MASSIMIANO BUCCHI, Tuttoscienze - La Stampa 12/5/2010, pagina 23, 12 maggio 2010
NOI SCHIAVI DELL’EQUIVOCO
Che si parli di Ogm, energia nucleare o situazioni di fine vita, il dibattito pubblico sembra prigioniero di uno schema consolidato. Da un lato i fautori di uno sviluppo illimitato di scienza e tecnologia; dall’altro coloro che invocano un argine all’invasione di campo della ricerca in ambiti tradizionalmente appannaggio di scelte e pratiche sociali, politiche o religiose.
Paradossalmente i due fronti condividono un medesimo pregiudizio. Entrambi considerano scienza e società come entità compatte, rigidamente separate e reciprocamente impermeabili. Alla scienza spetta di mettere sul tavolo nuove proposte, che la società attende al varco per boicottarle. In «Scientisti e antiscientisti. Perché scienza e società non si capiscono» (Il Mulino) cerco di mostrare che lo schema è ormai inadeguato oltre che fuorviante - e ci impedisce di cogliere le sfide più rilevanti della scienza nella società contemporanea.
Da parte sua, infatti, la scienza offre sempre più «prodotti» che intercettano desideri e aspettative sociali. Per 399 dollari, l’azienda della Silicon Valley «23andMe» offre un’analisi di 580 mila marcatori o variazioni genetiche che permettono di sapere, tra l’altro, con quale probabilità si potranno sviluppare un centinaio di patologie, la predisposizione a un quoziente di intelligenza elevato e se un bambino sia figlio di un certo padre.
Il rapporto del mondo della ricerca con i media, un tempo temuto e deprecato, è sempre più intenso e pervasivo. Un genetista e membro dell’«editorial board» della rivista «Science» ha spiegato che la prima scrematura dei manoscritti ricevuti per la pubblicazione si basa «su un mix di novità, originalità e sul fatto che il tema trattato sia più o meno trendy». Qualche anno fa, un addetto stampa dell’Università del Wisconsin, discutendo delle strategie di pubblicizzazione di una ricerca sulla formazione delle ali nel moscerino drosophyla, suggerì di rifare l’esperimento con le farfalle per produrre immagini più attraenti e suscettibili di catturare l’attenzione, sia dei redattori della rivista scientifica, a cui era diretto il saggio, sia della stampa non specializzata.
La scienza è anche divenuta un elemento di intrattenimento attraverso la «scienza spettacolo»: le notizie sempre più ricorrenti di studi (provenienti da riviste scientifiche specializzate o da comunicati stampa di autorevoli istituti) sulla base neurologica del gusto per le patatine croccanti, sulle proprietà preventive del ballo liscio contro la demenza senile, sull’ormone della generosità e sul fondamento genetico della predisposizione a perdere più o meno precocemente la verginità.
A questa spinta corrisponde, da parte della società, l’utilizzo ormai estensivo e indiscriminato di immagini, concetti, argomentazioni e linguaggi che si richiamano alla scienza. Quest’ultima diviene così una risorsa per sostenere o legittimare le più disparate posizioni nei più vari ambiti della vita sociale: dal business alla politica, dalla comunicazione pubblicitaria alla fiction. Questo rapporto pragmatico e opportunistico illude la società di padroneggiare la scienza, senza che vi sia una significativa interiorizzazione culturale dei suoi contenuti e metodi. La scienza si trova così ad essere giudicata sulla base dei «prodotti» che è in grado di offrire: soluzioni tecnologiche a problemi sociali, pareri scientifici consoni a bisogni o aspettative sempre più mutevoli e individualizzate.
I frequenti cortocircuiti tra discorso scientifico e opinione pubblica, tra le priorità della ricerca e le aspettative sempre più pressanti e diversificate di cittadini e consumatori, erodono i confini tra scienza e società, evidenziando le divisioni entro i rispettivi fronti - i recenti dibattiti sul clima ne sono un esempio.
Da un certo punto di vista, per quanto sembri paradossale, oggi scienza e società non si capiscono perché si intendono fin troppo bene. Credendo (o fingendo) di scontrarsi, in realtà assecondano le rispettive inclinazioni, si usano reciprocamente come scudo (e come scusa) in un illusorio gioco delle parti.