Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 08/05/2010, 8 maggio 2010
LA CINA CONQUISTA L’AFRICA UN NUOVO COLONIALISMO
Secondo un resoconto allarmato di un amico tornato da un lungo soggiorno in Africa, non ci sarebbe più un Paese a sud del Sahara non mostri evidente la presenza progressivamente invasiva dei cinesi. Non sono turisti né immigrati, ma una combinazione di truppe, «intelligence» e compagnie con al seguito ingegneri, ricercatori, geologi. Sapevo della presenza di Pechino in Africa, ma non nei termini descrittimi. A questo punto sembrerebbe una presa di possesso in piena regola del tutto incontrastata e forse autorizzata; insomma una sorta di contropartita alla presenza americana in Medio Oriente. Mentre l’indecisa e pavida Europa è scivolata nella parte di ricco ostaggio tra le mani di Mosca. come un patto tacito tra grandi per la sopravvivenza nel XXI secolo. Sono solo ipotesi?
Giuseppe Dacchille giuseppe.dacchille@fastwebnet.it
Caro Dacchille, più che di una invasione converrebbe parlare di un ritorno. La Cina fu molto presente in Africa durante gli anni Settanta e Ottanta con missioni composte da tecnici e militari. Ma fra i due fenomeni esiste una fondamentale differenza. La presenza d’allora rispondeva alla strategia politica di un Paese che intendeva avere una posizione eminente, anche a scapito dell’Unione Sovietica, nel campo dei «non allineati», ed era pronto a conquistarla, tra l’altro, con la costruzione di grandi opere pubbliche.
Oggi la Cina è in Africa e in America Latina perché è diventata una insaziabile consumatrice di materie prime e di prodotti alimentari. Secondo un articolo di Alessandro Arduino apparso sull’ultimo numero di East, la rivista diretta da Vittorio Borelli, la sua campagna acquisti può contare su un fondo sovrano (China Investment Corporation) che dispone di duemila miliardi di dollari in riserve valutarie estere. Dopo averne iniettati 500 nell’economia e nella finanza nazionali per riparare i danni provocati dalla crisi mondiale del credito, è ripartita con tassi di crescita che superano il 10% annuo e con un prodotto interno lordo (4.900 miliardi di dollari) che sta per superare quello del Giappone (5.100). Ma la sua crescita sarà possibile soltanto se sostenuta da massicce importazioni di ferro, rame, alluminio, petrolio, gas, metalli pregiati, grano, soya e altri prodotti dell’industria agro-alimentare.
Le sue operazioni africane sono state facilitate dalle condizioni del continente dopo la fine della guerra fredda. Mentre i capitali delle potenze occidentali preferivano impieghi più sicuri in Paesi distinti da una maggiore stabilità politica, la dirigenza cinese poteva disporre liberamente dei capitali nazionali e fare scelte di lungo respiro. Mentre i rapporti dei governi occidentali con il continente africano sono condizionati da opinioni pubbliche che attribuiscono grande importanza al rispetto dei diritti umani e civili, la Cina non interferisce nella politica interna dei Paesi africani, non chiede riforme civili, non fa lezioni ai governi locali ed è persino disposta a difendere un regime autoritario all’Onu (è accaduto più volte nel caso del Sudan) se le relazioni economiche giovano al suo sviluppo. Anche questo, naturalmente, è colonialismo, ma fondato sulla convenienza reciproca.
Quanto alle sue ipotesi, caro Dacchille, non riesco a immaginare Hu Jintao e Barack Obama, armati di una matita rosso-blu e intenti a tracciare su una grande carta geografica i confini delle rispettive aree d’influenza. Sono fortunati quando riescono a risolvere con un compromesso i loro problemi bilaterali.
Sergio Romano