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 2010  maggio 08 Sabato calendario

SOS INQUINAMENTO. TROPPE PETROLIERE NEL MEDITERRANEO


La Haven e le altre: era inevitabile che la XXI ras­segna del mare si aprisse con gli occhi puntati sulle grandi petroliere che solcano il Mediterra­neo. Quasi trecento navi all’anno, il 20% del traffico mondiale, 360 milioni di tonnellate di petrolio, presenza inquietante sulla testa di tonni e coralli, particolarmente ora, che la marea nera incombe sul golfo del Messico. «Quando avviene un disastro simile – ha spiegato ieri Giuseppe Cognetti, biologo marino dell’Università di Pi­sa e presidente del comitato scientifico dell’associa­zione Mareamico, che organizza la conferenza inter­nazionale – le prime contromisure sono decisive. Gli i­drocarburi si degradano in anni e lieviti e batteri pos­sono velocizzare il processo ma vale solo per lo slick, lo strato superficiale di petrolio. Dopo l’affondamento dell’Amoco Cadiz, i francesi ebbero l’accortezza di non usare detersivi: avrebbero provocato l’abbattimento delle componenti bituminose sui fondali».

Avvenne per la Haven. Nel golfo di Genova si tentò di bruciare il petrolio galleggiante, ha ricordato ieri Leo­nardo Tunesi dell’Ispra. Vent’anni dopo, restano enor­mi ”pizze” bituminose in fondo al mare ligure. «Sono diventate – ha spiegato l’esperto – l’habitat di molluschi e crostacei, compresi scampi e gamberi rossi».

Secondo gli scienziati che si sono alternati alla tribuna del Teatro civico, in tutto il Mediterraneo è possibile un caso Louisiana - le prospezioni petrolifere si fanno o­vunque, ce ne sono in corso anche a qualche miglio dal parco delle Egadi - ma fa comunque più paura l’inquinamento causato dal lavaggio in mare (fuorilegge) delle pe­troliere. «Ci battiamo da anni perché nel Mediterraneo entrino solo navi a doppio scafo e si sanzionino i com­portamenti delittuosi» ha detto Rober­to Tortoli, presidente di Mareamico, mentre il sottosegretario all’ambiente Roberto Menia ha ricordato l’accordo italo-francese per l’istituzione di un parco marino transfrontaliero nelle Bocche di Bonifa­cio, tra Sardegna e Corsica. Per Cognetti dev’essere «un parco più francese che italiano, perchè noi tendiamo a blindare per difendere, ma la biodiversità si tutela ge­stendo lo sfruttamento delle aree marine, non vietan­dolo ». Questo accordo è una delle azioni che pre­parano la Conferenza nazionale sulla biodi­versità che si terrà a Roma dal 19 maggio e al­la quale i rappresentanti delle uni­versità italiane e tunisine, montene­grine e spagnole riunite in questi giorni ad Alghero arriveranno divisi sulla teoria del riscaldamento glo­bale.

Nessuna incertezza, tra gli scienziati, circa la ne­cessità di un giro di vite sul petrolio che viaggia nel Me­diterraneo - «a Spalato abbiamo avuto una perdita e se fosse sfuggita al controllo sarebbe stato un disastro per tutto l’Adriatico» ha ammesso Aleksandar Joksimovic, dell’università di Crna Gora - e neppure su taluni temi caldi, come il veto alla clonazione per l’acquacoltura ri­badito da Saloua Chaouch Aouij (Università di Tunisi). Invece, molti sono i dubbi sulle cause del riscaldamento del Mediterraneo. C’è chi, come Co­gnetti, sostiene che le specie tropica­li siano state importate e si siano poi adattate al nostro clima e chi, come Franco Andaloro (Ispra), che per pri­mo teorizzò la tropicalizzazione dei nostri mari, con il riscaldamento glo­bale e la CO2 spiega tutto, dalla diffu­sione ovunque del pesce pappagallo, della ricciola bastarda e del barracu­da, un tempo tipici solo delle aree più calde, alla presenza nel Mediterraneo di 148 specie e­sotiche (43 solo nei mari italiani), talune dalle carni tos­siche.

 la posizione delle Nazioni Unite ma non convince Franco Prodi (Università di Bologna) secondo cui «le co­noscenze attuali non accreditano il nesso tra attività antropiche, CO2 e riscaldamento globale», e Carlo Da Pozzo (Università di Pisa): «Dall’800 a oggi la CO2 au­menta mentre la temperatura oscilla, se c’è una rela­zione non è vincolante». Jean Pierre Lozato Giotart (Sor­bona): «Hanno fatto scalpore le immagini della Costa azzurra travolta dalle onde, ma nessuno ha ricordato che è già successo: nel 1963 si andava in barca sulla Pro­menade des Anglais.