Il Messaggero degli anni ’50, 8 maggio 2010
Pia Bellentani, Sulmona, 29 gennaio 1916, morta non so dove nel 1980 • Figlia di Romeo Caroselli, imprenditore, e Nazarena Jannamorelli, contadina e operaia, ultima di sei figli (ma tre morirono molto giovani): il primo Ferdinando, poi Guido e infine Pia
Pia Bellentani, Sulmona, 29 gennaio 1916, morta non so dove nel 1980 • Figlia di Romeo Caroselli, imprenditore, e Nazarena Jannamorelli, contadina e operaia, ultima di sei figli (ma tre morirono molto giovani): il primo Ferdinando, poi Guido e infine Pia. Romeo, morto nel 1943, all’inizio del secolo aveva un piccolo negozio di ferramenta a Sulmona. Vendeva chiodi e piccoli utensili. Nato uomo d’affari, seppe risparmiare e mettere su accortamente un’azienda di materiali da costruzioni. Divenne presto ricco • Cresciuta con i fratelli in una casa tinteggiata di rosa, con le persiane marroni, subito fuori Porta Napoli, dove Nazarena, la madre, continuò a vivere da vedova • Il primo fratello, l’ingegner Ferdinando Caroselli, tra le altre cose presidente del consiglio di amministrazione della Banca Agricola Industriale Cooperativa di Sulmona, accorto quanto il padre negli affari, sempre abbronzato, il doppio petto di grisaglia, sposato con una signorina toscana, Tilde Mezzetti, due figli e un’impresa di costruzioni conosciuta in tutta l’Italia centrale. Suoi anche il palazzo di travertino fra il Corso Ovidio e via Antonio De Nino, il caffè Europa, i due cinema della città, Il Pacifico e Il Balilla • Il secondo, il dottor Guido Caroselli, ritornato a Sulmona dopo aver fallito la carriera diplomatica, gestiva insieme al fratello alcune delle attività di famiglia • Pia, «una brava bambina moderatamente religiosa ma praticante. Non aveva qualità particolari, quando veniva da me, tutti i sabato, per il catechismo. Il brusco balzo da quest’ambiente meridionale di provincia a quello di un certo mondo settentrionale la rovinò» (don Pasquale Di Loreto, parroco di Santa Maria dalla Tomba, chiesa romanica vicino alla casa paterna dei Caroselli) • Adolescenza travagliata da oscuri fermenti spirituali, smaniosa di uscire dalla mediocrità, di creare qualcosa che la facesse comparire; componeva poesie; dipingeva quadretti; passava intere giornate al pianoforte alle prese con Chopin; filosofava disperatamente sulla morte • A undici anni restò colpita da un’immagine di morte: mentre passava davanti a un uscio socchiuso, entrò in casa, si trovò davanti una ragazza morta vestita di bianco. La baciò. Quel ricordo non la abbandonerà mai • «Era giovanissima quando tentai per la prima volta di morire; trangugiai tutta insieme una bottiglia di arsenico che mi davano per cura; ripetei il tentativo bevendo acqua mescolata a pomice; dopo questi gesti mi sentii l’anima svuotata completamente» (Pia Bellentani) • Educazione a Sulmona fino alla seconda classe di ginnasio; poi a Roma, dove restò tre anni nel collegio Cabrini e altri due presso le suore inglesi di via Nomentana • Si innamorò di un avvocato di Sulmona, ma i genitori la constrinsero a troncare la relazione senza darle spiegazioni • Incontro col conte Lamberto Bellentani a Cortina D’Ampezzo. Lei 22 anni, lui 39. Durante una cena al Cristallino il conte la notò e si innamorò di lei. «Lamberto Bellentani, che in Emilia aveva una fiorente industria di insaccati, era uno scapolo quarantenne. Aveva perso il padre a vent’anni e recentemente anche la madre, alla quale era legatissimo. Era meno attraente di tanti altri corteggiatori di Pia, e anche meno giovane, ma proprio il suo fascino maturo, la parlantina vivace, la sua singolare e completa padronanza di sé la convinsero ad accettarlo. Questa volta i genitori acconsentirono al fidanzamento, e il 15 luglio 1938 ebbe luogo il matrimonio, con una cerimonia fastosa» (Cinzia Tani). Ne nacquero due figlie: Flavia e Stefania • «Nella casa del conte Bellentani non ho visto mai un libro. L’unica preoccupazione del conte era quella di non lavorare» (Lilian Sacchi). «Il giorno del mese in cui doveva controllare i conti della sua amministrazione, appariva nervosissimo. Ma passato quell’unico giorno funesto del mese, tornava gaio. L’unica cura di lui e della moglie era quella di trovare un modo nuovo per passare la serata. Anche in questo campo, l’inventiva non era di alte qualità. Il conte provava il suo godimento maggiore nel sonno del pomeriggio. Dormiva tre ore pesantemente, nel centro del giorno, portando agli estremi l’arte di gustare la vita attraverso il cervello e i sensi completamente ovattati» (Vitaliano Brancati, l’Europeo n. 52 del 1952) • Pia Bellentani, di umore triste e pessimista, ossessionata dal pensiero della morte, portata verso la malinconia, incapace di ridere • Pia aveva conosciuto Carlo Sacchi, che ebbe sempre un debole per le avventure amorose, al Lido di Venezia nell’estate del 1940, nel corso di una festa all’Hotel des Bains. S’innamorò di lui e si mise in testa di redimere col suo amore l’industriale, superficiale nelle sue relazioni • Carlo Sacchi, rimasto orfano di madre a sette anni e di padre a dieci, messo dagli zii in un collegio svizzero. Non era per lui. Il bisogno di vivere in un’atmosfera familiare l’aveva spronato a tal punto da fargli compiere in un anno gli studi di un triennio. A soli tredici anni, dopo un breve soggiorno a scopo educativo in Germania, era di nuovo a casa con gli zii. Il padre, comasco morto a trentasei anni, gli aveva lasciato uno stabilimento ben avviato per le produzioni della seta, ma di proporzioni modeste. Fu lo stesso Sacchi ad accumulare poi una fortuna definita colossale. Incontrata a Losanna Lilian Willinger, una bellissima danzatrice tedesca, se ne innamorò di colpo e la sposò. Nacquero tre figlie (la prima, Silvia, morta a nove anni, un dolore che lo accompagnerà sempre, le altre due Jolanda ed Elvina). L’amore tra i due finì dopo qualche anno di matrimonio • Quel primo incontro tra Pia e Carlo non suscitò emozioni in nessuno dei due: Carlo era troppo occupato a districarsi fra le sue diverse amanti, e Pia non vide in lui nessuna delle qualità che prediligeva in un uomo, anzi lo trovò piuttosto volgare. Durante la guerra, nel 1941, la famiglia Bellentani si trasferì in una villa sul lago di Como, a Cernobbio, e Pia fece amicizia con Ada Mantero Sacchi, sorella di Carlo. Quell’anno Sacchi perse la figlia maggiore, Silvia, e la disgrazia lo gettò nello sconforto. Pia cercò di aiutarlo, di consolarlo. Si innamorò di lui. Un anno dopo l’inizio della loro relazione, l’uomo era già stanco. Ma, come gli succedeva con tutte, non aveva il coraggio di troncare neppure quel rapporto che si trascinava fra alti e bassi, attimi di ritrovato affetto e momenti di crudele distacco • L’altra amante di Sacchi, Mimì Guidi (vero nome Sandra Cozzi in Guidi). Pochi giorni prima di morire era stato con lei a Capri e insieme avevano consultato una chiromante, la signora Buronzo. La quale, esaminando le mani dei due, gli aveva predetto: ”Non finirà settembre che voi sarete divisi per sempre”, precisando poi: ”Sarete divisi da un colpo di pistola”. La sera dell’omicidio gli trovarono in tasca due biglietti per la Spagna. Sarebbe partito con Mimì il giorno seguente • «Un giorno che Sacchi passava con la sua automobile per Maslianico, cercai di gettarmi sotto le ruote; frenò a tempo; se fossi riuscita nel mio scopo, egli avrebbe sofferto meno di quanto io soffro oggi per lui». L’uomo scese dalla macchina e, invece di prenderla fra le braccia per rincuorarla, le fece una scenata terribile perché l’auto sportiva, che curava come una figlia, era rimasta leggermente ammaccata • «Tu hai suscitato in me sensazioni mai conosciute, hai svegliato in me impressioni nuove; hai sconvolto insieme il mio cuore e i miei sensi; mi hai fatto conoscere veramente ciò che si chiama amore. Attraverso questo amore io sento di essere diventata oggi una donna completa. E, poiché lo devo a te, ti ringrazio moltissimo» (Pia in una lettera a Carlo Sacchi) • A un certo punto, otto mesi prima del delitto, Sacchi inviò una lettera circolare a sei delle sue amanti (tra cui la Bellentani) per troncare le relazioni che manteneva con tutte. In queste lettere, accanto al motivo per cui veniva abbandonata una signora (’perché ha il seno molle”), c’era quello per cui veniva licenziata la Bellentani: ”perché è troppo intellettuale” • Il pomeriggio dell’omicidio Pia ha paura di incontrarsi con Sacchi alla sfilata di presentazione della collezione inverno ”48 - ”49 della sarta milanese Biki. Ha una forte emicrania, non vuole andare. proprio la vedova Sacchi a convincerla. Pia si veste di bianco ed esce insieme al marito. Dirà poi «non so come, improvvisamente, mi tornò alla memoria la visione della ragazza morta vista a Sulmona» • L’omicidio. Pia Bellentani fulminò il cuore di Carlo Sacchi con una revolverata singolarmente esatta e implacabile, durante la sfilata di moda al Grand Hotel Villa d’Este a Cernobbio, sul lago di Como, la sera tra il 15 e il 16 settembre del 1948. L’industriale si trovò quella notte fra la moglie e le due amanti con cui aveva rapporti: Pia e Mimì. La ricostruzione: la sera della sfilata la moglie e le due amanti di Sacchi (la relazione con la Cozzi era nata nel 1946, dopo quella con la Bellentani e sembra che l’industriale si fosse innamorato sul serio, per la prima volta) conoscevano benissimo i legami che le univano. L’unico a ignorare tutto era Lamberto Bellentani. Sacchi si rivolse spesso, quella sera, alla contessa meridionale, con il solito tono ironico e mordente. La contessa si innervosì. Il pomeriggio Pia aveva avuto uno dei suoi soliti attacchi di emicrania: solo all’ultimo si era decisa a partecipare alla festa. A mezzanotte andò al guardaroba dell’albergo, ritirò un golf del marito, c’era, involtata, una pistola calibro 9, in posizione di sparo. Il conte Bellentani la portava sempre quando girava in automobile di notte e Pia indossava i suoi gioielli. Pia tornò nel salottino all’una e quaranticinque stringendo l’arma sotto il mantello di ermellino. Si sedette al bar a mezzo metro da Sacchi: ”Smettila di tormentarmi, altrimenti finirò per sparare!” gli disse. L’altro ribattè: ”Le solite tragedie, i soliti romanzi a fumetti dei terroni!”. S’udì un colpo, mentre le coppie danzavano nella sala, sulle note di Glenn Miller. Sacchi balzò in piedi, poi s’accasciò a terra, con il volto ancora atteggiato al sorriso. La Bellentani, puntandosi la pistola alla tempia, ripeteva: ”Non spara più! Non spara più!” Effettivamente l’arma s’era inceppata • «Ah, les italiens!», il barone Maurice de Rothschild, presente a Villa d’Este, poco dopo l’omicidio • Il colpo sparato dalla Bellentani raggiunse Sacchi al fianco sinistro, produsse una ferita del diametro di otto millimetri, si cacciò all’apice del ventricolo sinistro del cuore e produsse la morte istantanea. Una perizia balistica sulla pistola accertò una curiosa circostanza: Sacchi fu ucciso da un proiettile fiacco spinto da una carica avariata. Se la Bellentani non fosse stata così vicina e la pistola non fosse stata puntata esattamente a quell’altezza, probabilmente Sacchi se la sarebbe cavata con poco • Subito dopo il colpo Sandra Cozzi Guidi si buttò su di lui chiamandolo con parole di innamorata; la moglie di Sacchi le ingiunse di allontanarsi; la Bellentani fu presa a schiaffi; ricevette spruzzi d’acqua fredda in faccia • «Improvvisamente sorse in me il desiderio di farla finita. Pensai di uccidermi davanti a Sacchi, il quale avrebbe dovuto portare lui la colpa di avermi rovinato l’esistenza» (la Bellentani nella prima deposizione la notte dell’omicidio) • ”Quella notte, a Villa d’Este, una sola parola buona, anche bugiarda, sarebbe bastata ad evitare il dramma” (Il Procuratore Generale Antonio Tribuzio nella requisitoria al processo di I grado a Pia Bellentani) • «L’ho ucciso per amarlo in eterno» (Pia Bellentani) • I sulmonesi commentarono il fatto così: ”Ha voluto esser contessa ad ogni costo? Ecco quel che le è successo!” • Il processo. Processo alla Corte d’Assise di Como, il 3 marzo del 1952. La giuria popolare: due magistrati, tre ragionieri, due commercialisti, un ingegnere e un insegnante. Presidente della corte d’Asssise il dottor Ezio Obrekar, accusa al Procuratore Generale Antonio Tribuzio e agli avvocati della signora Willinger Umberto Ostorero ed Edoardo Orsenigo. Difesa all’avvocato Angelo Luzzani. La Bellentani non si presentò mai in aula. La difesa sostenne l’infermità mentale. Per farlo presentò il memoriale del prof. Saporito, sette fascicoli, complessivamente 626 pagine, che richiese ben sedici mesi e mezzo di lavoro e accertò che: il padre le trasmise una grave infezione, la madre fu affetta da esaurimenti nervosi, fra gli avi del ramo paterno ci furono pazzi. Nel suo memoriale, inoltre, il prof Saporito diede ampio spazio al "brogliaccio", un poemetto in versi scritto dal Sacchi in dialetto che ripercorreva le storie delle sue amanti, con un linguaggio molto spinto e volgare. Definito dal professore «diabolico travaglio.... tanfo nauseabondo... turpe e immonda melma... porco in brago» • «Purtroppo in questo scollacciattissimo canzoniere erotico si imbattono i flebili, malinconici, ingenui e affligenti endecasillibi di una donna che dopo sette anni di matrimonio, pur senza rendersene conto, è ancora in attesa dell’amore. La languida, delicata, tetra pecorella incontra il sanguigno e spavaldo lupo che esce dalla bettola intonando canzonacce da caserma. Che ne poteva derivare di buono?» (Dino Buzzati, Il Nuovo Corriere della Sera, 1° luglio 1951) • Per l’accusa si trattava di omicidio volontario. Le spiegazioni fornite dalla Bellentani in merito all’omicidio furono molte. Appena arrestata raccontò che il colpo era partito accidentalmente (non era possibile perché la sicura della pistola era inserita, testimonianza del marito); poi disse che aveva preso la pistola per ucciderlo se non avesse cambiato atteggiamento, «quella sera era stato molto scorretto». Quando «Sacchi mi rispose con arroganza; sparai: volevo suicidarmi subito dopo, ma l’arma non funzionò». Ritrattò poi questa versione sostenendo che gliel’avevano estorta • Pia Bellentani, che durante tutto il processo rimase chiusa nel manicomio giudiziario di Anversa, lo stesso che ospitò la saponificatrice di Correggio e una delle sorelle Cataldi, assassine di bambini e che divideva la cella con Maria Comel, arrestata per aver sgozzato il figlio di 9 anni, Camillo, che il marito voleva portarle via. Una folla costante si accalcava nell’aula, una trentina di donne si stringevano nel gabbiotto che avrebbe dovuto ospitare l’imputata, sempre vuoto. Condannata a 10 anni, poi ridotti a 7 e 10 mesi. In prigione lesse molto e si dedicò a confezionare regali per le sue bambine. Una volta preparò due piccoli arredamenti in stoffa per la loro casa delle bambole, un’altra scrisse una fiaba su trenta cartoncini, legati da nastri rosa e illustrati con figurine. Si distraeva anche con la musica, e passava lunghe ore suonando Chopin o Liszt. Il 23 dicembre 1955 Pia Bellentani, graziata dal presidente della Repubblica, lasciò con sei mesi d’anticipo il manicomio giudiziario di Anversa, a 39 anni. Il conte Bellentani, che per sfuggire allo scandalo si era trasferito a Montecarlo, trovò la morte tra il 29 e il 30 luglio del 1963