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 2010  maggio 07 Venerdì calendario

GHIRRI IL MONDO ALLA ROVESCIA

Luigi Ghirri è nato a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, nel 1943, ed è morto a Roncocesi, nel 1992, all’età di 49 anni… Era nato in campagna e ha vissuto in campagna fino a diciott’anni… Di quell’epoca ricordava i film proiettati alla sera contro un muro, da un camion che girava per i cortili. Ricordava i quadri d’un suo zio pittore, che una volta lo aveva ritratto come angelo. Ricordava una nonna dalle lunghe sottane, con cui andava a raccogliere argilla per fare mattoni con lo stampino. Ricordava un grande caseggiato settecentesco, dove s’erano rifugiate altre famiglie di sfollati, come la sua. Ricordava i libri illustrati, la sua fascinazione a guardare immagini di luoghi lontani…
Nel 1960 è andato ad abitare in città, a Modena. Quelli a Modena sono stati gli anni più difficili… Verso il 1968 lavorava per una società immobiliare, in uno di quei nuovi palazzoni di vetro che gli facevano orrore. Mentre era al lavoro spesso si chiudeva nel gabinetto a leggere: «Ghirri, venga fuori, lo sappiamo che sta leggendo!». Era già l’uomo distratto che poi è sempre stato. Certi suoi atti di distrazione sono rimasti leggendari. Ma soprattutto leggeva, leggeva… le pagine dei suoi libri sono piene di orecchie, nei punti che gli interessavano. Finché, nel 1972, abbandona il lavoro di geometra, apre uno studio grafico, e si dedica alla fotografia. Una prima mostra, quasi casuale, nella saletta di un albergo a Modena… Passa di lì un critico con gli occhi aperti, Massimo Mussini, e scopre le prime foto di Ghirri… foto diverse da tutte quelle in circolazione. Ne parla con Arturo Carlo Quintavalle, subito entusiasta della scoperta.
Ghirri, ventitreenne, ancora chiuso in sé, infagottato in abiti cittadini che mostrano il suo spaesamento, trova i primi interlocutori. Alcuni anni dopo, Quintavalle, assieme a Mussini, organizzerà una rassegna del suo lavoro, con 700 foto, e un memorabile catalogo pubblicato dall’editore Feltrinelli. Fotografava cose a cui nessuno bada. Fotografava le strade che percorreva per andare al lavoro. Oppure fotografava quello che aveva in casa, i propri libri, gli atlanti, le cose più a portata di mano. Per lui la foto doveva ridare dignità alle cose… doveva sottrarle agli schemi, ai giudizi sbrigativi di chi non guarda mai niente.
Fin dalle prime mostre, comincia a scrivere le presentazioni dei propri cataloghi. E qui viene fuori un altro aspetto di questo strano uomo… cioè un uomo normale, ma pensante… Ben pochi fotografi e artisti hanno avuto una così spiccata tendenza a pensare e ripensare tutto. Pochi si sono lanciati in una così ardita riflessione teorica… Questo l’ha portato a riformulare tutto il senso, l’uso e le funzioni della fotografia. Ghirri parlava d’un modo di abitare il mondo diverso da quello urbano. Il mondo urbano è frettoloso, disattento alle cose… Le sue prime fotografie erano sorprendenti perché mostravano un’attenzione alle cose che è quella di un abitante delle campagne. Ritagli di cieli, oleografie casalinghe, altri oggetti senza importanza… ma in quelle foto spuntava un modo di guardare che era, per noi e per molti, una rivelazione. Quello che l’aveva ispirato, fin dall’inizio, più di qualsiasi altra cosa, era l’entusiasmante scoperta della fotografia americana… soprattutto la scoperta delle foto di Walker Evans. /
Si può dire che le foto di Walker Evans siano state, per lui, una salvezza, un punto di ancoraggio, una filosofia di vita, e anche un modo per riflettere sugli aspetti urbani e campagnoli che convivono nella storia della fotografia. A Fontanellato, nel castello, c’è una camera oscura, come quella che abbiamo nelle nostre macchine fotografiche, ma grande da contenere cinque o sei persone. Probabilmente questa camera oscura risale al Seicento. Nel muro c’è un foro: la luce passa attraverso un obiettivo e proietta su uno schermo l’immagine della piazza ribaltata. Ghirri tornava spesso in questo luogo, e diceva che era come entrare in una macchina fotografica. Diceva che non c’e niente di nuovo nella fotografia, perché gli uomini hanno sempre conosciuto questo modo di guardare il mondo… questo modo di vedere il mondo attraverso le sue ombre ribaltate contro una parete… Diceva che una foto è solo un’immagine vaga del mondo, come l’ombra d’una macchina che passa e si proietta su un muro.
In una intervista diceva: «Tutti i marchingegni per ridurre e fissare la visione non potevano sorgere che in una civiltà urbana… la civiltà urbana che ha bisogno di vedere un mondo alla rovescia, come il doppio del mondo visto… Nella civiltà contadina nessuno sentiva il bisogno di creare un mondo alla rovescia, perché in campagna tutti lo vedevano dovunque… Lo vedevano nei fossi, nei pozzi, negli stagni, nelle ombre». Diceva che il mondo alla rovescia – cioè quel riflesso ribaltato che noi vediamo dentro l’obiettivo fotografico – era parte del comune modo di vedere nella vita di campagna. Era come la luna riflessa in un pozzo, come una figura che vediamo nelle nuvole… Cioè era l’altro mondo, che è sempre con noi e attorno a noi, nelle ombre e nelle visioni della mente. Per cui non c’era bisogno di inventarlo o di crearlo come un doppio del mondo reale. Non c’era bisogno di tutto questo illusionismo, a cui si corre dietro nella vita cittadina.
Ha sempre detto che il suo punto di partenza è stata la prima foto della Terra scattata dalla Luna… la foto del nostro pianeta visto dalla navicella spaziale, nel 1969. Qui, per la prima volta, l’uomo vedeva l’immagine della globalità del mondo. Ma, in realtà, diceva Ghirri, quella foto non aveva niente di intelligibile. L’immagine della Terra vista dalla Luna era l’immagine della globalità. Ma per Ghirri rappresentava anche l’idea d’una duplicazione totale del mondo, attraverso le immagini. E questo ci fa credere che il mondo sia già tutto conosciuto, tutto catalogato, uniformato… Oggi lo chiamano globalismo. Ecco allora che lui va in una direzione opposta, con la sua piccola Olympus Pen, 18x24. Gli interessava tutto quello che è parziale, frammentario… Tutto quello che mostrava l’infinita diversità dei punti nello spazio… Tutto quello che sfuggiva all’uniformazione attraverso le immagini del mondo…
Ghirri era un uomo molto distratto, come se fosse sempre assorto nelle sue fantasie. Per anni ha viaggiato su Volkswagen scassate, di seconda mano, che morivano regolarmente per strada… a volte piantandolo su un’autostrada straniera, senza un soldo in tasca… In mezzo a una confusione di debiti, di pignoramenti, si dimenticava di pagare le multe… Gli portavano via la macchina, non se ne accorgeva neanche… Le sue multe mai pagate, dimenticate subito, continuano ad arrivare a casa sua ancora adesso. Ma era anche un uomo pratico e ostinato. Una volta l’hanno chiuso in manicomio per un giorno. I dottori volevano che diventasse matto, ma lui se l’è cavata… Ha cambiato vita, ha cambiato mestiere. Ha fondato una casa editrice per pubblicare libri fotografici, assieme a Paola Borgonzoni, Claude Nori e Giovanni Chiaramonte… Immediatamente subissato dai debiti… Un direttore di banca un giorno gli ha detto: «O lei torna con sua moglie, o le chiudo il fido bancario». Ha continuato, ha pubblicato il suo primo libro, Kodachrome, nel 1978. /
 morto improvvisamente, in un’alba d’inverno, dopo che un dottore gli aveva detto che stava benissimo. Forse è morto soltanto di stanchezza, perché negli ultimi tempi ne faceva troppe. Anche lui, come Alberto Giacometti, è morto a forza di lavorare, di pensare, di ricercare, senza risparmio. Infine… Lo ricordo in una serata primaverile, nel 1988, a Venezia. Camminava per una calle assieme al grande fotografo americano William Eggleston. Eggleston molto alto, magro, elegante, con la dignità del gentiluomo americano del Sud. Vicino a lui Ghirri, che gli arrivava alla spalla, vestito nel modo più casuale… calzoni di velluto, giacca un po’ sformata… Ricordo come si parlavano, ognuno con la sua postura, senza cercare l’attenzione dell’altro. Si parlavano come due vecchi compagni di strada. Forse entrambi feriti dall’aria del nostro tempo… Loro due, grandi contemplatori… Uomini disarmati, come sospesi nella loro aria.