnada di servi e di disperati alla mercè delle dominazioni straniere,
come per secoli la penisola - quando era divisa - è stata.
Fare memoria
dell’unità d’Italia vuol dire ritrovare lo slancio morale e politico che
ha permesso agli italiani di vincere la lotta armata degli anni di piombo
(proprio oggi è la Giornata della Memoria) e impedire la morte dello Stato,
dando un futuro di pace e di prosperità al Paese. Vuol dire ritrovare l’unità
che, con le stragi degli anni Novanta e la morte di Falcone e Borsellino,
ha permesso di infliggere una svolta alla lotta alla mafia e assestare
un colpo che, se non è stato mortale, è risultato comunque decisivo nel
contrastare l’antiStato e la malavita organizzata.
Oggi l’emergenza numero
uno si chiama lotta allo «sfascio» in cui il Paese è precipitato, cioé
perdita di obiettivi comuni, sfiducia nella politica e nella sua capacità
di guidare il Paese, eclissi della legalità. Questo cancro sta minando
le basi della nazione, perché mette a rischio il vincolo di appartenenza
degli italiani alla medesima comunità, in una sorta di 8 settembre e di
«rompete le righe», dove ciascuno è lasciato in balìa di se stesso perché
il Paese ha smarrito il cammino comune e unitario.
Per questo tener vivo
il senso dell’unità d’Italia oggi non è fatica sprecata, ma è una priorità.
Ne va del futuro degli italiani.