Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 9/5/2010;, 9 maggio 2010
L’ITALIA CERCA 60 MILIARDI LA VERIT NASCOSTA DI TREMONTI
Quando i manifestanti, mercoledì scorso, hanno circondato il Parlamento di Atene, gridavano ”br uciamo tutto” lanciando le molotov e preparandosi alle cariche della polizia. E’ a n c o ra presto per dire se anche piazza Montecitorio sarà, prima o poi, presa d’assalto come piazza Syntagma, ma di certo una prima analogia è ormai evidente: anche l’Italia non dice tutta la verità ai mercati finanziari. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha scelto la rischiosa via dell’equilibrismo contabile, del dico-non-dico, sperando che le agenzie di rating e i mercati obbligazionari diano tregua all’Italia. R E T RO M A R C I A . S e m b ra passata un’era geologica da quando Tremonti giurava: ”Nessuna manovrina estiva”. Era il 9 di aprile, l’Ansa aveva rilanciato voci interne alla maggioranza che davano per certa una Finanziaria a luglio per trovare soldi che mancavano. Ma Tremonti smentisce: parla solo di una correzione già concordata con l’Europa di mezzo punto di Pil (circa 8 miliardi) per rientrare gradualmente dal deficit 2009 che è arrivato al 5,3 per cento. Dettaglio: nel valutare gli impegni del governo, la Commissione aveva rilevato che è impossibile prevedere nel 2010 lo stesso gettito del 2009, dove le entrate sono state aiutate dallo scudo fiscale. Un mese dopo Tremonti ha già cambiato idea: nel giorno in cui l’agenzia di rating Moody’s fa tremare le Borse indicando che le banche italiane sono a rischio, il Tesoro diffonde la ”Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica” (Ruef), un documento ufficiale che indica cosa pensa il governo dell’economia. Sorpresa: invece che una correzione dello 0,5 per cento del Pil ne serve una dello 0,8, pari a 25 miliardi in due anni. Il doppio di quanto il ministro sosteneva un mese prima. Colpa della crisi greca o dell’altalena delle Borse? No, sono cambiate le stime di crescita sul 2010 e 2011: nel Dpef aggiornato a settembre 2009 la crescita prevista per il prossimo anno era del 2 per cento. Ora, nella Ruef, è dell’1,5 ma resta un’ottimistica previsione del 2 per cento nel 2012. Il Fondo monetario internazionale, nel suo ultimo World economic outlook, dice addirittura che la crescita sarà dello 0,8 per cento nel 2010 e del 1,2 nel 2011, e sta continuando a rivedere al ribasso le stime. 50 MILIARDI. E questo cosa significa per il governo? Che per rispettare gli impegni presi Non ci sono soldi per t a g l i a re le tasse e neppure per il federalismo fiscale con l’Europa non dovrà trovare soltanto 25 miliardi in due anni, bensì almeno 50, cioè fare manovre correttive per oltre 100mila miliardi di vecchie lire, un intervento sull’economia paragonabile a quello di Giuliano Amato nel 1992. Tremonti non sta mentendo ai mercati, ma si cimenta in una difficile danza dei sette veli per rivelare un poco per volta le vere condizioni dell’Italia, un modo di prendere tempo per evitare di diffondere l’imma gine di un Paese fragile proprio nel momento in cui i mercati finanziari cercano di fiutare la preda più debole per affondarla. E’ un gioco rischioso, sostenibile soltanto perché al Tesoro ci sono validi tecnici nel dipartimento del Debito pubblico, guidati da Maria Cannata (elogiata pochi giorni fa a tutta pagina dal Wall Street Journal), che hanno allungato la durata media del debito a 7 anni. Così l’Italia ha meno bisogno di altri di sottoporsi al giudizio con le aste per i suoi titoli di debito nel momento più difficile della crisi finanziaria. Ma la sostanza non cambia: mancano 50-60 m i l i a rd i . IL PROGRAMMA. Or mai cominciano a riconoscerlo anche gli esponenti più pragmatici della maggioranza. Giuliano Cazzola, deputato Pdl e capogruppo della commissione Lavoro, scriveva ieri in un intervento sul Quotidiano Nazionale che serve subito ”una strategia rigorosa, assolutamente allineata con le indicazioni della Ue (la quale chiede di ridurre, ogni anno, il deficit in misura pari a mezzo punto di Pil). […] Non c’è un solo minuto da p e rd e re ”. Con buona pace di altri membri del Pdl, come Fabrizio Cicchitto, che ancora ieri sul Fog l i o va gheggiava una possibile riduzione delle tasse. Intanto, dice Cicchitto, cominciamo a tagliare le risorse destinate agli enti locali. Federalismo addio? Con la finanza pubblica in queste condizioni, è molto probabile che la vittoria della Lega alle Regionali non basti. Entro il 30 giugno devono essere presentati al parlamento i conti del federalismo fiscale, perché tutti – leghisti inclusi – si sono sempre mossi al buio. Senza sapere quanto costerà alle casse dello Stato. Tremonti, per quanto filo-leghista, non è disposto a spaventare il mercato promettendo interventi insostenibili. E non può essere un caso che proprio in questi giorni sia scomparso dal sito del ministero delle Finanze il libro bianco del 1994 sulla riforma fiscale, che racchiude il sogno impossibile delle due aliquote Irpef, ripescato a fine 2009 come base per una riforma fiscale che, forse, Berlusconi non riuscirà a fare neppure questa volta. L’a l t ro canarino nella miniera del debito è Confindustria: all’assemblea di Parma, a fine febbraio, Emma Marcegaglia ha chiesto al governo 2,5 miliardi, un ultimatum che scade il 26 maggio, all’assemblea nazionale di Roma. Ma di quei soldi non c’è traccia. E quando il Fatto ha chiesto alla Marcegaglia che succede e se quelle risorse arriveranno lei, incerta, ha risposto soltanto ”vediamo”. Perché anche lei sa che i soldi non ci sono.