Bernardino Osio, Corriere della Sera 06/05/2010, 6 maggio 2010
LETTERE - LE RAZZIE FRANCESI DI OPERE D’ARTE
Invio alcune precisazioni alla lettera «Arte italiana in Francia, meglio lasciarla dov’ è» (Corriere, 18 aprile). 1) vero che già esistevano in Francia le collezioni reali, ricche di opere donate o legittimamente acquistate. Anche Napoleone III arricchì i musei in maniera più che lecita. Ma è anche vero che la Francia napoleonica razziò opere d’ arte in tutti i Paesi. Sofisti locali inventarono una teoria per giustificare moralmente tanto saccheggio. Sostenevano che «le opere d’ arte sono il patrimonio della libertà, che lo sguardo dei tiranni insudicia le creazioni del genio, esse devono essere depositate nella patria della libertà e della santa eguaglianza, nella Repubblica Francese». Sulla base di questa «graziosa» tesi, iniziò il «rimpatrio verso il Paese della libertà» di opere d’ arte di tutta Europa che non ha precedenti nella Storia dell’ Umanità: una vera e propria «Shoa» culturale. Prime vittime furono il Belgio e i Ducati di Parma e Modena, poi l’ onda si abbatté su Roma e gli Stati Pontifici che vennero letteralmente svuotati: il tesoro di San Pietro, i quadri delle chiese, le statue, la Biblioteca e l’ Archivio Vaticano: più nulla restò a Roma. L’ onore della Francia fu salvato in quegli anni dal filosofo Antoine Quatrèmere de Quincy che nel 1796, appena iniziata la Campagna d’ Italia, ebbe il coraggio di pubblicare le celebri «Lettres à Miranda» in cui esalta l’ Italia e Roma come un museo totale composto non solo dai monumenti, ma dai luoghi, dalle relazioni tra tutti gli oggetti, dal loro contesto e depreca la politica di spoliazione che giustamente considera contraria alla Dichiarazione dei Diritti del 1789. 2) Il Congresso di Vienna nel 1815 condannò la Francia alla restituzione integrale delle opere d’ arte. Il Papa Pio VII inviò a Parigi in missione diplomatica Antonio Canova che riuscì a rimpatriare almeno il 90% delle opere d’ arte. Restarono quadri che il Governo di Napoleone aveva disperso nei musei di provincia, ove sono ancora oggi facilmente identificabili. Canova si occupò solamente delle opere provenienti dagli Stati della Chiesa. Meno zelante fu l’ inviato dell’ Austria, tale barone Sala, che avrebbe dovuto recuperare tutto quanto proveniva dalla Lombardia e dal Veneto. Tornarono sì i Cavalli di San Marco e l’ Assunta del Tiziano, ma non le Nozze di Cana del Veronese barattata con un quadro di Scuola francese oggi all’ Accademia di Venezia. Sala dimenticò del Tiziano il «Cristo incoronato di spine» già alle Grazie di Milano, i Codici di Leonardo, la pala del Mantegna di Mantova, le predelle di San Zeno del Mantegna, e così via. La restituzione al Lombardo-Veneto fu molto parziale. I nostri leghisti - che tanto vantano la burocrazia austriaca - ne prendano nota. 3) Il lettore si chiede perché l’ Italia non ne chieda la restituzione. Io ritengo che dovrebbe farlo sulla base delle norme del Trattato di Vienna che, concernendo dei diritti dell’ uomo, sono imprescrittibili.
Bernardino Osio, Roma
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