Varie, 12 maggio 2010
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Calabresi Gemma
• (Capra) Torino 1946. Vedova del commissario Luigi Calabresi, assassinato il 17 maggio 1972. Madre di Mario, direttore della Stampa. Ha sposato in seconde nozze l’artista Tonino Milite • «[...] A differenza di mio figlio Luigi, che ha sempre in tasca il ritaglio di un articolo sul suo assassinio, non tengo la foto di Gigi nel portafoglio. Luigi non ha mai conosciuto suo padre, quando è morto stava nella mia pancia, se fosse stato una bambina avevamo deciso che l’avremmo chiamata Chiara. Un giorno gli ho detto: hai un nome impegnativo da portare, ti chiedo scusa. Lui mi ha risposto: ”No, mamma, sono contento di doverlo fare”. Ho un cassetto pieno delle cose di Gigi, delle cose sue e mie, e ancora mi stupisco che siano così tante, visto che non siamo riusciti a fare nemmeno tre anni di matrimonio. Ho l’ultima rosa che mi ha portato e ho lui dentro i nostri figli [...] Nei loro atteggiamenti. Magari ne sorprendo uno davanti allo specchio che si mette a posto il ciuffo e rivedo Gigi con un balzo del cuore e poi lo ritrovo in un fratello per come tiene tra le dita la tazzina del caffè. Mario, il più grande, ha la sua forza, è avvolgente come lui, come lui si prende cura di tutti, Paolo nel sonno ha la sua stessa espressione, Luigi ne ha ereditato l’ironia, le battute [...] io sono orgogliosa di quello che ho fatto in questi [...] anni. Ho preso delle decisioni: ho cambiato lavoro, mi sono risposata, ho educato i miei figli tenendoli lontani dall’odio e dalla vendetta, ho ritrovato anche la gioia di vivere. Oggi sento una strana pace interiore, strana nel senso che avverto un dolore terribile e sereno. La ferita non si rimarginerà mai, mi fa male anche soltanto quando passo accanto alla panetteria di corso Vercelli e sento il profumo del pane che compravo per Gigi, dei ”francesini’ molto croccanti. Che uomo era? Molto diverso da come è stato raccontato. Brillante, allegro, il romano che si sa godere la vita. Un uomo onesto, un uomo di passioni e di fede. Non un uomo votato al martirio, come qualcuno ha voluto far credere. Questo no [...] Ho sempre sentito vicino Dio, mi ha aiutata a non andare a cercare vendetta. Per merito della fede la rabbia si è trasformata in dolore, con il tempo è cresciuta la mia sensibilità, si è allargata agli altri, ho imparato a prendermi maggiore cura degli altri. Ho pregato per Giuliana Sgrena e Florence Aubenas, per Clementina Cantoni, per la Pari e la Torretta, per Torsello e Mastrogiacomo. Ho pregato per le famiglie di D’Antona, di Biagi, di Calipari e di Raciti, perché so che cosa succede a quelle mogli e a quei figli [...] Penso spesso che siamo sbagliati noi, non il mio Dio. Ho capito, invece, la precarietà della vita e della felicità [...] sono consapevole che da un minuto all’altro l’esistenza di ciascuno di noi può venire distrutta. Ma è quel prima o poi che fa la differenza. A me è successo che avevo appena venticinque anni [...] Io ho cercato addirittura di prendere le distanze dal 17 maggio del ”72, da quelle immagini che tornano sempre sui giornali e nelle tv. Quel marciapiede, la Cinquecento, il sangue sull’asfalto, gli hanno sparato alla schiena e alla testa.... Quelle fotografie e quei filmati fanno male a me, ai miei figli, al Paese. Io credo nella memoria condivisa, nei suoi insegnamenti, voglio conoscere, conoscere, conoscere. Accogliere le tragedie di tutti perché non succedano mai più [...]» (Dario Cresto Dina, ”la Repubblica” 16/5/2007).