Nagib Mahfuz, il Giornale 9/5/2010, pagina 28, 9 maggio 2010
IL CAIRO, LE BOMBE E UN SAGGIO PATRIARCA
Pubblichiamo per gentile concessione dell’editore Newton Compton alcuni stralci di Per le strade del Cairo romanzo inedito in italia del premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz scomparso nel 2006. Per le strade del Cairo (pagg. 334, euro 16,90), libro in parte autobiografico e ambientato nei vicoli della capitale egiziana nel pieno della Seconda guerra mondiale, sarà disponibile in libreria a partire dal 13 maggio.
Erano le due e trenta del pomeriggio di un giorno di settembre del 1941, orario in cui i dipendenti statali escono dagli uffici governativi. Una fiumana di persone si riversò fuori dalle porte del ministero come un torrente in piena. Già da tempo una combinazione di fame e di pura noia aveva reso inquiete le menti degli impiegati, che adesso si sparpagliavano in diverse direzioni sotto il bagliore infuocato del sole.
Ahmad Akif, che lavorava presso il Ministero del lavoro, era uno di loro. Di solito, a quell’ora della giornata tornava verso al-Sakakini, ma oggi era diverso: per la prima volta si stava dirigendo verso al-Azhar. Aveva vissuto ad al-Sakakini per lungo tempo: molti anni erano passati, decenni interi, a dire il vero. Tutti quegli anni costituivano un’autentica miniera di ricordi: ricordi d’infanzia, della giovinezza, dell’età adulta e poi della mezza età. La cosa incredibile era che ci erano voluti solo pochi giorni perché la famiglia si decidesse a fare i bagagli e a trasferirsi. Si erano sempre sentiti al sicuro nella loro vecchia casa; non avevano mai pensato di doverla lasciare. Ma poi, nel breve intervallo tra una sera e il mezzogiorno successivo, tutti avevano cominciato a gridare: «Una maledizione si è abbattuta su questo sventurato quartiere!». Ansia e panico avevano preso il sopravvento; era ormai inutile tentare di convincere il popolo impaurito a cambiare idea. La vecchia casa era presto diventata un ricordo del passato, e la realtà da quel giorno in poi fu la nuova abitazione a Khan al-Khalili. Ahmad Akif avrebbe potuto ben dire: «Lode a Colui che muta ogni cosa e che non muta mai Se stesso!».
La decisione così repentina di trasferirsi lo aveva lasciato in uno stato di confusione. Con il cuore continuava a riandare al vecchio, amato quartiere; riviveva con amarezza la sensazione di essere stato sbattuto fuori di casa e spinto a forza dentro uno dei più antichi quartieri popolari del Cairo. Ma allo stesso tempo non poteva dimenticare il sollievo che aveva provato appena si era reso conto che ora sarebbe stato lontano da una sorta di inferno, dalla minaccia di un’imminente distruzione. Forse quella sera sarebbe riuscito a chiudere occhio per la prima volta dopo quella notte spaventosa, la notte che aveva terribilmente sconvolto gli abitanti del Cairo.
Fu quindi con emozioni contrastanti – tristezza e rassegnazione – che camminò su e giù per il marciapiede, in attesa del tram che lo avrebbe portato a Queen Farida Square. Nonostante la fronte imperlata di sudore, provò un brivido di piacere al pensiero delle novità che lo aspettavano e della prospettiva di un cambiamento: un posto nuovo dove vivere, nuovo ambiente, nuova atmosfera, nuovi vicini. Forse la sorte avrebbe preso una piega diversa e i bei tempi sarebbero tornati; forse quei sottili presagi che avvertiva al momento sarebbero riusciti a scuotergli di dosso gli strati di polvere lasciati dall’apatia e a iniettargli una nuova sferzata di vita e di energia. Quel che provava allora era il puro piacere di esplorare l’ignoto, di assumersi dei rischi, di inseguirei propri sogni; non solo, anche un malcelato senso di superiorità per il fatto che stava lasciando un quartiere per trasferirsi in un altro che godeva di una reputazione meno lusinghiera sia a livello di prestigio che di cultura. Non aveva ancora visto la nuova abitazione perché quella mattina, quando aveva avuto notizia che il mobilio era stato trasferito, si trovava al lavoro presso il ministero. E adesso eccolo lì, lungo il tragitto verso la nuova casa, seguendo le indicazioni che gli erano state fornite.
« una sistemazione temporanea», disse fra sé e sé. «Bisognerà tollerarla finché durerà la guerra. Poi le cose miglioreranno».
Ma sarebbero mai migliorate? Non sarebbe stato più sensato restare nel vecchio quartiere, anche se questo poteva significare vedere da vicino e udire terrificanti rumori di morte?
***
Si fermò un istante a esaminare il circondario. La strada era lunga e stretta, con quattro palazzine squadrate su ogni lato, tutte collegate alla strada principale da vicoli laterali. I marciapiedi dei vicoli e della strada principale erano affollati di bancarelle di ogni genere: orologiai e sarti, calligrafi, venditori di tè, tessitori di tappeti, mercanti di chincaglieria. Qui e là erano sparsi piccoli caffè, non più grandi delle stesse bancarelle. Accanto agli ingressi degli edifici indugiavano i portieri, i volti neri come pece, i turbanti bianchi come latte, le espressioni languide, come se gli aromi profumati e gli effluvi d’incenso che aleggiavano nell’aria li avessero calati in uno stato di torpore. L’atmosfera del luogo era avvolta in una bruna foschia, come se l’intero quartiere non vedesse mai i raggi del sole. La ragione era che in molti punti la vista del cielo era impedita dai balconi sporgenti. Gli artigiani sedevano davanti alle loro bancarelle, lavorando con pazienza e perizia, creando piccoli capolavori; l’antico quartiere conservava ancora la reputazione di un luogo in cui la mano dell’uomo poteva dar vita a opere di squisita fattura. Era riuscito a sottrarsi al contagio della civiltà moderna e a contrastarne il ritmo frenetico con la propria pacata saggezza; alle complicate tecnologie opponeva la semplicità dell’esperienza, a uno sgraziato realismo una poetica fantasia, e una pigra luce ocra all’abbagliante brillantezza della modernità. Mentre si addentrava, ancora stordito, nel nuovo ambiente, Ahmad si chiese se sarebbe mai riuscito a sentirsi parte di quel quartiere quanto lo era stato del precedente. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui avrebbe percorso quel dedalo di viuzze senza nemmeno pensarci, lasciando ai piedi il compito di condurlo a casa perché la sua mente era occupata in altre faccende? «In nome di Dioil Clemente, il Misericordioso», intonò mentre si avvicinava al portone.
***
Ahmad entrò nella stanza dei genitori e trovò l’anziano padre disteso sul letto, con un’espressione di calma rassegnazione. Al pari del figlio, Akif Effendi Ahmad era alto e magro. Portava una barba bianca e lenti spesse, che donavano ai suoi occhi spentiun’ingannevole intensità. Rivolse uno sguardo circospetto verso Ahmad, pronto a balzare all’attacco se il figlio avesse azzardato anche solo un’osservazione sarcastica riguardo al trasloco nel nuovo appartamento. «Congratulazioni, papà», lo salutò Ahmad. «Che Dio ti ricompensi con eguale generosità», replicò il padre senza scomporsi. «Tutto avviene secondo la Sua volontà». «Vero», commentò Ahmad scuotendo la testa, «ma la paura ci ha portati a un punto tale da farci perdere il senso della ragione. Papà, non ti rendi conto che gli aerei che sorvoleranno il Cairo non faranno distinzioni fra al Sakakini e Khan al-Khalili?» «Ma questo quartiere è vicino alla moschea di al-Husayn», replicò con decisione il padre. « nella grazia di Dio. Questo è un quartiere di fede e di moschee. I tedeschi sono troppo intelligenti per mettersi a bombardare il cuore dell’Islam mentre cercano di portarci dalla loro parte».