Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 09/05/2010, 9 maggio 2010
PRIGIONIERI IN SUD AFRICA L’EPOPEA DI ZONDERWATER
Forse lei mi può aiutare a chiarire un mistero relativo a un episodio riguardante le operazioni in Africa dell’esercito italiano durante la Seconda guerra mondiale. Nel febbraio del 41 ad Agedabia (Libia) mio padre, tuttora vivente, venne catturato dagli inglesi e dopo varie peripezie imbarcato su una nave con destinazione Sud Africa. Qui venne internato nel campo di prigionia inglese di Zonderwater dove rimase sino al gennaio del 47! Perché la detenzione è durata ben oltre la fine della guerra? Mio padre racconta di aver fatto parte di un ristretto gruppo di alcune migliaia di prigionieri che non hanno mai «cooperato», cioè accettato di dichiararsi amici degli inglesi e così inviati all’esterno a svolgere mansioni civili. A causa di queste scelte furono considerati monarchici e quindi le autorità italiane, con qualche accordo sottobanco con il governo inglese, vollero tenerli lontani dal referendum del 46?
Enrico Fossati efossati1@yahoo.it Caro Fossati,
Suo padre è uno dei 108.885 soldati italiani che furono rinchiusi, fra l’aprile del 1941 e il gennaio del 1947, nel campo sudafricano di Zonderwater. Provenivano dai fronti africani e furono protagonisti di una straordinaria vicenda, oggi ben raccontata in un libro di Lorenzo Carlesso pubblicato dall’editore Longo di Ravenna per la Regione Veneta (molti prigionieri provenivano dal Nord-Est) in una collana diretta da Gianpaolo Romanato. Come racconta Carlessi, quei prigionieri trasformarono «una tendopoli in una Città del prigioniero». Furono aiutati dalle autorità sudafricane e poterono contare sull’appoggio di un vecchio colonnello boero, Hendrick F. Prinsloo, veterano della Grande guerra e richiamato in servizio per dirigere il campo. Anziché trattare gli italiani come nemici, Prinsloo incoraggiò le loro iniziative, premiò i loro sforzi, risolse umanamente gli inevitabili incidenti (bisticci, baruffe e qualche episodio criminale) di una così vasta comunità. Alla fine della guerra Zonderwater contava 14 quartieri, 50 rioni, 30 km di strade, 3.000 letti di ospedale, 17 teatri, 16 campi da calcio, 6 campi da tennis, 80 campi di bocce, 7 sale di scherma, campi da pallavolo, da basket, palestre e quadrati per il pugilato.
Suo padre ha ragione, caro Fossati, quando ricorda il disappunto dei prigionieri allorché constatarono che il rimpatrio, dopo la fine del conflitto, veniva continuamente rinviato. Ma non vi fu discriminazione, soprattutto per imonarchici (discriminati, se mai, furono quelli che divennero «non cooperatori» dopo la fondazione della Repubblica di Mussolini), e il ritardo fu dovuto, secondo Carlessi, a ragioni che mi sono parse convincenti. In primo luogo la guerra con il Giappone terminò soltanto in agosto e tenne impegnate per parecchi mesi la navi che assicuravano i collegamenti logistici con il fronte asiatico. In secondo luogo il governo britannico e quello degli Stati Uniti dettero la priorità al rientro dei loro soldati. In terzo luogo il governo di Londra e quelli dei Dominion, fra cui il Sud Africa, decisero che i prigionieri di guerra, nelle gravi strettezze economiche provocate dal conflitto, sarebbero stati una mano d’opera utile e poco costosa.
certamente vero che il ritardo dei rimpatri ebbe una influenza determinante sull’esito del referendum con cui fu chiesto agli italiani di scegliere la forma dello Stato. Se avesse avuto luogo un anno dopo, i risultati, probabilmente, sarebbero stati diversi. Ma la data del 2 giugno 1946 fu scelta dal governo italiano (allora composto da tutti i partiti del Comitato di liberazione nazionale), non dagli Alleati .
Sergio Romano