Leonardo Maisano, Il Sole-24 Ore 9/5/2010;, 9 maggio 2010
AL FAYED CEDE I MAGAZZINI HARRODS
Stessi grembiuli rigati, stesse pagliette bordate di scuro sulle teste degli stessi inservienti, stessa folla, stessi prezzi. Le «Food halls» di Harrods tempio dei golosi, vero detonatore dell’inesausta passione per il cibo di un Paese dove la gastronomia è "scienza" ammirata e accidentalmente praticata, alle 15 di ieri pomeriggio era uguale a sempre. Nulla poteva suggerire che il palazzo più celebre di Londra, simbolo in costante gara con il Big Ben e con Westminster, era passato di mano. Via da quelle curatissime e ambrate del settantasettenne egiziano Mohammed al Fayed, fino a quelle più marcatamente mediorientali di Sua Eccellenza Hamad Bin Jabr Al- Thani, premier dell’emirato del Qatar, ma soprattutto ceo del fondo sovrano Qatari investment authority a cui fa capo Qatari Holding, impegnata nella raccolta e nell’investimento dei proventi del petrolio.
La neo proprietaria di Harrods (il quinto nella storia pluricentenaria del celebre grande magazzino) è la stessa holding che riversò un corposo pacchetto di dollari a Barclays Bank per toglierla dalle secche della crisi del credito contribuendo a evitarne la nazionalizzazione, la stessa che fallì la scalata a Sainsbury, grande catena di supermercati, nel 2007, la stessa che ha pacchetti in Volkswagen.
Cambia casacca un pezzo di storia inglese da 25 anni interamente posseduto da al Fayed Trust, destinatario di un assegno di circa 1,5 miliardi di sterline. Per il più celebre department store del mondo ( ingara con Macy’s a New York) e per gli annessi di Harrods group: una banca, real estate, servizi aerei e di elicottero privati. Nient’altro sullo scaffale? Le voci dicono che anche il Fulham football club posseduto da al Fayed e arrivato alla finale di Europa League, stritolando nel cammino anche le maglie bianconere della Juventus, sia pronto per la cessione. Ora che il team è sugli scudi potrebbe essere un’idea. Un portavoce del gruppo (Lazard è l’advisor di un’intesa raggiunta nella notte) è stato secco: «No comment», lasciando ogni valutazione alle poche righe del comunicato ufficiale: Mohammed al Fayed ha deciso di ritirarsi a vita privata per occuparsi di figli e nipoti. Un saluto ai collaboratori, un incoraggiamento agli investitori con la preghiera di badare allo staff.
Restano oscuri i dettagli e questo ha contribuito a moltiplicare le voci, compresa quella che vorrebbe al Fayed in uscita da Londra, dopo una vita passata a lottare con la nomenclatura di un paese che non lo ha mai amato e con il quale è arrivato allo scontro finale dopo la morte del figlio Dodi insieme con la compagna, la principessa Diana, moglie separata dal principe Carlo.
Di epico - ma anche di misterioso- nella galoppata imprenditoriale di al Fayed c’ètutto.Dagli inizi ad Alessandria d’Egitto dove, ragazzino, vendeva limonate, all’incontro con la prima moglie, Samira Kashoggi, alle attività marittime avviate con i fratelli lungo l’asse Cairo-Genova-Londra. Il brokeraggio navale lo portò nel Regno di una giovanissima Elisabetta e da lì divenne l’uomo delle relazioni con l’emergente mondo arabo e soprattutto con la dinastia al Makhtoum di Dubai. Si spinse a comperare l’hotel Ritz diParigi e a prendere una partecipazione di House of Fraser che controllava Harrods. Ebbe inizio allora, siamo nel 1984, una delle più violente battaglie finanziarie fra l’establishment britannico e la nuova ricchezza figlia dei petrodollari. A fermare al Fayed sull’uscio di Harrods si mise un piccolo uomo, Roland "Tiny" Rowland, impomatati capelli d’argento, mascella segnata, occhio azzurro. Di luil’ex premier Tory Ted Heath disse poche, memorabili parole: «Rowland è il volto inaccettabile del capitalismo ». Il carattere da tycoon un quarto inglese, un quarto olandese e mezzo tedesco, fu forgiato ancor prima di nascere in un campo di prigionia in India dove venne al mondo deciso a sopravvivere. Rowland era il presidente e azionista di Lonrho, il conglomerato che sullo sfruttamento della Rodesia aveva consolidato un’enorme fortuna, ma voleva Harrods. Al Fayed glielo soffiò nel 1985 e fra i due cominciò una battaglia legale con accuse di furto - gioielli che al Fayed avrebbe sottratto dalle casseforti di Harrods - e calunnie reciproche. Finì con la pace pochi anni prima della morte di Rowland, ma per l’imprenditore egiziano da quel momento Londra fu off limits. Chiese per anni la cittadinanza, ma non gli fu mai concessa, pagò - e poi denunciò quel suo gesto - due parlamentari per portare fino ai Comuni un diritto che considerava ingiustamente negato. La battaglia più lunga al Fayed la combattè, però, per dimostrare che suo figlio Dodi e Diana erano vittime di una cospirazione. Dieci anni di accuse sospese nel nulla e avvolte nel dubbio che sancirono, per lui, il progressivo distacco da un Paese che ha sempre, sfacciatamente dimostrato di volerlo respingere. Perché? Probabilmente per quell’ardito gesto di conquista, dicono gli esegeti di questa saga, di un simbolo di incrollabile "britishness". Nessuna meraviglia quindi se il magnate s’è tolto l’ultimo sassolino dalla scarpa andando a vendere sulle sponde del Golfo.