ADRIANO SOFRI, la Repubblica 6/5/2010, 6 maggio 2010
L´ULTIMA ODISSEA
"La tragedia greca": si aprono così i telegiornali, e forse non si accorgono nemmeno del doppio senso del titolo. I primi morti ad Atene erano solo questione di ore, negli scontri infuocati fra polizia e manifestanti: e non sono venuti né fra i poliziotti, né fra i manifestanti, che li hanno provocati. Morti "di nessuno", morti di tutti noi.
facile il sarcasmo sull´Europa che trasforma in euro tutto ciò che tocca, e ne muore. Dopotutto, l´Europa si è unita su ciò che aveva di più caro, il portafoglio. Non bastava, però. Sulla loro moneta da due euro i Greci hanno effigiato Zeus che rapisce Europa. Le cose finiscono dove cominciarono. Una china fatale, il fato è a casa sua.
Papandreou ha chiesto giorni fa ai Greci di prepararsi a una nuova Odissea. – mi racconta Filippomaria Pontani - quasi un´abitudine della Grecia e dei suoi poeti, questa della "seconda Odissea", come la chiamò Kavafis in una delle tante poesie che non pubblicò. Continuare l´Odissea, lo fece Katzanzakis in un gigantesco poema, e Tasos Livaditis aggiunse al poema di Omero un venticinquesimo canto, quasi un presagio del 2001 di Kubrick: l´uomo si porta dietro nello spazio le molliche di pane spartite coi compagni di prigionia.
Continuare l´Odissea, non fermarsi a Itaca. Tante volte, osserva Pontani, il giovane filologo editore di Omero e dei poeti moderni che conosce come pochi la Grecia antica e quella contemporanea, la Grecia moderna è andata al fondo di eventi sul cui orlo noi ci siamo fermati: nel referendum del 1946, anche lì sospetto di trucchi, in cui prevalse la monarchia; nella guerra civile, che infierì dal 1945 al ´49; nel colpo di Stato dei colonnelli del ´67, a metà strada fra quelli tentati da noi. La cosa si ripete oggi, e la campana suona per noi e l´intera Europa. Che proprio la Germania abbia fatto precipitare le cose, per calcolo o più probabilmente per insipienza, fa esplodere il risentimento dei Greci contro un mondo che già più volte li ha soggiogati. Non è solo la storia di ieri, dell´occupazione durante l´ultima guerra (che andrebbe assieme a quella, spesso taciuta o abbellita dall´idea di "fraternità" mediterranea, degli Italiani nel Dodecanneso dal 1912 al ´45). Lo Stato stesso nacque nel 1833 con un re tedesco e un´ideologia straniera, che riempì Atene di edifici neoclassici e "bonificò" l´Acropoli dal minareto turco e dalla Torre dei Franchi. Nei giorni scorsi sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung c´era un disegno del Partenone con la bandiera turca e il venditore di kebab: una di quelle vignette di cui, blasfemie a parte, si potrebbe fare a meno. Ci furono davvero, bandiera turca e kebab, e dopo che ne furono cacciati un architetto tedesco arrivò a progettare la costruzione della reggia di Ottone sull´Acropoli.
Di fatto l´identità "bizantina", la continuità di una storia, non fu pienamente recuperata prima della fine dell´Ottocento, e almeno da allora le scissioni fra l´ellenico e il bizantino, fra il pagano e il cristiano, fra l´europeo e l´orientale, sono aperte e ininterrotte nell´animo greco.
Ancora poco fa – sembra preistoria - l´Europa fingeva di discutere di radici giudaico-cristiane o greco-romane. I greci sono anche cristiani, e si sono a lungo confrontati con la concorrenza fra Dioniso e Cristo. Quella concorrenza è stata vitale, più a lungo e profondamente che da noi con la romanità. Ma anche nei sensi peggiori: la "cultura elleno-cristiana" fu lo slogan ufficiale dei sette anni della dittatura dei colonnelli, quando la retorica reazionaria voleva far passare comunisti e dissenzienti per "slavi", "altri" – e non importa che gli slavi fossero a loro volta cristiani.
Come sempre, i dilemmi sono più evidenti fuori contesto, nell´emigrazione: e al cinema la commedia ne trae linfa vitale, come nel "Grasso, grosso matrimonio greco" o in "Soul Kitchen". Ma nella meno allegra realtà, gli anni ´70-´80 del Novecento sono stati uno spartiacque, fra una dignitosa povertà e una ricchezza indigerita. Caduti i colonnelli, è come se il paese si fosse sdoppiato, fra la diaspora degli emigrati e i cambiamenti interni. Chi aveva difeso nelle patrie di adozione la radice mediterranea, la tradizione contadina, la voglia di far festa – gli addebiti mossi oggi in nome del rating - non riconosceva più il suo posto nella società mutata. Sembrava loro che l´accesso all´Europa si pagasse con la rinuncia all´identità. Certe dinamiche vanno oltre la politica. Ci fu un momento, negli anni ´90, in cui l´economista del Pasok Kostas Simitis si sforzò di mettere i conti sotto controllo: avvenne l´ingresso nell´euro, ma anche lì, si scoprì poi, erano stati fatti dei trucchi, e comunque non cambiò il regime delle dinastie famigliari secolari e della corruzione. L´assurda impennata del debito provocata da ultimo dalla destra conservatrice di Karamanlis non toglie un fondo di responsabilità comune alle diverse maggioranze.
Molti Greci sono offesi e infuriati. Hanno sacrificato un´idea di sé – non una mezza idea, ma l´idea di due metà – per stare in Europa, e si sentono dall´Europa messi in riga con un ultimatum o cacciati. Finché posto e pensione reggono, si può anche tenersi uno status quo disprezzato. Ma quando vengono messi a repentaglio, e con la sensazione di una manovra di odiate potenze occidentali, ogni deriva diventa possibile, anche quella dell´uomo "nuovo" e forte. Corre l´idea di una cospirazione internazionale o almeno di una montatura. Per speculare, per usare la Grecia come anello debole di una catena in fondo alla quale sta il proposito di far fallire l´Europa. Gli anelli successivi della catena, secondo questa lettura, sono Portogallo, Spagna, Italia: gli oggetti di quella ideologia mediterraneista che identifica queste nazioni con stereotipi fissi, e mira a mettere l´Europa del sud sotto tutela dei popoli "avanzati".
Che cosa producono i greci? – chiedeva l´altra sera, per scherzo o no, Luciana Littizzetto. Già: si può rispondere "Democrazia", "Libertà"? Democrazia è il nome stesso della repubblica greca, Ellinikì Dimocratìa. L´inno nazionale greco è l´ "Inno alla libertà" di Solomós (1823). E la Grecia, secondo il poeta cipriota Kostas Mondis, "è l´ultimo cespuglio sul burrone / cui la libertà possa aggrapparsi". Se c´è un paese in cui lo spirito della libertà non vuol cedere allo spirito di Maastricht – parametri, economia, parole greche - quello è la Grecia. Eleftheriá, libertà, è onnipresente in ogni punto dello schieramento politico: retorica, ma non solo. Se la sono conquistata e riconquistata, la libertà, con fiumi di sangue. Ed è esattamente in questo punto che i greci si sentono feriti.
E´ impressionante – lo fu già nel dicembre 2008 - la dimensione e la rapidità della mobilitazione di piazza e la sua capacità di mettere il paese a ferro e fuoco. Fuoco, suona orribile a pronunciarlo oggi. Sempre la volontà di assimilarsi all´occidente, fino alla scimmiottatura – a Parigi, all´Inghilterra, oggi all´America- si era accompagnata a un risentimento, alla sensazione di essere conculcati. Sessant´anni fa Henry Miller diceva che parlare con una donna greca era più interessante che con mezza dozzina di ragazze uscite da Oxford: un´americanata, ma resta in certi atteggiamenti pubblici in Grecia una schiettezza che noi ignoriamo. Anche gli "anarchici" delle strade di Atene e di Salonicco esigono un´intelligenza pubblica peculiare. L´Europa dovrebbe essere nata e durare soprattutto per questo: per salvare i suoi pezzi, ed esserne salvata. Il trattamento riservato alla Grecia, dice Pontani, è una minaccia all´idea stessa di una comunità europea. I nuovi Greci hanno fatto una quantità di esperienza che a noi sono state risparmiate. Senza, perdiamo molto di più che il Partenone – e il Partenone non è poco.