Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 12 Mercoledì calendario

INTERVISTA A SERIANNI

Luca Serianni insegna storia della lingua italiana nell’Università di Roma La Sapienza ed è un luminare nel suo campo. Di lui si ricorda una monumentale Grammatica della lingua italiana pubblicata da Utet.
Professore, che cosa parleremo tra trent’anni?
«Vuole sapere se parleremo italiano, inglese ma anche il dialetto? Francamente non saprei dirlo. C’è una branca della mia materia che si chiama prognostica linguistica e si occupa di queste cose. Ma io sulle prospettive sarei cauto: venti anni fa in molti pensavamo che i dialetti sarebbero finiti. E’ invece eccoli forti e vegeti».
Ovunque?
«Non ovunque. E’ stato rilevato che tendono a ridursi nelle aree geografiche in cui domina l’insediamento urbano e a conservarsi dove permangono i piccoli centri. Per semplificare: tengono molto nel Triveneto, in Campania, Calabria e Sicilia. In forte recessione, invece, in Liguria».
Che fine faranno i dialetti così come li conosciamo?
«Il dialetto classico, quello degli scrittori dialettali, per intenderci, è evidente che non c’è più. Dobbiamo pensare al dialetto come a un organismo vivo, che si trasforma».
Il dialetto era dei poveri, la lingua nazionale dei ricchi e dei colti. E’ ancora così?
«Questa differenziazione sociale è completamente superata. Il dialetto, semmai, resta la lingua della dimensione privata e familiare. Ma dove il contesto sociale lo consente - per esempio in Veneto - viene molto utilizzato anche in ambiti pubblici».
Effetti dell’omologazione da tv: imbarbarimento dei dialetti? Impoverimento della lingua? Contaminazione con forestierismi?.
«Io parlerei di effetti positivi dell’omologazione: oggi quasi la totalità della popolazione è in grado di parlare l’italiano. Per quanto riguarda una contaminazione, direi che oggi c’è nel senso che la lingua - specie con l’introduzione di parole nuove, termini tecnici, anglicismi - travasa immancabilmente delle innovazioni sui dialetti. L’influenza, invece, di questi ultimi sulla lingua è molto diminuita: negli ultimi anni - se ben ricordo - è passata dal dialetto alla lingua solo la parola ”inciucio”, ma quanto resisterà nell’italiano nazionale, non lo so».
Un dato di quadro, professore: quante parole usa un italiano colto, e quante uno poco istruito?
«Una persona colta è in grado di utilizzare circa 15-20 mila parole, che sono tantissime, e di altrettante ha una ”conoscenza passiva”, nel senso che le riconosce quando le incontra, ma non usa mai. Una persona di modesta cultura se la cava, invece, con 5 mila parole» .