Carlo Lorenzo Cazzullo, Corriere della Sera 09/05/2010, 9 maggio 2010
I DUE VOLTI DELLA SOLITUDINE
Questo testo, finora inedito, fu scritto per il Corriere Salute, poco prima dell’esordio della malattia, dal grande psichiatra Carlo Lorenzo Cazzullo, scomparso pochi giorni fa. Lo pubblichiamo in suo ricordo.
Il termine solitudine evoca nell’opinione comune fantasmi di abbandono, isolamento, melanconia, in una parola sofferenza. Tale accezione non è però l’unica giustificata dall’etimologia: infatti "solitudo", da "solus", sta ad indicare anche "essere unico". Pertanto sembra legittimo distinguere due vissuti differenti relativi alla solitudine: l’uno implica la capacità di star soli con se stessi come necessaria alla formazione della propria identità, l’altro rimanda invece alla privazione degli altri, al senso di esclusione e di emarginazione. In tali condizioni la solitudine non è una scelta, ma porta spesso alla depressione.
La morte di persone care espone a reazioni depressive nelle quali l’identificazione con l’oggetto amato e perduto comporta un impoverimento e svuotamento dell’Io stesso. Il lutto e più in generale la perdita di importanti investimenti oggettuali (il lavoro, il coniuge, i figli, gli amici), accompagnata da una diminuita integrità psico-fisica e dalla conseguente consapevolezza di non poter facilmente sostituire i vecchi legami, sono caratteristiche della condizione dell’anziano. Anche l’adolescente vive spesso una condizione interiore di isolamento, come difficoltà di inserimento sociale, di riconoscimento in un "gruppo", compreso quello familiare, se questo si dimostra incapace di favorire la separazione e l’acquisizione dell’autonomia da parte dell’ adolescente stesso. Fattore squisitamente sociale dell’isolamento che predispone alla solitudine ed alle sue conseguenze autolesive è anche l’immigrazione. La condizione dell’immigrato implica spesso conflitti di valori, nei quali si rischia di idealizzare vita e costumi del nuovo ambiente, a dispetto di una permanente estraneità ad esso.
Ma la solitudine può anche acquistare un senso positivo. Questo è espresso dalla capacità di stare solo: di avere cioè interiorizzato il riconoscimento della propria identità e dei propri valori e di essere in grado di ascoltare la voce più profonda della comunità. Liberandoci dall’incerto, illusorio, possesso degli oggetti e della loro invadente influenza, la solitudine consente di raggiungere l’autentico possesso di sé e la possibilità di iniziare un autonomo e libero rapporto con l’altro. Elogi della solitudine sono facilmente ritrovabili nell’antichità: da Lao-Tze a Kuan-Tse (che nel 300 a.C. afferma: «Riposo, quiete, silenzio, solitudine: questa è la perfezione»), da Eraclìto a Epìtteto. Il richiamo forse più icastico sembra quello di Nietzsche per il quale «il pensiero, ovvero il peso più grande, si rivela solo nella più solitaria delle solitudini».
Dunque solitudine e isolamento, depressione e riparazione non sono mai scevri di messaggi. Essi non lasciano mai «il nulla a nessuno», come dice il poeta Borgés, ma tracce e scie lungo le quali è iscritta una storia ardua da comprendere, ma non impossibile da rispettare.
Carlo Lorenzo Cazzullo