Marco Gorra, Libero 9/5/2010, 9 maggio 2010
MORTADELLA CI HA AFFETTATI
Oggi è il giorno più duro per la moneta unica europea: la crisi greca che morde, le borse che colano a picco, le agenzie di rating che aprono bocca e si salvi chi può. Oggi, domenica 9 maggio 2010, Commissione europea ed Ecofin proveranno ad assicurare un futuro all’euro. E - doverosi scongiuri nemmeno è detto ce la facciano. Rischia di naufragare nella prima vera tempesta che affronta, insomma, il sogno di Romano Prodi da Scandiano. Il professore emiliano, è noto, alla marcia dell’Italia verso la moneta unica europea ha consacrato i suoi anni politicamente migliori. E che vada fiero del risultato è fuor di dubbio, non mancando mai l’occasione di rivendicare a se stesso il merito dell’operazione. Dovesse finire male, la vicenda dell’euro dimostrerebbe quantomeno una apprezzabile coerenza di fondo, andando a finire a lacrime e sangue.
Comincia nel 1996, il 17 dicembre, a Valencia, in Spagna. Prodi da qualche mese primo ministro italiano incontra l’omologo spagnolo José Maria Aznar. un incontro che non va bene: l’uomo di Madrid dice chiaro e tondo a Prodi che il proprio esecutivo non aiuterà l’Italia a prendere tempo per l’adesione ai parametri dell’euro: «Non sono interessato a stare mano nella mano, noi siamo pronti alla partenza». Incassato il no, il Professore torna a Roma e vara una manovra draconiana da 62.500 miliardi comprensiva di eurotassa: una mazzata.
L’EURO-ASTICELLA
L’obiettivo, d’altronde, non consente altre strade. C’è da rientrare nei parametri di Maastricht, fissati sei anni prima ad un’altezza proibitiva per l’Italia. Sono talmente alti, quei parametri,
che le carte in regola per starci dentro l’Italia in realtà mai li avrà: l’ingresso del nostro Paese nell’euro-club sarà reso possibile solo da una stima previsionale sugli indicatori (segnatamente sul rapporto deficit/pil, di gran lunga superiore al 60% richiesto) e dalla convinzione che nel medio periodo i medesimi siano destinati a rientrare nei criteri di Maastricht. La stima, però, va sostanziata in qualche modo, e allora il Professore tira fuori dal cilindro l’eurotassa di cui sopra: una manovra da 4.300 miliardi, pari allo 0,6% del disavanzo statale. Un mini-salasso che, nonostante le promesse di rimborso totale, sarà risarcito solo in minima parte, tre anni dopo.
Superato seppure in extremis lo scoglio Maastricht, il governo Prodi viene pugnalato da Bertinotti. Il Professore fa le valigie e se ne va a Bruxelles a fare il presidente della Commissione europea. E qui completa l’opera. Il tasso di cambio lira/euro, nel frattempo, è stato fissato in modo che più svantaggioso non si può e che svariati analisti vedranno come il peccato originale della moneta unica: un euro vale 1936,27 lire. Con un Prodi caricato a euro-entusiasmo, ad ogni buon conto, la marcia verso la moneta unica procede col vento in poppa. E non c’è niente che possa fermarla. Nemmeno gli scandali. Come quello dell’Eurostat, l’Istituto di statistica europeo.
«ROMANO SAPEVA»
L’organismo, che tra le altre cose aveva il compito di controllare i bilanci degli Stati membri, è investito da un polverone quando si viene a sapere che uno dei direttori è
coinvolto in un brutto giro di fondi comunitari imboscati in Lussemburgo. Prodi non muove un dito, e tempo dopo il Financial Times, tirando fuori testimonianze e carte, sosterrà che il Professore fosse al corrente della condotta dei dirigenti coinvolti. Ma la rotta dell’euro era già tracciata. Prodi, incassato lo storico risultato, già si preparava a tornare in Italia, a organizzare un po’ di felicità.