PIERANGELO SAPEGNO, La Stampa 8/5/2010, pagina 21, 8 maggio 2010
MOBY PRINCE L’ULTIMA STRAGE SENZA COLPEVOLI
L’ultima strage impunita purtroppo non è una notizia nuova. «E’ solo una conferma», come sottolinea amaramente Angelo Chessa, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime «10 aprile», figlio di Ugo, il comandante della Moby Prince, che bruciò assieme ai suoi 140 passeggeri 19 anni fa, al largo del porto di Livorno. Ieri, la procura ha depositato la richiesta di archiviazione per l’inchiesta bis sulla tragedia del traghetto entrato in collisione con la petroliera Agip Abruzzo quella sera ormai lontana del 10 aprile 1991.
Dopo quasi 4 anni di nuove indagini, i magistrati si sono convinti che all’origine dell’incidente ci sia stato soltanto un errore umano. Il processo si era già chiuso, in tutti i gradi di giudizio, senza colpevoli. «L’Italia è così, lo sappiamo», dice Angelo Chessa. Per i familiari è «una grande delusione, inutile nasconderlo». Assieme all’avvocato Carlo Palermo, erano sicuri d’essere riusciti a portare nuove prove, nuovi elementi di indagine e forse, pure, la vera ragione dell’incidente: c’erano sette navi americane nella rada del porto di Livorno e una corvetta militare francese, quella sera, e dietro a questo traffico strano e ai loro carichi sospetti «esisterebbero alcune zone d’ombra mai chiarite» che avrebbero potuto incidere in qualche modo nella dinamica dello scontro o nel ritardo dei soccorsi.
Per nascondere quelle attività non autorizzate, non fu salvata la Moby Prince? Certo, questa domanda ha avuto ieri l’ennesima, ufficiale, risposta negativa. Angelo Chessa risponde che non è finita qui, che fra dieci giorni porteranno le loro tesi dal gip «e vedremo che cosa decideranno. Sarà dura, ma non molliamo. Ci sono 150 pagine di archiviazione e sembra che abbiano ricalcato tutte le vecchie tesi, le vecchie storie. L’unica cosa è che sono andati al di là del loro compito, perché dovevano dire sì o no, e invece ritornano a contarci che c’era nebbia e che i soccorsi sono stati tempestivi, quando ci sono centinaia di testimonianze che dicono il contrario e ormai è risaputo da tutti che non è vero».
Erano le 22,03 del 10 aprile 1991. Il traghetto Moby Prince aveva mollato gli ormeggi per la traversata, direzione Olbia. A bordo, c’erano 65 persone dell’equipaggio agli ordini del comandante Ugo Chessa e 75 passeggeri. La nave, percorrendo il cono di uscita del porto, colpì con la prua la petroliera Agip Abruzzo. Alle 22 e 25 il marconista di bordo lanciò il Mayday dal VHF portatile. Parte del petrolio dell’Abruzzo uscì in mare incendiandosi, mentre il resto sopra il livello di galleggiamento finì sulla Moby Prince, provocando un terribile rogo. Dagli atti risulta che i soccorsi partono solo dopo le ripetute richieste di aiuto della petroliera e il relitto del traghetto non viene individuato fino alle 23 e 35: assurdo quindi parlare di «soccorsi temperstivi». Anzi, gli aiuti tardano in maniera decisiva negli interventi di salvataggio dei passeggeri, anche perché tutti i mezzi dal porto di Livorno si concentrano prima sull’Agip Abruzzo, che viene raggiunta alle 23 e sulla quale nessun membro dell’equipaggio perderà la vita. I primi che arrivano al traghetto sono due ormeggiatori che ci capitano per caso sulla loro piccola imbarcazione, raccogliendo l’unico superstite, il mozzo napoletano Alessio Bertrand, che è rimasto attaccato al parapetto della poppa.
Tra le cause principali viene attribuito subito un ruolo significativo alla nebbia. Ma sin dall’inizio esistono già elementi che fanno dubitare della effettiva presenza di condizioni di scarsa visibilità. Un filmato amatoriale dimostra che quella notte a Livorno non c’è foschia. Anche il capitano della Guardia di Finanza Cesare Gentile uscito con la sua motovedetta alle 22 e 35 dichiara che «in quel momento c’era bellissimo tempo, il mare calmissimo e una visibilitàù meravigliosa». L’indagini partono e all’inizio fanno la voce grossa, mettono al vaglio anche l’ipotesi di un attentato. Questo sospetto cade subito. Ma anche l’errore umano viene smentito dalla testimonianza dell’unico superstite. Restano tutti gli altri dubbi, invece, sulla presenza di eventuali bettoline e sul reale numero di navi in movimento nelle acque del porto. Il processo di primo grado comincia il 29 novembre 1995 con 4 imputati. Finisce due anni dopo: tutti assolti. Anche in appello. Ma quando si riapre l’indagine nel 2006, spunta un nuovo testimone con «notizie utili», Fabio Piselli. Subito dopo aver parlato, viene aggredito da 4 persone incappucciate che cercano di ucciderlo bruciandogli l’auto. Anche quello era un errore umano?