BEATRICE RASPA, La Stampa 7/5/2010, pagina 23, 7 maggio 2010
IO SPORCATA PER SEMPRE DALL’ACCUSA DI PEDOFILIA
L’inchiesta
Sei maestre, un bidello e un sacerdote finiscono sotto indagine a Brescia nel novembre 2003. Il motivo: in un asilo comunale 23 bambini sarebbero stati vittime di abusi per produrre foto e video pedopornografici. Due insegnanti della scuola materna Sorelli finiscono in cella.
L’assoluzione
Nel 2007 gli imputati sono assolti «perchè il fatto non sussiste». Ieri il verdetto della Cassazione: conferma gli otto proscioglimenti decisi in appello.
Gioire? E come faccio? Mi è rimasta addosso una tale fragilità. Una sensazione che chiunque in qualsiasi momento potrebbe farti del male o giudicarti colpevole».
Daniela ha 47 anni, un figlio di 25 che va all’università, una grande passione per i bimbi. Ha lavorato a contatto con i piccoli, a scuola, da subito, appena conseguito il diploma di maestra. Poi un giorno, dopo oltre vent’anni, la sua vita è cambiata. I genitori di quei bimbi che teneva in braccio e faceva giocare da sempre 7 anni fa hanno cominciato ad avere paura di lei. A sospettare che forse dietro quella voce cristallina si nascondesse un orco. Un mostro. Una donna che riservava oscene attenzioni agli allievi, partecipando a un agghiacciante scenario di pedofilia consumata all’asilo tra satanismo, botte, sevizie con i mozziconi di sigaretta, fughe da scuola con i malcapitati sottobraccio per portarli da misteriosi «uomini neri» pronti ad abusarli e filmarli. Una donna da denunciare alla polizia.
Daniela ha vissuto così, col marchio della perversione, dal 2003 al 2010. Ieri la Cassazione ha scritto la parola fine. Assolta «perché il fatto non sussiste», come era stato decretato dal verdetto di primo grado, il 6 aprile 2007, e in appello, il 31 marzo 2008. Lei, altre 5 maestre della scuola comunale di Brescia Sorelli e un sacerdote di una parrocchia vicina sono stati riabilitati. La terza sezione penale, rigettando il ricorso della procura generale e delle parti civili, ha chiuso definitivamente un caso che per quasi un decennio ha spaccato Brescia.
Inchieste, centinaia di udienze, tensioni in aula, fiaccolate, petizioni, denunce per diffamazione. Ieri a poche ore dalla notizia della sentenza che l’ha fatta uscire dall’incubo, Daniela ha accettato di ripercorrere la sua odissea. Oggi è una donna provata ma è una combattente.
«La mia vita a 40 anni è stata ribaltata – confida – ma ho cercato di non farmela rovinare del tutto. Certo, molte cose sono rimaste. Prendo psicofarmaci, per due anni sono uscita da casa solo accompagnata. Per oltre due mesi non ho avuto il coraggio di avvicinarmi ai miei nipotini. Mi sentivo sporca anche se non avevo fatto nulla». Per lei, per le 5 colleghe e il sacerdote, i pm avevano chiesto condanne per 125 anni.
«Siamo stati perseguiti per fatti che non esistono – sottoliena Daniela - gli inquirenti non hanno mai cercato prove a nostro discarico. Eppure gli elementi non mancavano. In aula avevo i carabinieri dietro che mi rassicuravano, portandomi il caffé e dicendomi che in 200 udienze di prove non ne avevano ancora sentite. Perché nessuno ha mai scritto la parola fine prima? Chi mi conosceva per fortuna mi ha sostenuto. E anche molti altri. Ho conosciuto gente meravigliosa. Sono stata costretta a cambiare lavoro ma anche ora è difficile, non posso avvicinarmi alle mamme con bambini in braccio». Ma c’è qualcuno che ha la colpa di tutto questo? «Non so, forse gli psicologi e i periti incompetenti. Se c’è un bambino da salvare non si fa così. Non accusando persone innocenti. Non mentendo in aula, come ho sentito fare a certi genitori, anche se capisco la paura».
La vicenda è esplosa nel 2003, quando al Sorelli si è diffusa la voce di un trasferimento di alcune maestre da un altro asilo comunale, l’Abba, nella bufera per un caso di presunta pedofilia (poi smontata). Una mamma, raccolte le confidenze dalla figlia, ha fatto da detonatore per quella che i giudici non hanno esitato a definire un crescendo di psicosi collettiva, un contagio emotivo. L’indagine, suddivisa in due tranche, nel tempo è approdata solo ad archiviazioni e assoluzioni. I racconti, le perizie su luoghi e persone – trovati segni compatibili con abusi su 4 bimbe – hanno denotato «carenze investigative» e sono stati bocciati.