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 2010  maggio 07 Venerdì calendario

MUORE YAR’ADUA

Lo chiamavano «Baba go-slow», papà va piano. Aveva promesso molto, forse troppo, quando era stato eletto tre anni fa alla presidenza del Paese più popoloso dell’Africa, la Nigeria: lotta alla corruzione, riforma elettorale, sviluppo delle infrastrutture, portare l’energia elettrica a tutti, riforma del settore petrolifero che offre al Paese il novanta per cento delle sue rendite ma ne è anche la dorata maledizione. Era «il regno della legge» lo slogan di Yar’Adua che è morto ieri dopo una lunga malattia. Poco è stato fatto: Baba go-slow andava davvero piano, troppo per un Paese insanguinato da guerre tribali, religiose e petrolifere, incatenato a una scandalosa miseria, stritolato dalla corruzione da uccelli di rapina della vita pubblica, l’unico partito che qui non conosce differenze di fede o di tribù. Insidiato perfino dai brividi del terrorismo internazionale firmato Al Qaeda. La Somalia del terzo millennio, seduta su un mare di petrolio.
In questo caos rovente Yar’Adua era un piccolo punto di stabilità, perfino una speranza: «Un disastro», ha definito la sua morte Henry Okah, il capo carismatico del maggiore movimento ribelle del delta del Niger, dove l’estrazione del petrolio ha ucciso la vita e la speranza di coloro che lo abitano e riempito i conti in banca di politici, trafficanti, compagnie internazionali e gangster. Okah aveva creduto alle promesse del presidente nordista quando aveva garantito l’amnistia a chi deponeva le armi. Era stato lui a tirarlo fuori di prigione, dopo dieci anni, e a strappargli dopo uno storico incontro, la promessa di un cessate il fuoco. Ventimila ribelli del delta, micidiali operai di una guerriglia condotta a colpi di rapimenti di tecnici delle compagnie straniere e di attentati agli oleodotti, hanno deposto le armi. Oggi, appena un anno dopo, tutto è tornato nella «normalità». La razza padrona è sempre al potere, movimenti più radicali, in assenza di risultati, hanno scavalcato Okah che accusano di essersi lasciato giocare: e il cessate il fuoco è stato revocato.
Yar’Adua rappresentava ancora la fragile linea che divideva la Nigeria dal caos definitivo. La sua malattia è diventata per questo un macabro caso politico che ha scavalcato i confini dell’assurdo. Ricoverato in Arabia Saudita, il presidente è scomparso, si è trasformato in un fantasma. Tanto che si è diffusa la voce fosse morto da tempo e che la notizia venisse tenuta segreta. Ogni tanto una cassetta registrata con la sua voce veniva trasmessa alla radio per dimostrare che era ancora in vita. L’ottavo esportatore mondiale di petrolio per sei mesi è rimasto in pratica senza guida. Mentre la folla ad Abuja manifestava per le strade invocando la successione, guidata dal premio Nobel per la letteratura Soyinka.
Il vero merito di Yar’Adua in fondo era scritto nel suo luogo di nascita e nella sua fede: nordista e musulmano, governatore di una delle regioni dove aveva fatto entrare in vigore la sharia. In questo gigante tagliato a metà dalla frontiera implacabile tra islam e culti cristiani e animisti, dove il Nord povero accusa i sudisti di monopolizzare a loro vantaggio il dono del Signore, l’oro nero, era in grado di evitare la secessione. La guerra civile, quella, si svolge da anni ogni giorno con migliaia di morti, incendi di chiese e moschee, pulizia etnica e religiosa. Ma la parola finale che scatenerebbe massacri ancora più apocalittici, separazione, su cui soffiano giganteschi interessi politici ed economici non solo interni non è stata ancora pronunciata.
L’uomo che ieri ha prestato giuramento per sostituirlo con la promessa che tra un anno si svolgeranno nuove elezioni ha invece un difetto; è un sudista, un cristiano dei territori zeppi di petrolio. Per questo la prospettiva che diventasse presidente ha scatenato selvagge resistenze. Goodluck Jonathan, 52 anni, all’inizio, molti anni fa, era un semplice zoologo. La sua carriera, dicono, è figlia di incredibili combinazioni del destino, secondo i suoi estimatori. Di un’ambizione senza limiti, secondo chi lo detesta. diventato governatore perché il suo predecessore è stato arrestato per corruzione. Fu promosso alla vicepresidenza perché il partito al potere, il Pdp, aveva bisogno durante al campagna elettorale che fu vinta da Yar’Adua di un cristiano da sbandierare. Con uno stetson perennemente calcato in testa, ha fama di essere uno degli uomini meno corrotti del Paese, che in Nigeria equivale più o meno alla santità. Ma non di un santo ha bisogno il Paese per salvarsi, ma di un genio politico. Goodluck ha un anno per tentare.