Bruno Gambarotta, La Stampa 6/5/2010, pagina 33, 6 maggio 2010
LA VITA DI DE AMICIS
E’ il 1° giugno 1886, Edmondo scrive all’amica Emilia Peruzzi: «Questa notte, al tocco, dopo sette mesi di lavoro continuo, ho scritto l’ultima parola d’un libro per ragazzi intitolato Cuore. Mi affacciai al terrazzo a guardare le Alpi e il cielo stellato e ripensai a tutte le mie fatiche, alle profonde e gentili commozioni provate in questi sette mesi, rividi tutto il mio lavoro con uno sguardo solo».
A quest’altra finestra, che dà sul cortile, Edmondo si era ispirato per scrivere nel 1880 un profilo di Torino e raccontare «i mille particolari intimi della vita torinese, dal servitore che innaffia i fiori della contessa al primo piano, su su scendendo per la scala sociale via via che si sale per le scale della casa, fino all’impiegatuccio tirato che legge il giornale sotto i tetti e alla moglie dell’operaio che stende i suoi cenci fuori della soffitta».
Solo a Torino coesistono sotto lo stesso tetto povertà e ricchezza, solo a Torino poteva essere ambientato il diario di un anno di scuola in una quarta elementare composta di alunni di tutte le classi e di tutte le origini. Finita la stagione dei viaggi, Spagna, Olanda, Londra, Parigi, Marocco, Costantinopoli, si approssimano gli anni difficili, dei contrasti in famiglia (la gelosia ossessiva della moglie Teresa Boassi, l’adesione al socialismo), dei grandi dolori (la morte della madre e pochi mesi dopo il suicidio del primogenito Furio). Resta l’opera, resta «un libro che farà piangere milioni di ragazzi», come scrisse Edmondo in una profetica lettera all’editore Treves. Non importa che Giosuè Carducci l’abbia chiamato nel Canto dell’Italia che va in Campidoglio «Edmondo da i languori»: chi lo legge più Carducci?