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 2010  maggio 11 Martedì calendario

2 articoli - MERCATO DELLA FRUTTA, PATTO MAFIA-CAMORRA - NAPOLI - Il trasporto dei prodotti ortofrutticoli era affare loro

2 articoli - MERCATO DELLA FRUTTA, PATTO MAFIA-CAMORRA - NAPOLI - Il trasporto dei prodotti ortofrutticoli era affare loro. Un «federalismo mafioso», come lo ha definito il procuratore nazionale Piero Grasso, che aveva messo d´accordo il clan camorristico dei Casalesi e Cosa nostra siciliana per fare cartello insieme alla ”ndrangheta. Così sull´asse Lazio, Campania, Calabria e Sicilia le cosche gestivano in regime di monopolio il trasferimento della merce da e verso i principali mercati del Centro-Sud: a cominciare da quello di Fondi, in provincia di Latina, per arrivare fino a Palermo, Catania, Gela e Marsala passando per Aversa e Giugliano, imponendo le ditte di autotrasporto e i prezzi di acquisto ai produttori. questo il tessuto dell´inchiesta coordinata dal pool anticamorra di Napoli e condotta dalla Dia di Napoli guidata da Maurizio Vallone e dalla polizia di Caserta diretta dal questore Guido Longo che ha portato all´esecuzione di 68 ordinanze di custodia cautelare e al sequestro di beni dell´importo complessivo stimato in circa 90 milioni di euro. I provvedimenti, firmati dal giudice Marzia Castaldi, sono stati chiesti dai pm Cesare Sirignano, Francesco Curcio e Ivana Fulco, con il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho. Fra gli indagati, Francesco Schiavone soprannominato "Cicciariello", cugino del padrino che porta lo stesso nome ma è conosciuto con il soprannome di "Sandokan". Il figlio di "Cicciariello", Paolo Schiavone, 27 anni, è stato arrestato al rientro dal viaggio di nozze trascorso a bordo di una nave da crociera. Raggiunti dall´ordinanza anche Giuseppe e Vincenzo Ercolano, rispettivamente 75 e 40 anni, ritenuti esponenti di Cosa nostra siciliana (Giuseppe Ercolano è il cognato del capomafia Nitto Santapaola) gli imprenditori della provincia di Trapani Antonio e Massimo Sfraga, indicati come legati alla famiglia del padrino di Corleone Totò Riina e in particolar modo al fratello Gaetano, e un imprenditore di Gela, Biagio Cocchiaro, ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Rinzivillo. Al centro dell´inchiesta l´azienda «Paganese trasporti» di San Marcellino, (in provincia di Caserta) di Costantino Pagano, 42 anni, che il gip definisce «protagonista indiscusso di quasi dieci anni di illecita concorrenza nei mercati ortofrutticoli del Paese». La «Paganese» appare ai magistrati come «un investimento del clan dei Casalesi» che nel 2000 conosce «uno sviluppo enorme«, secondo l´accusa grazie alla camorra. Nel 2002 ottiene l´egemonia sul mercato di Fondi, estromettendo imprenditori legati ai clan dell´Alleanza di Secondigliano e stringe le intese con le famiglie mafiose basate su una «reciproca protezione e collaborazione» che le fruttano una posizione dominante o comunque oligopolistica in territorio siciliano». A Fondi «l´esponente dell´avamposto della Paganese» viene individuato Giuseppe D´Alterio, il cui nome era stato accostato nel novembre scorso dalla stampa locale alle vicende di Gianguerino Cafasso, il "pusher" dei trans morto in circostanze misteriose. Accostamento che viene anche commentato in alcune telefonate intercettate durante le indagini. «Questo sistema si riflette sui cittadini che trovano i prezzi maggiorati», ha sottolineato il direttore della Dia Antonio Girone. «Accadono cose impensabili - ha rimarcato Grasso - fragole che per essere impacchettate vengono invitate da Vittoria, in Sicilia, fino a Fondi da dove vengono poi distribuite nel Sud e anche a Milano». DARIO DEL PORTO, la Repubblica 11/5/2010 SOLDI SPORCHI E CARTELLO DEI PREZZI UN BUSINESS DA 50 MILIARDI DI EURO - MILANO - In principio furono arance, pomodorini e bufale. Le arance della Piana di Gioia Tauro, i pomodori di Pachino e Villa Literno, le bufale (pure dopate) del Casertano. Sono partiti da lì i banditi della tavola e da lì non se ne sono mai andati. Hanno solo allargato i loro confini. Si sono infilati nei gangli della grande distribuzione, hanno preso gli ipermercati, i mercati ortofrutticoli, i tir, le commesse, le dogane, le cooperative di facchinaggio, le società "lavanderie" accreditate dalle municipalizzate. Perché come ogni grossa economia sporca, anche quella agroalimentare nasce da piccoli segmenti di mercato, da prodotti del territorio da spremere e trasformare rapidamente in veicolo di ricchezza, di potere, di espansione. Anche un modo per "pulire" i capitali frutto del traffico di cocaina. Su questo hanno puntato i boss dell´ortomafia, i nuovi feudatari che coi loro cartelli reggono un giro da 50 miliardi quasi tutti offshore. Poco meno di un terzo dell´economia illegale italiana (169,4 miliardi). Una torta pazzesca dove a commissionare il furto di un trattore possono essere gli stessi burattinai che fissano (gonfiandolo) il prezzo di pesche e zucchine. Che portano via le bestie dagli allevamenti per macellarle clandestinamente (ogni anno spariscono più di 100 mila animali). Che taglieggiano i commercianti e i grossisti degli ortomercati, che "addomesticano" questi mercati, alcuni enormi - un fatturato totale di 8 miliardi all´anno, Milano è il più grosso centro di smistamento del Mediterraneo - sino a farli diventare i loro regni. Le ”ndrine di Reggio Calabria. Le cosche siciliane. I Casalesi che prima di infiltrare l´edilizia a colpi di racket e mitra allevavano bufale (in ogni famiglia c´è almeno un parente che possiede un allevamento, poi le bufale hanno iniziato a doparle con la complicità dei veterinari dell´Asl). Dal caporalato al monopolio nella distribuzione, dalla contraffazione e sofisticazione degli alimenti sino ai prezzi imposti e alla pesa "farlocca" i nuovi signori delle campagne sono loro: i capibastone mafiosi. Secondo l´ultimo rapporto della Cia (Confederazione italiana agricoltori) ogni giorno vengono commessi 150 reati, un agricoltore su tre ha subito e subisce gli effetti della criminalità organizzata. L´intensa attività dei gangster della frutta e della verdura - ma anche del latte e dei suoi derivati, e lo stesso discorso vale per le carni - è stata radiografata e ne è venuta fuori questa triste classifica. Al primo posto per numero di reati (ma resta fuori il sommerso non denunciato) ci sono i furti di attrezzature e mezzi agricoli. Poi il racket, l´abigeato, i furti di prodotti agricoli, il danneggiamento alle colture e le aggressioni, l´usura e il caporalato. Il posizionamento di quest´ultimo, è evidente, è determinato dalla scarsissima emersione ufficiale dei casi laddove le vittime non denunciano gli sfruttatori per paura. Ci sono due piani nell´economia agroalimentare mafiosa. Il primo è legato alle produzioni e alla raccolta sul territorio. E all´intermediazione nel passaggio contadino-commerciante. Un caso esemplare è il mercato di Vittoria (Ragusa), il primo d´Italia per la produzione di frutta e verdura. Qui un sistema perverso controllato da Cosa Nostra stritola i contadini. Da decenni. Da quando - spiega il pm Fabio Scavone della Dda di Catania - in queste terre - erano gli anni ”60 e ”70 - furono mandati in soggiorno obbligato i grandi capi mafiosi che fecero incetta di campi». Il morso della piovra e della Stidda gelese - alleate nella spartizione degli affari - stritola tutto o quasi a Vittoria: le cooperative, gli autotrasporti, gli stand, i tariffari, le segherie da dove escono le cassette di legno. Molto è avvenuto sotto il controllo dei clan Dominante-Carbonaro. Basta spostarsi più su, e attraversare il mare, e si può vedere come gli ”ndranghetisti, oltre a stoccare tonnellate di cocaina stringendo accordi coi narcos sudamericani, allungano la loro presa anche sulle primizie di stagione. il caso della cosca Bellocco di Rosarno, o del clan Tripodi di Reggio Calabria che - raccontano le inchieste dell´antimafia - ha messo le mani sul mercato di Fondi (Latina), il più grande complesso ortofrutticolo del Lazio. Un´operazione in grande stile l´avevano messa in piedi anche i reggenti del clan Morabito-Bruzzaniti. Loro nel cuore della Milano dell´Expo: l´Ortomercato di via Lombroso, un milione di tonnellate di prodotti ogni anno, 9 mila lavoratori, 400 ditte. Spadroneggiavano, in prima fila c´era Salvatore Morabito, il nipote del boss Beppe Morabito che entrava con regolare badge rilasciato dalla Sogemi, la società comunale che gestisce il mercato. Così fino al dicembre del 2007, quando un´indagine della Dda milanese ha spento la tarantella. Intanto i calabresi erano persino riusciti a aprire un night all´interno della palazzina Sogemi. Un "giochino" se paragonato alla campagna acquisti di supermercati avviata al Sud come al Nord da imprenditori in odore di mafia. Una scalata su cui stanno indagando diverse procure. Un business munifico. Perché dal produttore al consumatore è diventata roba loro. PAOLO BERIZZI, la Repubblica 11/5/2010