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 2010  maggio 07 Venerdì calendario

E IL PARLAMENTO LAVORA SEMPRE MENO

Il Parlamento lavora poco. Sempre meno. La produzione legislativa, che tuttora è l’attività principale delle Camere, sta crollando. Da settembre scorso le sedute con votazioni a Montecitorio hanno occupato una media di dieci ore settimanali. Non si è mai andati oltre le due giornate e mezzo di lavoro: e il calo di produttività ha contagiato e rallentato le stesse commissioni. In Senato, ad aprile, le votazioni sono state concentrate in sole sei sedute. Le ultime due settimane hanno visto l’approvazione in via definitiva di quattro leggi, ma si tratta di quattro ratifiche di trattati internazionali.
Il grafico della serie storica delle legislature repubblicane disegna una curvatura molto pronunciata. Dall’aprile 2008 sono state varate 161 leggi (media 6,5 al mese). Nelle prime tre legislature la media era di oltre 30 leggi al mese. Il calo in realtà è stato lento e progressivo fino al ”92, quando i parametri di Maastricht costrinsero ad un più rigido controllo dei conti pubblici e ciò si tradusse anche in una drastica frenata della legislazione. Nel quinquennio di centrosinistra ”96-2001 il Parlamento, comunque, produsse 906 leggi e 686 nel successivo quinquennio di centrodestra. Si pensava che l’ulteriore frenata del biennio 2006-2008 (112 leggi in 24 mesi) fosse dovuta in larga parte alla fragilità politica della maggioranza che sosteneva Prodi. Ma gli ultimi due anni hanno confermato la discesa ripida: la lieve crescita nel numero delle leggi non deve infatti illudere perché dipende dall’aumento delle ratifiche dei trattati (69 contro 41 della passata legislatura) e dei decreti-legge (50 contro 32). Peraltro tra le leggi approvate, a partire dalla primavera 2009, sono inclusi 14 «micro-provvedimenti» adottati in sede legislativa (dunque in commissione, senza passare dall’aula).
Va detto che ridurre la produzione delle leggi può non essere di per sè un male. La ragione principale del crollo sta infatti nel maggiore controllo della spesa. Fino agli anni Ottanta si ricorreva alla legge per qualunque intervento di settore, anche per le cose più minute: emblematica la legge 310 dell’88 per riparare una gru danneggiata nel porto di Ancona. Negli anni Novanta però nacque la «legislazione complessa», con l’ambizione di ordinare in modo più sistematico le politiche pubbliche, a partire dalle nuove leggi finanziarie. Ma ora anche questa legislazione è in crisi (come ha documentato l’Osservazione sulla legislazione della Camera dei deputati).
Il mito declinante del Parlamento legislatore sembra coincidere con una vera e propria «crisi della legge». La legislazione nazionale cede funzioni e campo d’azione, da un lato a favore di regolamenti e direttive comunitarie, dall’altro verso la legislazione regionale (ma anche verso le intese Stato-Regioni oppure le delibere delle giunte). A ciò va aggiunto il proliferare delle ordinanze «in deroga» (Protezione civile), diventate nel tempo uno strumento di intervento diretto del governo in grado di by-passare completamente il Parlamento. Tutto questo però non basta a spiegare l’impoverimento dell’attività delle Camere. Molte leggi sono ferme in commissione perché il Tesoro non concede il via libera alla copertura. L’iniziativa legislativa è sempre più nelle mani del governo, non solo attraverso i decreti-legge (la cui frequenza anzi si sta riducendo dopo i primi mesi del 2009). Alcuni decreti (il mille-proroghe, i decreti anticrisi) hanno di fatto sostituito la vecchia Finanziaria e scatenano periodicamente gli appetiti di parlamentari, territori, lobby. Sono i casi in cui il ministro dell’Economia allenta un po’ i cordoni della borsa (tuttavia il presidente uscente del Comitato per la legislazione, Lino Duilio, Pd, nel suo ultimo Rapporto ha elaborato un teorema: quando il decreto supera le 40mila battute dattiloscritte, diventano inevitabili maxiemendamento e voto di fiducia).
Premio di maggioranza e liste bloccate concorrono indubbiamente alla crescente sudditanza del Parlamento nei confronti del governo. anche vero però che in Francia, Spagna, Regno Unito si fanno ancora meno leggi che da noi (solo la Germania ha numeri simili ai nostri). Insomma un Parlamento potrebbe fare e contare di più anche riducendo il numero delle leggi. Dovrebbe però sviluppare altre funzioni: a cominciare dalla funzione di controllo e di valutazione delle politiche pubbliche e dal monitoraggio delle normative europee in formazione (peraltro il nuovo Trattato di Lisbona attribuisce poteri ai Parlamenti che ancora nessuno è stato in grado di esercitare). Per fare questo però le Camere dovrebbero avere una forza e un’autonomia, anche nell’accesso ai conti e alle cifre del bilancio, che potrebbero dare loro o uffici molto più robusti degli attuali oppure (come ha segnalato di recente il costituzionalista Vincenzo Lippolis) una relazione diretta e speciale con la Corte dei conti.