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 2010  maggio 08 Sabato calendario

FRANE: QUELLI CHE ANCORA ASPETTANO

(due articoli di Avvenire)

MONTAUGO -
La frana di Montaguto, la più attiva d’Europa, non si ferma. An­zi, si muove costantemente. Otto centimetri all’ora. Cioè, un metro e mezzo al giorno, su un fronte di tre chilometri. Se poi dovesse piovere, i centimetri all’ora diventeranno 25.

E l’Italia, rimane ancora tagliata in due. Nonostante i festeggiamenti dell’Unità del Belpaese, i 225 militari dell’11° reggimento guastato­ri di Foggia che ogni giorno sversano 1.626 metri cubi di fango nel tentativo di canalizzare le sorgenti che alimentano il laghetto a mon­te della frana, le promesse di Guido Bertolaso. «Entro la fine di mag­gio riapriremo la tratta ferroviaria e la statale 90», aveva annuncia­to il capo della Protezione civile, il giorno in cui era stato nominato commissario straordinario per questa emergenza a cavallo tra Cam­pania e Puglia. E giù cronoprogramma dei lavori, con un impegno preciso: «Sarò qui a controllare ogni settimana l’esito dei lavori».

Lo aspettavano giovedì, Bertolaso, sul fronte della frana che ha 12 milioni di metri cubi di fanghiglia ballerini. Lo hanno atteso anche ieri, inutilmente. arrivato, invece, il ge­nerale Giuseppe Salotto, capo di Stato maggiore dell’Esercito. Uomo carisma­tico e diplomatico. toccato a lui rassi­curare tutto e tutti: «L’impegno delle i­stituzioni è incessante». Quindi, l’am­missione: «Siamo in ritardo. La riaper­tura della ferrovia slitterà di qualche set­timana. Gli eventi meteorologici di que­sti ultimi giorni non ci hanno aiutato». Per raggiungere la capitale da Bari o Lec­ce, in treno, sono necessarie almeno set­te ore. Primo stop a Foggia, con i pullman fino a Benevento. Quindi, nuovo tra­sbordo. Se sei un disabile Trenitalia alza le mani. I pullman non consentono l’ac­cesso alle carrozzine. I percorso consigliato è via Bologna. In treno non sono meno di 10 ore. Intanto, il 10 maggio si festeggeranno i 60 giorni di chiusura della ferrovia.

I disagi, dunque, continueranno. La frana di Montaguto assomiglia sempre di più al mostro dalle mille teste. Finora sono stati rimossi 12 milioni e mezzo di metri cubi di detriti. Se a monte la frana vie­ne alimentata dall’acqua che scorre nelle sue viscere (il motivo per cui cammina) a valle le ruspe rimuovono terreno e lo scaricano nei camion anche di notte. La tela di Penelope, a confronto, è ro­ba da dilettanti. Il governo ha stanziato 38 milioni di euro – da centellinare con parsimonia – per questa emergenza storica. La frana di Montaguto preoccupava già nel 1763. Gli ingegneri mandati da Carlo III di Spagna, Giovanni Pollio e Francesco Varga, riuscirono a do­mare la belva, intervenendo direttamente nell’alveo del fiume Cervaro, realizzando un muro di sostegno.

Oggi si lavora sui tre fronti (ai piedi della fra­na, nella zona intermedia e nella parte alta del movimento franoso), puntando alla ca­nalizzazione delle acque di scolo e alla rea­lizzazione di terrazzamenti di contenimen­to per alleggerire la spinta del terreno. Più o meno, la stessa cosa del 1763. La differenza la fa la tecnologia. Sensori e radar control­lano 24 ore su 24 la terra che si sbriciola. L’i­terferometro, installato su una piattaforma sul fianco della montagna di fronte a quel­la franata ha sentenziato: il nemico avanza 2 metri al giorno.

Dice Angelo Pepe, ingegnere e riferimento operativo di Bertolaso: « una bestia in mo­vimento e incontrollabile. Lavoriamo al massimo delle possibilità». «Questa frana può essere più devastante – spiega France­sco Russo, presidente dei geologi campani – l’unico dato che ci conforta è sapere che in questa zona la densità abitativa è piutto­sto bassa. Ma questo non deve far abbassa­re la guardia, e l’azione della Protezione ci­vile ci sembra più simile a un cerotto sulla ferita. Se c’è un progetto di consolidamen­to del territorio chiediamo di conoscerlo».
Gaetano Campione

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MESSINA -
 stato ricordato con la celebrazione di una Santa messa quel drammatico giorno del primo ottobre del 2010. Sette dolorosissimi mesi, che gli abitanti delle zone a sud di Mes­sina hanno vissuto nell’attesa di un ritorno alla normalità. A­desso, che la stagione delle piogge è terminata ed il sole inco­mincia a picchiare sulla terra, la stessa che sette mesi fa intrisa di acqua ha provocato distruzione e morti, i cittadini si attende­vano di veder partire la ricostruzione. Invece nulla. Qualche mu­retto sistemato, alcune strade ripulite, i torrenti messi in sicurezza, ma per le loro case ancora niente. Sono state prorogate sino al­la fine del mese di luglio le ordinanze di evacuazione per la po­polazione che viveva a Giampilieri Superiore, a Briga Superiore e Marina, a Molino, ad Altolia, a Pezzolo, e nella vallata di Schia­vo. Il commissario per il superamento dell’emergenza nelle zo­ne alluvionate, il primo cittadino di Messina, Giuseppe Buzzan­ca, prevede che a quella data possano tutti fare ritorno a casa.

Non la pensano così, però, gli abitan­ti, che chiedono la messa in sicurezza del territorio. Se l’estate non fa paura, infatti, a preoccupare è l’arrivo del­l’autunno, in cui bisognerà fare i con­ti con gli acquazzoni, gli smottamenti del terreno e coi fiumi stracolmi, le col­line che si sbriciolano. Timori nono stante i quali qui la gente ha cercato di ricominciare a vivere: a poco a poco le attività commerciali hanno riaperto i battenti, le strade e le piazze si sono ri­popolate. Senza dimenticare le 37 per­sone – 6 delle quali mai più ritrovate – persero la vita sotto il fango.

Già, perché gli abitanti di Messina non vogliono dimenticare quei nomi, quei volti. Non vogliono di­menticare i sorrisi di quei piccoli angeli, i fratelli Ciccio e Renzi­no Lonia, di due e sei anni, e della piccola Ilaria De Luca, di soli quattro anni. A loro i compagni di gioco hanno voluto dedicare tre aule nel plesso scolastico di Giampilieri Superiore, che è sta­to intitolato ad un’altra vittima dell’alluvione, il sottocapo della Marina militare, Simone Neri, che perse la propria vita per sal­vare quella di altre persone. «Vi chiediamo – disse con le lacrime agli occhi l’arcive­scovo di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, monsignor Calogero La Piana, il giorno dei funerali rivolgendo lo sguardo verso le bare bianche contenenti i corpi dei fratellini Lonia – di assistere e soccor­rere i vostri familiari e parenti, la città e il territorio di Messina, la nostra comunità ecclesiale perché ’nostri novelli angeli cu­stodi’ ». E infatti nelle case di molti è ap­parsa, appesa ai muri o sullo stipite della porta, una foto di quei piccoli.

Anche nel villaggio di Altolia, nascosto tra le montagne che sovrastano Giampilieri, i bambini della materna e dell’elementa­re lunedì scorso hanno fatto ritorno tra i banchi di scuola. Un fatto positivo se non fosse che l’ordinanza del commissario del­l’emergenza prevede la ripresa delle atti­vità didattiche solo in ore diurne, e in as­senza di condizioni meteo avverse. Que­sto la dice lunga sullo stato d’animo delle famiglie che devono inviare i propri figli a scuola, e vivere loro stessi in un territorio ritenuto sicuro solo in certe ore, e col bel tempo. In molti sperano che adesso par­tano davvero i lavori per la messa in sicu­rezza definitiva della montagna. Nella pic­cola frazione, intanto, il parroco, don O­razio Siani, sta lavorando alacremente per ridare in tempi brevi alla popolazione il centro sociale di San Biagio, che nei gior­ni dell’emergenza è stato utilizzato come unico luogo di incontro, infermeria e de­posito dove riporre i generi di prima ne­cessità. Il completamento dell’oratorio rappresenterà per gli abitanti del luogo un momento di rinascita e di riscatto.
Domenico Pantaleo