Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 08/05/2010, 8 maggio 2010
CLEGG, IL DESTINO DEL TERZO UOMO. PRIMA ILLUDE, POI NON SFONDA
Daniel Radcliffe, l’attore di Harry Potter, dichiarava: «Non vedo l’ora di votare per la prima volta, per dare il mio appoggio a Nick Clegg». Il Guardian, giornale laburista da sempre, invitava i suoi lettori a votare Clegg secco, seguito dall’Observer e dall’Independent. «Anche io ero un laburista, ma l’uomo del futuro è Clegg», dichiarava il bravissimo Colin Firth, ormai la star del cinema britannico, seguito dalla collega Kate Winslet, dal compositore Brian Eno, da Chris Martin leader dei Coldplay. Con i tre duelli tv, la Clegg-mania era dilagata anche fuori dal Regno Unito. Guarda quant’è bravo, e quant’è bello, Nick Clegg. Come fissa la telecamera. Come tiene le mani in tasca. E in effetti i confronti televisivi li aveva vinti lui. Per un quarto d’ora, Clegg è parso l’incarnazione della nuova Gran Bretagna: nonna russa, madre olandese, moglie spagnola – Miriam González Durántez, avvocato di successo ”; cinque lingue, maestro di sci in Austria, stagista a Bruxelles, giornalista in America; leader postideologico, macrobiotico, né di destra né di sinistra, e soprattutto nuovo.
Nel segreto dell’urna, però, Clegg si è fermato a 57 seggi, contro i 62 che aveva il suo partito. Tutti i sondaggi lo davano vicino al 30%, alla pari con i laburisti; è al 23. Giovedì è andata peggio solo a Nigel Farage, ex capo del partito di destra Uk Independence, che è caduto con il suo aereo e si è salvato per miracolo.
Anche la Gran Bretagna conferma così la regola comune a mezza Europa: il fascino del terzo uomo suggestiona in campagna elettorale, ma alla fine non sfonda; la terza forza illude, ma non funziona. Piace a chi è stanco della solita alternativa tra destra e sinistra, solletica gli indecisi, seduce i media, si afferma nei sondaggi; poi, quando si vota davvero, prevalgono altre logiche. La tradizione familiare, il radicamento territoriale, la paura di cambiare, e anche il voto di clientela: spesso le terze forze non hanno posti di governo, e quindi hanno poco o nulla da offrire. E’ accaduto in Francia a Bayrou: eliminato al primo turno delle presidenziali 2007 nonostante un punteggio record, ridimensionato alle successive politiche, sparito alle regionali. Accade in Italia, dove i tentativi di terza forza da Segni a Rutelli non hanno mai avuto fortuna. Persino Bossi, che nel ”96 presentandosi da solo arrivò al massimo storico, ha dovuto scegliere uno dei due poli. Resiste Casini grazie anche al solido legame con la Chiesa, che nella vita pubblica britannica quasi non esiste, influenzata com’è dalla politica (il capo è la regina, il premier interviene nella nomina dei vescovi) piuttosto che influenzarla.
Clegg ha elaborato da solo la spiegazione del flop: «Molti elettori erano eccitati alla prospettiva di un cambiamento. Ma qualcuno ha preferito scegliere quel che appariva il meno peggio». Così i liberaldemocratici hanno confermato la loro natura di «partito di riserva», radicato soprattutto nei collegi fortemente orientati a destra – dove è l’alternativa ai conservatori ”o a sinistra, in cui rappresenta l’alternativa ai laburisti.
Eppure il grande deluso resta l’uomo-chiave di queste elezioni. Perché è Clegg, nonostante la sconfitta, ad avere in mano la soluzione di quel rebus che è diventata la politica inglese dopo il voto. Che cosa farà? Un governo di coalizione con Cameron? Un accordo con i laburisti, che però non avrebbe i numeri e andrebbe allargato a nazionalisti scozzesi, gallesi, nordirlandesi? Oppure lascerà che nasca un governo conservatore, senza entrarvi, stabilendo di volta in volta se appoggiarlo? In ogni caso, la presenza di una
terza forza ha ottenuto come solo risultato l’instabilità, con la prospettiva di nuove elezioni in breve tempo; il che, in una Londra che resta la capitale finanziaria d’Europa, e in un’Europa spazzata dalla tempesta finanziaria, non rappresenta una grande notizia anche se l’europeismo di Clegg potrebbe temperare lo scetticismo Tory.
Pallido, senza l’ombra della sicurezza mostrata in tv, persino spettinato, ieri Clegg ha spiegato di essere reduce da una notte «disappointing» e ha assicurato che resterà fedele a quanto detto in campagna elettorale: «Spetta al partito che ha più voti e più seggi mostrare che può governare nell’interesse nazionale». Però ha ribadito che il sistema elettorale uninominale va cambiato. Cameron non ha chiuso la porta, ma di riforma proporzionale i conservatori non hanno mai voluto sentir parlare. Ora qualcuno dovrà cambiare idea. E non è escluso che sia Clegg.
Infatti il leader liberaldemocratico è per sua natura imprevedibile. Il Daily Mail, quotidiano conservatore che non lo ama, ha messo in fila i suoi numerosi ripensamenti. Dicembre 2007, alla Bbc che gli domandava se crede in Dio: «No». Aprile 2010: «Non sono sicuro se Dio esiste o meno. Sono molto più di un agnostico». Marzo 2010: «Non vedo alternative al nucleare». Aprile 2010: «Ci sono un sacco di alternative al nucleare». Un giorno: «Non vedo come Brown possa restare abbarbicato a Downing Street». Il giorno dopo: «Sono pronto a lavorare con chiunque, compreso Brown». Una sequela ingenerosa, cui potrebbe essere inchiodato qualsiasi politico. Ma è proprio questo il punto: Clegg appare oggi un politico qualsiasi, alle prese con consultazioni, trattative, appoggi esterni, e alla fine costretto a scegliere tra destra e sinistra; come le molte «terze possibilità» che potevano essere, e non sono state.
Aldo Cazzullo