Simona Antonucci, Il Messaggero 11/5/2010, 11 maggio 2010
IL FANTASMA DELL’OPERA
Un’emozione per sempre. Come si sceglie un’opera che sia significativa oggi e rappresentativa domani? Capace di regalare un fremito ai sensi e all’intelletto di visitatori proiettati negli anni? E con un pizzico di ottimismo, nei secoli? Una creazione, insomma, che sia contemporanea e per sempre?
La citazione pop da Ramazzotti è dedicata al ”fantasma dell’opera” che abita le sale in via di allestimento dei due musei MAXXI e Macro, alla vigilia delle inaugurazioni gemelle previste per fine maggio. Due prestigiosi luoghi che finora hanno potuto vantare un clamore internazionale grazie anche alle archistar, Zaha Hadid e Odile Decq, autrici dei progetti. Ma che d’ora in poi potranno contare soltanto sulla capacità di appendere alle pareti ”emozioni per sempre”. Prevedendo il futuro, mettendo in cornice il contemporaneo. Come?
Achille Bonito Oliva, critico d’arte. «Illustrando il retroterra del presente». Uno dei maggiori studiosi italiani, che tra l’altro cura la mostra su De Dominicis che inaugurerà il MAXXI tra un paio di settimane, spiega: «In un’epoca sostanzialmente di remake, un museo deve illustrare le matrici di quello che viene prodotto oggi. Le avanguardie storiche sono già presenti in molte collezioni, già viste nelle grandi capitali. Action Painting, New Dada, Pop Art, Transavanguardia... Bisogna partire dagli anni Cinquanta-Sessanta per arrivare a rivisitare l’età attuale. Mentre una Biennale deve documentare un presente costante, una ricerca in corso, anche se effimera, un museo deve orientarsi verso un passato prossimo. Considerando che non esistono più correnti con denominazioni precise, ma aree culturali sempre più sbilanciate verso il sociale. Puntando alla qualità di pezzi che educhino al gusto e creino una rete di esemplificazioni linguistiche. Un’operazione complicata a partire dall’aspetto finanziario. Ma la soluzione è nell’intreccio tra pubblico e privato. I collezionisti sempre più spesso cedono in comodato le loro opere. Con formule che prendono in considerazione mobilità verso più strutture. Dipinti, sculture, istallazioni non più orgoglio stanziale ma patrimonio di un’area. In cambio andrebbero previsti importanti sgravi fiscali per i proprietari: progetti cui dovrebbero lavorare insieme Ministero per i beni Culturali e delle Finanze».
Luca Massimo Barbero, direttore del Macro. «Per scegliere bisogna partire da quello che manca». C’è tempo fino a settembre per mettere a punto la collezione. A fine maggio verranno inaugurate soltanto le pareti. «Una scommessa. Ma è esaltante navigare a vista e non solo per certificazione, altrimenti l’acquisizione di una collezione diventa un’operazione di brokeraggio. Serve responsabilità e leggerezza: il contemporaneo è fluido. Tra le mancanze da cui partire naturalmente Schifano, Lo Savio e poi tutti i giovani del momento. Abbiamo acquisito De Dominicis in comodato e sogno Twombly come tutti i grandi autori che hanno dialogato con questa città. Una collezione si costruisce anche partendo dal desiderio di avere quell’opera per quello spazio, come è successo per l’istallazione di Buren presentata la scorsa settimana: un cannocchiale prospettico, autentico punto di partenza».
Anna Mattirolo, direttrice del MAXXI Arte. «Guardare al futuro significa anche scommettere», ha spiegato durante la presentazione della nuova collezione del capolavoro architettonico progettato da Zaha Hadid. E del resto, quando il Moma impose certi artisti negli anni Cinquanta e Sessanta, Jasper Jones non era ancora Jasper Jones. E quanto valeva un Rauschenberg? «Non bisogna sottovalutare il presente, il nuovo. Anzi. Sarà il tempo a dare il suo giudizio definitivo».
Raffaella Sciarretta, collezionista e presidente della Fondazione Nomas che si occupa di sostenere gli emergenti. «L’affluenza in un museo si crea sui progetti più che sulle singole opere. Gli spazi si assomigliano tutti tra di loro e non basta mettere insieme grandi firme. Il Sacro non c’è più. Si guarda al sociale e alla possibilità di riflettere sull’oggi. Le fondazioni sono organismi liberi in grado di cambiare il panorama delle nuove proposte. Le collezioni non si costruiscono per investire, ma per tenere gli occhi aperti sul futuro».
Giovanni Giuliani, collezionista. Ieri, artisti e critici da tutta Italia hanno partecipato all’inaugurazione della sua nuova Fondazione a Testaccio dove a rotazione esporrà parte dei suoi tesori, avviando una riflessione proprio sul processo del collezionare. Espongo una mia interpretazione dell’arte contemporanea. I collezionisti, liberi dalle regole accademiche e del mercato dei galleristi, al momento sono sostanzialmente i maggiori sostenitori della ricerca. E le fondazioni assolutamente no-profit sono luoghi dove il dialogo è fluido. Caratteristiche dell’arte contemporanea sono proprio la fragilità (basta pensare alla materia che viene utilizzata) e l’instabilità. Scegliere un’opera è un’impresa emotiva e culturale. Ma per cogliere in una creazione il patrimonio espressivo, bisogna usare l’anima più che il portafogli. E’ per questo che chiudo con una provocazione: il mio sogno è costruire una mostra con opere di artisti che hanno smesso di fare gli artisti».