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 2010  maggio 09 Domenica calendario

PORTEREMO I MONUMENTI SU FACEBOOK

Da quattro mesi lei, Ilaria Buitoni Borletti, è il nuovo presidente del Fai, succedendo a Giulia Maria Crespi, fondatrice e presidente per 35 anni: che effetto le fa?
«Una grande sfida, molto trascinante. Penso che il Fai sia una delle grandi eccellenze del nostro Paese. La sfida è farlo conoscere nelle regioni d’Italia dove non siamo presenti».
Dove non avete basi?
«Nel sud, a Napoli, in Calabria, in Puglia. E questo spiega perché in Italia abbiamo solo 80mila soci contro i 3milioni e mezzo del National Trust inglese, che è la stessa cosa».
Che cosa fa esattamente il Fai?
«Si occupa dei beni che gli vengono dati dai privati o in concessione dalle istituzioni pubbliche, li restaura e li riapre al pubblico restituendoli alla collettività e naturalmente li gestisce».
L’ultimo vostro intervento?
«Stiamo finendo il restauro della Villa dei Vescovi vicino ad Abano una delle grandi bellissime ville venete che sarà riaperta al pubblico tra breve. Il restauro estremamente complesso, e importante, è durato quattro anni».
Che cosa sono le giornate del Fai?
«Quest’anno hanno avuto un successo strepitoso, durano due giorni e danno la possibilità di visitare circa 500 beni gratuitamente, che di solito non sono aperti, è un modo di sensibilizzare il pubblico alla tutela del patrimonio».
Quante persone vi hanno aderito?
«In due giorni oltre 500mila persone».
Lei, milanese, ha dichiarato che Milano non è una città che si è veramente ripresa. In che senso?
«Bisogna ricordare che è passata attraverso terrorismo, Tangentopoli e un lunghissimo periodo di crisi. Credo che ci siano in città molte forze positive, dal volontariato alle istituzioni culturali, ma è necessario che ci sia una spinta più radicata verso lo sviluppo reale. Ora, mi sembra che questa spinta sia ancora a macchia e che la città sia un po’ smarrita. L’Expo, se ben gestita, può essere un’occasione straordinaria».
Visto dalla presidenza del Fai, come se la passa il nostro Paese?
«Se la passa molto, molto male perché nel nostro Paese non si è ancora capito che la gestione del Patrimonio d’Arte e di Natura può essere una straordinaria opportunità di sviluppo economico e sociale, e non solo quindi culturale».
Di chi è la colpa?
«Di chi ancora crede che solo nell’edilizia incontrollata e disordinata, debba trovarsi la risposta, vedi piano casa, alla crisi economica che siamo vivendo».
Cosa dobbiamo imparare, secondo lei, dagli altri Paesi?
«A valorizzare l’unico ambito nel quale non abbiamo concorrenza e cioè il nostro patrimonio artistico e come all’estero sanno benissimo il biglietto da visita di un Paese è il modo in cui presenta al mondo le proprie ricchezze di beni d’arte e di natura».
Il Fai cresce: ha iscritti nelle nuove generazioni?
«Cresce dal punto di vista degli iscritti molto lentamente e credo debba ancora lavorare parecchio per ottenere consenso e sostegno tra le persone più giovani. L’età media dei nostri aderenti, per il momento, è piuttosto alta».
Vuol dire che i giovani non sono consapevoli? Non sentono la responsabilità verso il nostro patrimonio culturale?
«Dobbiamo cambiare linguaggio se vogliamo appassionare i più giovani».
In che modo?
«Dobbiamo cercare di entrare nei Network come Twitter e Facebook, che sono i luoghi virtuali nei quali i giovani si ritrovano».
Le sue prime priorità, presidente?
«Trovare le risorse per concludere alcuni restauri che abbiamo ancora in sospeso, aumentare sostanzialmente il numero degli aderenti e acquisire proprietà in concessione nel sud Italia. Abbiamo trattative con le Istituzioni in Puglia, vicino a Lecce e in Calabria».
In questi giorni si apre a Roma il Museo di Arte Contemporanea Maxxi. Lei si è espressa in modo favorevole verso.
«Sì. Credo che sia un bellissimo esempio di architettura particolarmente riuscito, e a Roma non è una cosa facile. Penso però che il nuovo debba essere parte del futuro architettonico di un Paese. Ma l’unicità dell’Italia richiede che tali interventi vengano fatti con gusto, attenzione e anche intelligenza».
Vale anche per l’Expo?
«Certo. Ma non possiamo pensare che non si debba costruire con un occhio verso la straordinaria architettura che si vede ovunque nel mondo. Non c’è ragione di non portarla anche in Italia, naturalmente considerando il contesto in cui bisogna operare».