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 2010  maggio 12 Mercoledì calendario

ECCO DRAQUILA!

Dopo ore e ore di trionfale diretta televisiva arriva la doccia fredda. Tutto quello che avremmo voluto sapere sul terremoto dell’Aquila e non ci hanno raccontato è nel documentario di Sabina Guzzanti Draquila, l’Italia che trema, evento speciale al Festival di Cannes (sugli schermi italiani dal 7 maggio). Un pugno nello stomaco. Perché, da quello che si vede nel film, sembra veramente troppa la durezza con la quale vengono trattati gli aquilani nelle tendopoli, che paiono cittadini di serie B, privati del diritto di associarsi e discutere. Film-verità o provocazione politica?
LA GAUCHE APPLAUDE
E come reagirà il pubblico francese, molto attento alle vicende politiche italiane, come si capisce dal gradimento che ha sempre riscosso in Croisette Nanni Moretti? «Fuori dal nostro Paese», dice la Guzzanti, battagliera emula di Michael Moore, «sono curiosi di capire che sta succedendo, anche perché è un modello pericoloso, è una deriva della democrazia che va arginata, finché si è in tempo. Ho voluto fotografare un particolare momento storico, anche se so che un film non cambia il mondo».
Sabina, com’è nata l’idea di girare un documentario all’Aquila?
«Stavo facendo un lavoro sulle ragioni per le quali la sinistra si è disintegrata quando una mia amica mi dice che un aquilano fa strani discorsi che potrebbero interessarmi».
Strani discorsi? C’è stato un fiorire di leggende metropolitane.
«In parte leggende metropolitane, in parte stupidaggini, ma anche le prime indiscrezioni sulla Protezione civile. Arrivai all’Aquila e mi trovai di fronte a una specie di esercito di occupazione. C’era di che fare un film».
INTERVISTE SUL CAMPO
Che la Protezione civile assommasse compiti eterogenei, come la gestione delle calamità e quella dei cosiddetti grandi eventi, l’opinione pubblica lo ha appreso con lo scandalo scoppiato a febbraio. Lei ne sapeva niente?
«Quando io ho cominciato le riprese, a metà luglio, nessuno sapeva niente. Ma dalle circa 700 interviste fatte sul campo si delineava, a mano a mano, un fenomeno inquietante. La storia va avanti dal 2001: di fatto, è come se si fosse formato una specie di Stato parallelo, con poteri straordinari, e il Parlamento non l’ha mai discusso».
Ma lei che metodo di lavoro applicava?
«Andavo qua e là, a sentire la gente e poi, vagliate le testimonianze, approfondivo le ricerche».
Work in progress?
«Chiamiamolo così. Adesso è tutto più chiaro, dopo gli scandali e l’avvio delle indagini. Ma allora il lato negativo della Protezione civile non era raccontato da nessuna parte. Scavavo, facevo domande con difficoltà. Gli addetti alla Protezione civile, quelli che si fanno davvero in quattro per aiutare la gente, hanno tutti una paura che se li porta via. Se qualcuno ti dice qualcosa vuole le telecamere spente. Ci sono casi di mobbing. Il rappresentante sindacale della Cgil, per aver fatto delle dichiarazioni critiche, è sull’orlo del licenziamento». Scusi, ma se uno sul campo si accorge che qualcosa non va, come prima cosa cerca di parlare col capo.
«Ho chiesto un incontro a Guido Bertolaso, spiegando, lealmente, anche il taglio del mio lavoro. Mi aveva promesso un’intervista, asserendo di poter spiegare tutto. Aggiunse anche che avrei potuto documentare una sua giornata tipo, se-guendolo con le telecamere. Ma l’appuntamento è sempre slittato».
Lo spaccato della vita in tendopoli, come lo ricostruisce il suo lavoro, mette i brividi. Vediamo gente ridotta in spazi angusti, irregimentata alla maniera militare, che non può muoversi, non può manifestare la propria volontà. Davvero le cose stavano così?
«Furono i ragazzi del campo autogestito, il 332, a parlarmi, un po’ scherzando, di quella vita da segregati. Sa, i ragazzi che al G8 stesero lo striscione con la scritta Yes we camp? Prima di dar per buone le loro osservazioni ho voluto ascoltare gente più grande, di diversa estrazione sociale. Anche gente che vota a destra e che era visibilmente scioccata».
LUTTO E SOLITUDINE
Che cosa succedeva nelle tendopoli?
«La cosa più grave, a mio parere, era l’impossibilità di riunirsi per parlare del proprio futuro, per scambiarsi paure, speranze, indicazioni. Nei terremoti del Friuli, dell’Umbria, la gente si riuniva per discutere. All’Aquila no. Nei campi ci andava solo Bertolaso per dire: "Si fa così". Regolarmente chiudeva i suoi interventi sollecitando domande. Ma tu potevi solo chiedere un’altra coperta, una bottiglia di minerale in più».
Ma perché la gente incassa-va?
«Erano frastornati, avevano paura di essere messi nei container. Sa quelli dell’Irpinia? Oggi non ci sono più: i moduli abitativi provvisori, casette in legno, sono tutt’altra cosa. Con quella fobia si sono fatti sei mesi sotto le tende, quando normalmente nell’emergenza in tenda ci si sta due o tre mesi».
In sostanza lei boccia tutto l’intervento del governo?
«Ci sono 19 nuovi agglomerati, quartieri scollegati fra loro, senza viabilità, dove uno straccio di vita si riforma intorno al centro commerciale di turno. Li hanno creati senza criterio, senza sentire il parere degli interessati, col decisionismo del governo del fare, per avere un rientro d’immagine. D’altra parte, qualcosa lo spiegano anche i sondaggi usciti in quel periodo. Il premier era in difficoltà per gli scandali sessuali, le tensioni con la moglie: la ricostruzione dell’Aquila gli è calzata a pennello, come una grande ope¬ìrazione pubblicitaria».
Mi pare che lei, al tempo degli sketch, fosse più benevola col premier, dipinto come goffo cummenda pieno di dané...
«Si sbaglia, fin dall’epoca di Tunnel Berlusconi mi ha fatto impressione. Il suo disegno era chiaro fin da subito».
E perché la sinistra non l’ha capito? L’hanno sottovalutato?
«L’hanno sottovalutato. Pensano di essere intelligenti e purtroppo non lo sono. Sono stati anche affascinati e in alcuni casi anche peggio».
Lei però ha espresso solidarietà al premier, nell’occasione dell’aggressione a Milano.
«La violenza è sempre da condannare e la rifiuto. Ricordando anche chi ha usato violenza nella piazza di Genova. Ho sentito il bisogno di esprimere in maniera netta la mia posizione anche perché qualche volta mi accusano: ma la satira è satira e una sassata è una sassata».
NO ALLA POLITICA
Da quando la cacciarono dalla Rai è cresciuta la sua statura politica. Perché non si candida?
«Non è il mio lavoro. Inoltre chi oggi arriva in Parlamento non conta niente».
E Beppe Grillo? «Lui ha più mezzi di me e fa lo sponsor di ragazzi entusiasti, che hanno intenzioni migliori di quelli che ci ritroviamo sugli scranni di Montecitorio».
Sabina, lei ha un sorriso meraviglioso, però mi riesce difficile pensarla come una quieta praticante buddista.
«Si ricordi che il buddismo ha inventato i monaci guerrieri».