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 2010  maggio 08 Sabato calendario

THE QUEEN LA FINZIONE DEL POTERE

In base alla Costituzione americana Barak Obama ha gli stessi poteri che aveva nel 1789 il primo presidente, George Washington, cioè quelli di un monarca costituzionale illuminato del XVIII secolo. Invece i poteri di Elisabetta II sono molto diversi da quelli del suo antenato Giorgio III, dal quale gli Stati Uniti ottennero l’indipendenza. Eppure ufficialmente nel Regno Unito nulla è cambiato perché, proprio come il diritto comune muta e si adatta ai tempi e alle circostanze secondo le decisioni delle giurie, così cambiano le convenzioni relative ai poteri del monarca come capo dello Stato.
Walter Bagehot, il primo direttore dell’«Economist», nel suo saggio «The English Constitution», già nel 1867 descriveva l’Inghilterra come «una repubblica mascherata», nella quale «il sovrano, in una monarchia costituzionale come la nostra, ha il diritto di essere consultato, il diritto di incoraggiare, il diritto di mettere in guardia». Nel designare il suo undicesimo primo ministro nei suoi 58 anni di regno, la regina dovrà fare uso di tutti e tre i suoi diritti.
Alice nel Paese delle meraviglie
Lei e tutte le persone coinvolte dovranno anche ricorrere a tre caratteristiche tipicamente inglesi, che mostrano perché l’assurdità di «Alice nel paese delle meraviglie» valga anche per questo strano animale araldico che è la Costituzione, che si deforma come se avesse mangiato funghi allucinogeni. Queste caratteristiche sono: la finzione garbata, l’ambiguità creativa e le tradizioni inventate.
Finora, quando cambiava il primo ministro - come successe nel 1997, con Tony Blair vincitore su John Major - il rituale era questo: il premier uscente, accettata la sconfitta, alle dieci del mattino va a Buckingham Palace per rimettere il suo incarico nelle mani della regina e le consiglia di affidarlo al vincitore dell’elezione in quanto in grado di formare un governo «capace di guadagnarsi la fiducia della Camera dei Comuni». Alle 10,15 arriva il vincitore, che diventa primo ministro del governo di Sua Maestà. I ministri scelti dal nuovo premier sono convocati per l’ora di pranzo e arrivano ai loro ministeri mentre i loro predecessori se ne vanno in taxi con i loro beni in una borsa di plastica nera. Squadre di funzionari hanno già preparato progetti di legge basati sui programmi elettorali del partito, in modo che diventino legge nel giro di sei settimane. In altre parole, sotto la corazza della tradizione avviene una rivoluzione.
Il discorso d’occasione
Il «Queen’s Speech» - il discorso di presentazione del programma del nuovo governo letto dalla regina davanti alle Camere riunite - è una garbata finzione in quanto è il programma del suo governo e se l’esecutivo venisse bocciato alla Camera dei Comuni la regina dovrebbe scegliere un altro premier su suggerimento di quello uscente o accettare la sua richiesta di sciogliere il Parlamento e procedere a nuove elezioni.
Dai tempi di Enrico VIII, cioè dal ”500, il potere sovrano sta nella sovranità del Parlamento, ma, come dice Bagehot, la regina dovrebbe firmare la sua stessa condanna a morte se le fosse comminata da entrambe le Camere del Parlamento. L’unica cosa che impedisce al capo di una maggioranza nella Camera dei Comuni di essere eletto dittatore è il fatto che la Corona è permanente e l’esercito e la burocrazia sono al servizio suo, del governo e dell’opposizione - mentre i governi sono temporanei.
Questa potrebbe essere una tradizione inventata ma ha un potere psicologico - e, come vediamo in questo preciso momento, può reinventarsi. Nel febbraio di quest’anno Gordon Brown, con la sua pianificazione strategica ossessiva contro un mondo di nemici, fece redigere dal capo di Gabinetto Gus O’Donnell una regola ufficiale in base alla quale un primo ministro ha il diritto di cercare di formare una nuova maggioranza e di avere un nuovo «Queen’s Speech» qualora dal voto uscisse un Parlamento «appeso», cioè privo di maggioranza assoluta.
Dobbiamo re-inventare la tradizione usando un po’ di ambiguità creativa. Mentre Brown seguiva pedissequamente il regolamento dicendo che toccava a lui la prima opportunità di «sposare» Clegg, Clegg applicava il buonsenso ripetendo che per lui il primo tentativo di formare un governo, e con il suo appoggio, toccava al partito con il maggior numero di voti e di seggi.
Istituzioni angloamericane come il Parlamento, il Congresso o il diritto comune sono pre-moderne. L’era moderna ha abolito le Cortez, la Dieta, gli Stati generali e il diritto consuetudinario sostituendole con l’assolutismo. Perciò nel Regno Unito non ci sono elezioni nazionali ma 650 singole elezioni - tante quante sono i collegi elettorali - per mandare deputati in Parlamento a rappresentare i singoli elettorati. Decine di partiti - o coalizioni di interessi - si sono sviluppati, annullati e separati negli ultimi trecento anni. Nel sistema di Westminster le coalizioni di solito sono state in grado di vincere forti maggioranze.
L’ambiguità creativa
I libdem (liberali+socialdemocratici) lamentano il loro destino, ma non si lamenterebbero se fossero il secondo e non il terzo partito. Così, per avere più possibilità di andare al potere, i liberali potrebbero entrare in una coalizione con i Tory e i socialdemocratici in una con il Labour. Similmente per eleggere un deputato occorrono il doppio di elettori conservatori rispetto a quelli laburisti. Nel 1997 Blair ottenne uno scarto di 179 seggi con la stessa quantità di voti che giovedì ha preso Cameron. Vogliamo adottare il sistema proporzionale, in modo da avere costantemente parlamenti «appesi» e una dittatura permanente della maggioranza, come temeva J. S. Mill già nel 1859, quando scrisse il saggio «Sulla libertà»? Occorrerà una volta di più ambiguità creativa per risolvere questo rebus. Questa è sembrata funzionare per lo meno nell’Irlanda del Nord. Come il processo di pace, la Costituzione è un work in progress, un lavoro in corso - e tale è certamente questa elezione.