FRANCESCO SEMPRINI, La Stampa 12/5/2010, pagina 5, 12 maggio 2010
GEITHNER: EUROPA METTI I SOLDI VERI
Chi ci lavora a stretto contatto sostiene di non averlo mai visto così energico e deciso come nei colloqui telefonici con i colleghi del Gruppo dei Sette dello scorso fine settimana. Sembra sia stata la determinazione di Timothy Geithner, almeno sulla sponda americana dell’Atlantico, il «fattore strategico», che ha contribuito a varare la manovra congiunta di aiuti (piano da mille miliardi di dollari e swap valutari) per far fronte alla crisi del debito nel Vecchio continente.
« stato perentorio, diretto come non mai», spiega una fonte di Washington, secondo cui il segretario al Tesoro Usa ha detto chiaramente ai suoi interlocutori che il piano così com’era (nella formulazione dei 110 miliardi) non «aveva la magnitudine giusta». In sostanza Geithner ha chiesto all’Europa un impegno maggiore, un progetto più ambizioso e di più ampio respiro, che predisponesse gli strumenti per far fronte a emergenze presenti, ma anche e soprattutto future. «Così com’è non basta», ha detto l’ex numero uno della Fed di New York, chiedendo ai governi dei Paesi in difficoltà, al contempo, maggiori garanzie di «credibilità fiscale». Del resto il pressing di Geithner rientra nella più ampia strategia «interventista» voluta dagli Usa. La crisi dell’Eurozona, sostengono amministrazione e Federal Reserve, se non trattata in tempo, rischiava di minare la ripresa americana, già appesantita da una disoccupazione alla soglia delle due cifre, e da un debito pubblico in forte ascesa.
I timori sulla stabilità dell’Europa sono stati sempre in cima all’agenda dei lavori di Washington nelle ultime settimane, spiega il Financial Times, ma il precipitare degli eventi di giovedì e venerdì, complice anche il «glitch» tecnico delle borse americane, ha spinto la Casa Bianca dallo «stato di allerta» allo «stato di crisi».
Così sono scattate tutte le procedure di emergenza, in primis i colloqui telefonici tra il presidente Barack Obama, il collega francese, Nicholas Sarkozy, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Mentre Geithner vestiva i panni del regista di un intreccio di consultazioni globali prima tra i G-7, poi a livello di G-20. Il segretario al Tesoro ha voluto affrontare l’emergenza Eurozona anche con i colleghi asiatici e latino-americani dal momento che l’esposizione sulle banche è su scala globale. «Ha optato per il più ampio coinvolgimento possibile», dicono da Washington, legittimando da parte Usa, il ruolo dell’Fmi di interlocutore tecnico del G20, al quale è affidato il compito di mettere in pratica le misure correttive degli squilibri globali teorizzate durante i summit dei Grandi del Pianeta. Sul versante interno invece è stato determinante il suo contributo per coordinare l’intervento con la Fed, sempre nel rispetto della piena autonomia della banca centrale.
La riunione di emergenza tenuta domenica dal Federal Open Market Committee, il suo braccio esecutivo, è stata fortemente sostenuta da Obama e Geithner che hanno visto nella riapertura delle linee di swap valutario uno strumento importante per allentare le tensioni sul mercato, così come era accaduto due anni fa con la crisi del settore privato. L’operazione, assicura il ministro, non presenta rischi sostanziali perché le controparti della Fed sono le Banche centrali e il tasso di cambio viene fissato al momento del prestito. Nonostante il gradimento dei mercati però la determinazione di Geithner non ha mancato di sollevare critiche specie da parte dei repubblicani che cavalcano i timori di chi teme ricadute sui portafogli dei contribuenti americani. Per alcuni gli swap sono anche una distorsione del mercato perché conentono alla Fed di salvare indirettamente le banche straniere. Altri temono invece per la debolezza dell’euro, che rischia di rendere più difficile l’obiettivo dell’amministrazione di raddoppiare le esportazioni americane entro il 2015. Dal punto di vista politico infine - osserva il Wall Street Journal - la strategia di cui Geithner si è fatto alfiere, pone amministrazione e Banca centrale «in una posizione delicata», alla luce del confronto in Congresso sulla dibattutissima riforma finanziaria che vede schierato tra i suoi sostenitori il titolare del Tesoro.