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 2010  maggio 09 Domenica calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

26 gennaio 1887
Le Termopili italiane
Su una collina che costeggia il torrente Dogali, in Eritrea, cinquecento fanti italiani vengono circondati da diecimila abissini decisi a sterminarli. Ma come sono arrivati fin lì? Tutto è cominciato due anni prima con l’occupazione del porto di Massaua sul Mar Rosso, dove l’Italia è andata «a cercare le chiavi del Mediterraneo», espressione che non significa niente e quindi appare da subito destinata a una grande fortuna. A coniarla è stato il ministro degli esteri Mancini, noto ai giornali d’opposizione per le disavventure coniugali: sorpreso dalla moglie nel letto della cameriera, si è difeso così: «Perdonami, cara, al buio l’avevo scambiata per te». Il colonialismo è una necessità per le nazioni a caccia di nuovi mercati, ma solo una moda per quelle come l’Italia che continuano a esportare soprattutto emigranti. I Cinquecento di Dogali vengono assaliti dalle orde di Ras Alula, signore di Asmara, mentre sono in marcia verso il forte assediato di Saati. La disparità delle forze non concede speranze. Gli italiani si dispongono a quadrato e combattono fino all’ultima cartuccia. Finita anche quella, usano i fucili come bastoni. La solita Italia: avventata nei politici e negli alti comandi, ma eroica nei suoi soldati e ufficiali. L’ultimo a cadere è il tenente colonnello De Cristoforis, che non avendo più armi, lancia contro il nemico una scatola di carne in conserva. Al massacro sopravvivono in pochi: il capitano Michelini vaga per il deserto con tre palle nella schiena, un caporale si finge morto e quando gli abissini, per sincerarsene, gli ficcano la bacchetta di un fucile dentro il naso e glielo squarciano, lui riesce a non urlare e si salva.
Umiliata, l’opinione pubblica chiede la rivincita delle «Termopili italiane» a cui Roma consacrerà la piazza dei Cinquecento. Ma i bardi del patriottismo si sottraggono al coro. Carducci rifiuta di commemorare «una spedizione inconsulta» e il giovane D’Annunzio definisce i nostri soldati «dei bruti morti brutalmente». La verità è che si continua a non capire cosa sia andata a cercare l’Italia in quei deserti. Dì lì a poco riuscirà a farsi riconoscere il protettorato sull’Etiopia dal negus Menelik. La cerimonia al Quirinale è pomposa. Il cugino del Re dei Re, con un mantello di pantera nera e trecento piume sulla testa, si prostra ai piedi di Umberto I e gli regala un elefante. In cambio gli etiopi ricevono quattro milioni, che spenderanno in armi da usare contro di noi. Anche la questione del protettorato è ambigua: nel testo italiano è posta all’indicativo, in quello etiope in forma ipotetica. La disfatta di Adua è ancora lontana, ma le premesse ci sono già tutte.