Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, il Fatto Quotidiano 11/5/2010;, 11 maggio 2010
PASOLINI, INCHIESTA IN BIANCO E NERO - G
li indumenti incrostati di sangue, la camicia a quadri, la canottiera, i blu jeans, i documenti personali e la patente di guida ormai sbiadita, gli occhiali da sole, la tavoletta di legno che fu usata come un randello, il plantare di una scarpa destra misura 41, il vecchio maglione di lana verde ancora alla ricerca di un ignoto proprietario, ma pure un telegramma, e una vecchia denuncia di furto dell’Alfetta 2000 Gt grigio metallizzata, quell’auto sportiva che faceva tanto colpo sui ”ragazzi di vita”. tutto quello che resta, 35 anni dopo, della scena del crimine commesso la notte tra l’1 e il 2 novembre, all’Idroscalo di Ostia: il pestaggio mortale dello scrittore Pier Paolo Pasolini, massacrato di botte e poi schiacciato sotto i copertoni di un’auto. Sono i reperti che ieri mattina gli uomini del Ris di Roma, coordinati dal maggiore Andrea Berti, hanno estratto da due grossi scatoloni di cartone e hanno meticolosamente fotografato per avviare una catalogazione e procedere – si potrebbe dire finalmente – a prelievi di campioni dalle macchie di sangue ancora perfettamente visibili su camicia e pantaloni, così da poter risalire al Dna degli esecutori in azione all’Idroscalo e ricostruire l’esatta dinamica di quel pestaggio ancora misterioso. È un passo che da anni viene invocato invano da un pezzo di opinione pubblica italiana e da intellettuali tra cui Bernardo Bertolucci, Andrea Camilleri, Dacia Maraini, e Walter Veltroni. Quest’ultimo, un mese fa, con una lettera aperta ha sollecitato pubblicamente il ministro della Giustizia Angelino Alfano affinché intervenisse per la riapertura di una nuova indagine sulla morte del poeta, sottolineando che la verità giudiziaria fondata sulla colpevolezza dell’ex borgataro Pino Pelosi non ha mai convinto nessuno. Alfano, rispondendo a Veltroni, ha fatto proprio l’appello per la riapertura del caso. Ora, con l’esame degli indumenti e degli oggetti appartenuti a Pasolini, la nuova inchiesta entra nel vivo. L’analisi dei reperti è stata effettuata ieri dalle undici del mattino alle cinque del pomeriggio, nei locali di Tor di Quinto, sede del Ris dei carabinieri, dopo che gli scatoloni erano stati prelevati nei giorni scorsi dal Museo Criminale di Roma che li ha custoditi per oltre tre decenni, su disposizione della Procura della Capitale. I carabinieri hanno riscontrato impronte digitali e tracce di capelli sulla tavoletta di legno utilizzata per colpire Pasolini alla testa, e procederanno nei prossimi giorni con nuovi esami dattiloscopici. il passo più significativo da quando, due mesi fa, il pm Francesco Minisci ha riaperto ufficialmente l’inchiesta sull’uccisione dell’autore di Teorema e Ragazzi di vita, accogliendo la richiesta presentata un anno fa dell’avvocato Stefano Maccioni e della criminologa Simona Ruffini, che ieri hanno assistito alla riesumazione dei reperti. A Tor di Quinto, a seguire in religioso silenzio l’esame degli abiti insanguinati di Pasolini, c’erano anche Guido Mazzon, il cugino dello scrittore (assistito dallo stesso Maccioni) e Luciano Garofano, l’ex comandante del Ris che, per primo in un libro spiegò l’importanza delle tracce di sangue presenti ancora oggi su quegli indumenti, per ottenere ”importanti informazioni sulle modalità dell’aggressione”. Una modalità rimasta del tutto misteriosa. Pelosi, ragazzo di vita all’epoca solo diciassettenne, confessò l’omicidio di Pasolini raccontando di esser stato adescato dallo scrittore, e di averlo poi assassinato al termine di una lite scaturita dal suo rifiuto di sottostare ad una prestazione sessuale non gradita. Ma recentemente Pelosi si è proclamato innocente e ha parlato di ”cinque persone” – un vero e proprio squadrone di morte – piombate all’Idroscalo a bordo di una Fiat 1500 di colore scuro, che avrebbero immobilizzato il poeta e si sarebbero accaniti su di lui uccidendolo al termine di un feroce pestaggio. Pelosi ha anche fatto il nome di due di quei picchiatori: ”Erano i fratelli Giuseppe e Franco Borsellino, originari di Catania, che frequentavano la sezione del Msi del Tiburtino”. Significative conferme su questa nuova ricostruzione potrebbero scaturire ora dall’esame sui reperti prelevati dal Ris che non si è ancora concluso e che proseguirà lunedi prossimo. A partire dal numero degli attori presenti sulla scena del delitto nella notte dell’Idroscalo. Per Garofalo, che oggi è consulente del comune di Roma ancora una volta costituitosi, con il patrocinio dell’avvocato Guido Calvi, parte offesa nell’inchiesta, ”dallo studio delle macchie di sangue si potrebbe stabilire (e magari confermare) la tipologia di armi usate per colpire, le posizioni reciproche dell’omicida e della vittima, e riscontrare quindi l’attendibilità della versione fornita da Pelosi”. Appena fuori dalla sede del Ris, ieri Maccioni è apparso commosso: ”È stata un’emozione immensa, è stato come ritornare indietro nel tempo”. E ha aggiunto: ”Sono convinto che dalla visione di questi reperti emergeranno indizi importanti per la ricostruzione dell’omicidio Pasolini. Mi sento grato al pm Minisci che ha fatto in poche settimane quello che non era stato fatto in 35 anni”. Di certo, da quando ha riaperto l’indagine, il pm Minisci – che aveva tre anni quando è morto Pasolini – non è rimasto con le mani in mano e ha disposto una serie di nuovi atti istruttori nel tentativo di ricostruire il puzzle dell’aggressione misteriosa che lo stesso Pelosi, oggi, sembrerebbe attribuire a ragioni politiche. Il pm Minisci ha sentito, come persona informata dei fatti, Silvio Parrello, 67 anni, uno degli ex ragazzi di vita (’Pecetto” nel libro di Pasolini), che ha riferito alcune informazioni inedite. A Parrello un amico avrebbe raccontato che un’Alfa Romeo, quasi identica a quella di Pasolini, fu portata poco dopo il delitto presso un carrozziere della Portuense. A portare l’auto sarebbe stato Antonio Pinna, esponente della malavita romana, che scomparve pochi giorni dopo l’inizio del processo, il 16 febbraio del 1976. Il pm ha inoltre acquisito il documentario girato all’Idroscalo da Sergio Citti che raccolse, poche ore l’agguato a Pasolini, la testimonianza di un pescatore sulla presenza di una seconda auto tra le baracche, e di almeno quattro persone sul luogo del delitto. È stato ascoltato come persona informata dei fatti anche il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, che nei mesi scorsi aveva annunciato il clamoroso rinvenimento di Lampi su Eni, un capitolo di Petrolio – l’ultimo romanzo di Pasolini – dedicato alla ricostruzione dell’omicidio di Enrico Mattei. Il documento, chiamato dall’autore Appunto 21 è da anni misteriosamente scomparso, e potrebbe contenere indizi utili a decifrare il movente dell’aggressione all’Idroscalo.