SALVO PALAZZOLO, la Repubblica 8/5/2010; ATTILIO BOLZONI, la Repubblica 8/5/2010;, 8 maggio 2010
2 articoli - FALCONE, ANTIMAFIA E COPASIR RIAPRONO IL CASO ADDAURA - PALERMO - Per vent´anni sono state solo ombre, attorno ai cadaveri del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida, ammazzati - non si sa ancora da chi - quarantacinque giorni dopo il fallito attentato al giudice Falcone, sulla scogliera dell´Addaura
2 articoli - FALCONE, ANTIMAFIA E COPASIR RIAPRONO IL CASO ADDAURA - PALERMO - Per vent´anni sono state solo ombre, attorno ai cadaveri del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida, ammazzati - non si sa ancora da chi - quarantacinque giorni dopo il fallito attentato al giudice Falcone, sulla scogliera dell´Addaura. Adesso, fra le ombre, si intravedono dei volti, ancora senza nome. Ma i sostituti procuratori Nino Di Matteo e Francesco Del Bene hanno ormai la certezza di strane presenze nella squadra di poliziotti che poco dopo l´assassinio del 5 agosto 1989 corse in tutta fretta a casa dell´agente Agostino, per frugare fra le sue carte. «Strane presenze», perché in quel gruppo non c´erano solo poliziotti. «Strane presenze», come quelle di cui ha scritto ieri Repubblica, all´Addaura. Dei misteri di quel 1989 si occuperanno adesso la Commissione parlamentare antimafia e il Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti. quanto avevano chiesto Walter Veltroni ed Anna Finocchiaro, del Pd. Il presidente dell´Antimafia, Giuseppe Pisanu, fa sapere in una nota di aver concordato con il suo collega Massimo D´Alema «una valutazione comune, nel rispetto delle reciproche competenze, degli aspetti della vicenda che possano riguardare i servizi segreti». La nota si conclude con una precisazione: il presidente del Copasir, D´Alema, «ha già avviato le iniziative opportune». Sui misteri del 1989 e il coinvolgimento di apparati deviati dei servizi, i pm siciliani indagano ormai da mesi. Pochi giorni fa, Di Matteo e Del Bene sono volati in gran segreto a Roma, per interrogare i poliziotti che parteciparono alla prima fase delle indagini sull´omicidio Agostino. La domanda principale è rimasta sempre una: chi c´era nel gruppo che perquisì l´abitazione della vittima, ad Altofonte? Il biglietto ritrovato nel portafogli di Agostino, ucciso sul lungomare di Carini, parlava chiaro: «All´interno del mio armadio c´è qualcosa». Probabilmente degli appunti. La sorella di Nino, che accompagnò gli agenti (o presunti tali), ha raccontato ai magistrati: «A un certo punto della perquisizione sento qualcuno che dice, "l´abbiamo trovata"». Forse, una busta. Di certo, una traccia importante che confermava una verità scomoda per qualcuno: Agostino non era solo un agente della squadra volanti di un commissariato come tanti a Palermo, ma svolgeva un lavoro riservato d´indagine. Forse, mirato alla cattura dei latitanti. Forse, secondo quanto anticipato da Repubblica, diretto a scoprire chi avesse piazzato la bomba all´Addaura. Alcuni dei poliziotti interrogati nei giorni scorsi sarebbero caduti più volte in contraddizione sulle presenze di quella sera a casa Agostino. I magistrati hanno disposto anche dei confronti, che avrebbero avuto toni drammatici. Fra mezze ammissioni e tante reticenze sono spuntate le tracce di «presenze estranee» alla polizia. E il giallo si sarebbe ripetuto pure nell´altra perquisizione fatta a casa Agostino, tre giorni dopo. Forse - è adesso l´ipotesi di chi indaga - non solo sarebbero state sottratte alcune carte, ma ne sarebbero state aggiunte altre, sempre di Agostino, ma che nulla avevano a che fare con la verità. Di certo, nel primo rapporto della squadra mobile, allora diretta da Arnaldo La Barbera, si parlava di una pista passionale per il delitto. Ad accreditarla era un amico di Agostino, uno strano poliziotto di Pescara, che ogni tanto veniva aggregato alla mobile di Palermo (i pm non hanno scoperto ancora perché): Guido Paolilli, così si chiama, è indagato per favoreggiamento. L´elenco dei poliziotti sotto accusa potrebbe presto allungarsi. SALVO PALAZZOLO, la Repubblica 8/5/2010 VERBALI, TESTIMONIANZE, IDENTIKIT SPARITI DAGLI ATTI DELL´INCHIESTA - ROMA - Carte scomparse, verbali d´interrogatorio mai più ritrovati, armadi svuotati, denunce insabbiate, identikit persi, depistaggi. E una pista «passionale» per ogni omicidio, un´amante segreta per ogni morto. Le indagini sull´attentato dell´Addaura sono l´annuncio delle stragi del 1992, sono le mosse che anticipano le uccisioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Misteri. Misteri che non sono solo di mafia ma anche di Stato. L´elenco delle prove che non ci sono più - o che non ci sono mai state perché le hanno fatte sparire prima - è la trama che racconta la vicenda di quei candelotti di dinamite destinati nel giugno del 1989 al giudice Falcone. Per arrivare a Capaci però si deve passare da altri due croci e da altre due tombe, da due poliziotti che qualcuno ha voluto a tutti i costi «sporcare» per non farci avvicinare alla verità. Cominciamo da Nino Agostino, cominciamo dalle indagini taroccate sul suo omicidio avvenuto il 5 agosto del 1989. Ucciso lui e uccisa sua moglie Ida. Era ancora a terra quando suo padre Vincenzo gli ha sfilato dalla tasca il portafoglio e, lì dentro, ha trovato un biglietto: «Se mi succede qualcosa andate a guardare nell´armadio della mia stanza da letto». Agli atti dell´inchiesta non c´è niente del materiale sequestrato in quell´armadio. Come non c´è il resoconto di un lungo interrogatorio del padre di Nino Agostino nell´estate del 1989, quello dove riferiva di avere visto «un uomo con la faccia da mostro che cercava mio figlio una ventina di giorni prima che fosse ucciso». Vincenzo Agostino, una mattina di ventuno anni fa, pochi giorni dopo la morte del figlio, entrò alla squadra mobile di Palermo per raccontare: «Sono venuti in due a casa mia e volevano parlare con Nino, mi hanno detto che erano suoi colleghi. Uno aveva una faccia da mostro, martellata dal vaiolo e con un muso da cavallo... era biondastro». Probabilmente la stessa «faccia da mostro» segnalata negli anni successivi da più testimoni (e anche da un mafioso informatore di un colonnello dei carabinieri) sui luoghi delle stragi in Sicilia. La testimonianza di Vincenzo Agostino è stata inghiottita nel buio: non ce n´è traccia in un solo atto della corposa inchiesta sull´uccisione del poliziotto. Tutta l´indagine sull´omicidio per anni si è sviluppata intorno a una vecchia storia d´amore, un´antica fidanzata di Nino. «Una follia», ha sempre ripetuto il padre, «una follia per potere portare avanti un depistaggio dopo l´altro». Hanno cercato «una donna» anche per trovare un movente all´omicidio di Emanuele Piazza, il collaboratore del servizio segreto civile strangolato il 15 marzo 1990, nove mesi dopo l´attentato all´Addaura. Tre volte suo padre Giustino ha dovuto chiedere la riapertura di un´inchiesta che volevano mandare subito in archivio. E sette mesi, dalla morte di Emanuele, hanno dovuto attendere i magistrati della procura della repubblica di Palermo prima di ricevere una nota del Sisde (firmata dal direttore del Servizio Riccardo Malpica, il 22 settembre 1990) che testimoniasse la «collaborazione» del ragazzo «con i commissariati di San Lorenzo e Mondello per la ricerca dei latitanti». Nebbie che hanno avvolto fin dal principio la morte di Emanuele Piazza. Ricorda oggi il padre: «Ho denunciato la scomparsa di mio figlio il 17 marzo alla polizia, ma la polizia non ha ritenuto di avvertire i carabinieri neanche con una velina. Dopo tre mesi la notizia della scomparsa di Emanuele è stata pubblicata da Repubblica e, a casa mia, si sono precipitati i carabinieri della stazione Crispi per chiedermi conto e ragione perché non avessi presentato denuncia.. io sono rimasto sconcertato». Come è rimasto senza fiato quell´altra volta che un alto del funzionario del ministero degli Interni, davanti a un magistrato, ha ammesso «di avere conosciuto una volta Emanuele Piazza all´Hotel delle Palme di Palermo» e poi di non averlo incontrato mai più. Ricorda ancora Giustino Piazza: «Quel funzionario telefonava ogni sabato pomeriggio a casa mia a Sferracavallo e chiedeva di Emanuele, che conosceva molto bene». Coperti dai segreti, l´omicidio Agostino e l´omicidio Piazza, sono i due «casi» che ruotano intorno all´attentato dell´Addaura e che segnano in qualche modo il calvario che porterà a Capaci. Le ultime indagini cercano collegamenti fra la dinamite davanti alla villa di Falcone del 1989 e la strage del 1992, c´è un filo - non solo mafioso - che parte dagli scogli dell´Addaura e finisce sull´autostrada Trapani-Palermo. anche storia di identikit scomparsi e ritrovati in altri fascicoli (quelli degli assassini del giudice), di atti finiti in fascicoli diversi da quelli dove dovevano stare, di informative dimenticate in qualche cassetto. Un «disordine» perfetto. TTILIO BOLZONI, la Repubblica 8/5/2010;