Alessandro Gavazzi, Gente, 11 maggio 2010, pag. 27, 11 maggio 2010
IO MI RIBELLO: NON SONO UN MOSTRO
«La medicina non è matematica. Esistono vari approcci, varie visioni per la cura del paziente. Ma le accuse che mi sono state rivolte sono basate su dati parziali: solo sulle cartelle cliniche, senza far nè la storia del paziente né la valutazione del medico. E le perizie della procura sono state fatte senza visitare dal vivo un solo soggetto». combattivo, il dottor Pier Paolo Brega Massone. Ex primario di Chirurgia toracica della Santa Rita di Milano, assurta agli onori della cronaca come la "clinica degli orrori", è il grande imputato (insieme con altri nove tra medici e manager) del processo che nel 2008 ha investito la sanità lombarda. La sentenza è attesa per fine giugno, ma intanto lui ha già scontato 17 mesi di custodia cautelare a San Vittore. Accusato di lesioni volontarie e truffa, oltre che di aver procurato la morte di quattro dei suoi pazienti, per Brega la procura di Milano ha chiesto 21 anni di carcere. Polemico il suo difensore, l’avvocato Luigi Pomari. «Invece di spiegare con rigore scientifico per quali motivi sarebbero mancate le indicazioni chirurgiche nei casi contestati», dice il legale, «la procura ha preferito dipingere un quadro negativo della personalità del dottor Brega, estrapolandolo da brani di intercettazioni telefoniche, parziali e non riferibili ai casi trattati».
Intanto, in attesa dell’esito del processo, il medico ci ha ricevuti nella sua casa di Pavia. Per difendersi e per raccontare come è cambiata la sua vita da quando, da rispettato primario, è diventato un "mostro" capace di sottoporre ottanta pazienti a operazioni inutili pur di ottenere il rimborso economico dalla Regione. «A difendermi», sostiene Brega, «basta l’autorevole parere dei colleghi che ho voluto come periti: Franco Giampaglia, ex presidente della Società Italiana di Chirurgia toracica, e Ludwig Lampi, direttore della Chirurgia toracica di Monaco e membro delle Società europee di Chirurgia toracica. Ognuno dei casi contestati ha trovato sostegno nella letteratura scientifica internazionale: ognuno di quegli interventi aveva una sua indicazione chirurgica, nessuno dei periti mi ha detto "Io non avrei agito così"».
Quando il caso scoppiò, le cronache raccontarono di inutili asportazioni di polmoni. «Parlare di resezione dell’intero organo è una strumentalizzazione. Ho asportato noduli, questo sì. Ma sempre a fine diagnostico o curativo. Mi si contesta di aver operato patologie curabili con i farmaci. ovvio che la polmonite non si opera. Ma in certi pazienti può comportare l’insorgere di noduli polmonari. A quel punto il medico deve stabilire l’origine di quelle formazioni e la diagnosi è difficoltosa. Potrebbe anche trattarsi di un tumore. Ci vuole la biopsia, e pertanto un intervento, per stabilirlo. Ma se questo esame da esito negativo, accertando che il paziente è affetto da una patologia meno grave del previsto, si può forse dire che il chirurgo ha eseguito una procedura inutile? Cosa comporterebbe per il paziente se quel nodulo nascondesse un tumore e i suoi medici non ottenessero una diagnosi sicura? Anche i quattro casi di tubercolosi erano dubbi. Sono arrivati da me senza una diagnosi. Li ho portati in sala operatoria per accertamenti sulla loro patologia e solo grazie a questi esami hanno potuto curarsi».
Tra i casi che più avevano impressionato l’opinione pubblica, quello di una 18enne sana alla quale Brega avrebbe asportato un seno. «Veramente io le ho tolto un nodulo di due centimetri, che poi si è rivelato un fibro-adenoma benigno. La mammella è integra, simmetrica e senza alcuna cicatrice visibile. E attenzione: questi rilievi non sono miei, ma del medico legale della ragazza». Le accuse più gravi comunque sono per omicidio volontario. «Si trattava di quattro pazienti gravemente ammalati, alcuni sono deceduti subito dopo gli interventi palliativi cui li avevo sottoposti per alleviare le loro sofferenze, come impone la comunità scientifica. Ma è stata la malattia a ucciderli, facendo il suo decorso, certo non io».
Non solo: lo scandalo Santa Rita sarebbe legato ai DRG, cioè al sistema di rimborsi che la Regione fornisce alle strutture private. E Brega aveva uno stipendio basato, appunto, sul numero di interventi. Un metodo poco trasparente? «Non si trattava di una libera scelta. Potendo scegliere, avrei optato certo per la tranquillità di uno stipendio fisso, piuttosto che un "salario a cottimo". Si tratta poi di un’arma a doppio taglio, che faceva più comodo all’amministrazione che a noi medici».
In che senso? «L’equipe chirurgica, composta da tre o quattro elementi, riceveva un rimborso pari al 9 per cento lordo per ogni intervento. Dunque il 91 per cento rimaneva alla clinica. Ogni paziente operata al seno "rendeva" alla équipe di Chirurgia toracica circa 170 euro. Nei 33 mesi che mi sono stati contestati, ho operato 450 pazienti. Se avessi voluto lucrare facendo interventi inutili su 80 di loro, avrei ricavato con questo sistema al massimo 700 euro lordi mensili. Secondo lei un primario rischia di rovinarsi la carriera e di incorrere in accuse tanto gravi per così poco?». A gettare ombra sul dottar Brega e sui suoi colleghi furono soprattutto gli stralci di intercettazioni telefoniche pubblicate dai giornali. «Dimostravano totale disprezzo verso i pazienti», ha detto il pm Tiziana Siciliano. «Quelle intercettazioni», si difende il dottore, «erano "frasi" strumentalizzabili, estrapolate in toto dal contesto di una lunga telefonata che aveva un senso completamente diverso dalla interpretazione che se ne è voluta dare. In altri casi la intercettazione era addirittura falsificata nel suo contenuto».
Ma non c’è solo la reputazione compromessa. «Ci sono quei 17 mesi di carcere già scontati», dice l’ex primario, «che hanno fatto soffrire la mia famiglia e hanno complicato la mia difesa. Mia moglie Barbara, ha dovuto affrontare, sola con la nostra bimba di 6 anni, un clima di accuse infamanti». E ora, come vede il futuro? «Per adesso mi sono autosospeso dall’Ordine dei Medici. Tengo a dire che non ho mai ricevuto denunce da nessun mio paziente, prima dell’inchiesta. Tutti i processi per malasanità partono dalla protesta della parte lesa. Il mio no. E io sono sicuro di aver sempre agito secondo scienza e coscienza».